Racconto di Patrizia Gaudiello

(Prima pubblicazione)

 

 

  Costui ci ha dipinti così:

Rose di qua, che strimpella, Bob un po’ più in là, assorto nella lettura. Distanti.

A parte il fatto che non mi piace finire sbattuta in un quadro da chicchessia senza il mio permesso, mi chiedo come abbia fatto costui a conoscerci a tal punto da raffigurarci così, esattamente come siamo e per ciò che siamo.

Non ci hanno mai presentati, me e il pittore. E neppure a Bob, credo. Se avesse conosciuto un artista così famoso me lo avrebbe detto di certo…

Ciò che mi scoccia enormemente più di tutto non è tanto che mi abbia ritratta fisicamente ma che abbia saputo tirar fuori l’altra Rose, quella che sta rinchiusa dentro l’involucro. Senza conoscerla, è riuscito a dipingere la noia, il vuoto, la solitudine di Rose!

Perché la verità è che nella stanza di questo minuscolo appartamento periferico di New York, affogato in un dedalo soffocante di strade brutte e grigie senza un filo di verde e senza un fiore neanche a inventarseli, che domina dal suo sesto piano una scacchiera non meno desolante di numerose altre case senza vita e senza anima, apparentemente siamo in due. In realtà non è così. Non più: Rose qua, Bob là.

Poco più di un anno fa prendemmo in affitto queste mura e cominciammo a darci convegno periodicamente per stare insieme qualche ora, guardarci negli occhi, respirare l’uno accanto all’altra, sussurrare, abbracciarci. Per amarci, insomma. Ma oggi l’immagine che più ci assomiglia è quella di una fotocopia scolorita e un po’ consunta della bella coppia che fummo.

Bob continua a leggere, evidentemente trova molto più interessante il suo maledetto quotidiano di me. Possibile non gli venga in mente altro? Una cosa qualunque!

Abbiamo appena bevuto il caffè e fumato entrambi una sigaretta, e prima tutto ciò era accompagnato da sorrisi, da fuggevoli carezze. Non si accorge che strimpello nervosamente? Che attraverso i tasti pigiati con rabbia forse sto provando a mandargli dei messaggi?

No: tu stai semplicemente e candidamente voltando pagina, Bob…

C’è una realtà da affrontare, chiudi quel maledetto giornale e discutiamone! Io voglio lasciarti Bob, non ti amo più, e aspetto di trovare il coraggio per dirtelo. Non è per niente facile sai, ma se almeno tu sollevassi lo sguardo e lo posassi su di me forse ci potrei anche provare. Non so come e quando sia successo, so solo che oggi ho orrore di questa stanza triste e di quest’orribile quartiere di morti, che non mi piace più venirci, che non mi piace più fare quello che facciamo insieme e che lo faccio ormai solo per abitudine e per non deluderti. Un tempo ti piaceva anche ascoltarmi suonare, me lo chiedevi spesso e io amavo suonare per te. Oggi non me lo chiedi più, e  neanch’io ho più voglia di farlo. Sono molte le cose di cui a quanto pare non abbiamo più voglia, eh Bob? Ma allora che senso ha? Cosa ne pensi tu? Magari a te dispiacerà che tutto finisca, io invece non vedo altra via.  Ma soprattutto, non vedo l’ora…

Sto soffocando nella noia e nell’inedia Bob, se non alzi gli occhi da quel fottuto giornale e non ci scrolliamo di dosso oggi stesso tutta la polvere che ci ricopre, se non mi vieni in aiuto subito, io giuro che prendo qualcosa di là nel cassetto di cucina e spacco esattamente in due questo pianoforte!

Hai capito, Bob?

Sai una cosa, Rose? Stasera più che mai mi fai proprio infuriare! Che rabbia, Rose! Che cavolo ci sei venuta a fare qua oggi, se non ne avevi voglia? A suonare? Suonare, poi… ma questo non è suonare!

A quanto pare non hai voglia di nulla, neanche di far due parole, esattamente come a me non va di leggere questo giornale; ma che altro potrei fare, in attesa che la signora si degni di accorgersi di me, che nella stanza ci sono anch’io? Hai decisamente un pessimo carattere sai, Rose? Quando decidi di chiuderti è finita, mi fai quasi paura, e non oso infastidirti!  Che si fa, dunque? Perché siamo qui, e perché continuiamo a esserci, visto che tra noi non funziona più?

Sai Rose, io mi sento veramente stanco, svuotato, e ho paura che io e te, si sia fatta ormai proprio una brutta fine! Tu no? Possibile? Ma ti ricordi com’eravamo soltanto fino a un paio di mesi fa? E ora? Come e cosa siamo, ora? D’altra parte può anche succedere, perché accanirsi? Oggi sei di malumore per motivi tuoi che ignoro e forse dovrei rimandare, invece mi piacerebbe tanto affrontarti subito e dirtelo così, a muso duro, e togliermi il pensiero: io non ti amo più Rose, non odiarmi, e non mi piace più neppure far l’amore con te, almeno non quanto mi piaceva una volta. Che triste cosa, mi rendo conto, ma che colpa ne ho? Lasciamoci Rose, via il dente, via il dolore. Non la senti anche tu l’aria che ormai tira tra noi? Non ti pesa? Dammi retta, fidati, più in là te ne farai una ragione. Vedi, anche il pittore famoso, qua, si è accorto di noi e del nostro grigiore. E deve essergli piaciuto talmente tanto da decidere di immortalarci entrambi su una tela. L’infame! Ma almeno a te l’aveva chiesto il permesso? Sta a vedere che adesso ci farà pure un mucchio di soldi, col quadro della nostra desolazione! E comunque non mi piace affatto come dipinge, per dirla tutta…

Coraggio Rose, vuoi piantarla di picchiare a vanvera come una deficiente su quei maledetti tasti e voltarti dalla mia parte, per favore? Ho bisogno di aiuto, offrimi un appiglio anche minimo, porca miseria! Gettiamoci tutto alle spalle e amici come prima, che sarà mai? Non restarci male Rose, te l’ho detto: sono cose che capitano, lo capisci anche da te, vero?

No, non c’è verso. Continui a strimpellare, tu, più muta che mai…

Ma Cristo Rose, Cristo!!

 

Le ante spalancate della finestra sbattono due volte con violenza: sull’orribile quartiere di morti, improvviso e arrabbiato, s’è appena alzato il vento. La folata scompiglia senza troppi riguardi le pagine del giornale di Bob, arruffa un poco la bruna chioma raccolta di Rose, fa dondolare con un lamento il vecchio e malconcio paralume accanto al pianoforte. Ma s’intrufola senza permesso anche nelle menti, fra i pensieri di Rose, fra i pensieri di Bob. L’aria si fa più leggera, come nuova. Rose ha un po’ freddo, si alza per accostare i vetri. Bob dà una sistemata approssimativa e spazientita ai fogli, si alza per accostare i vetri. Quando s’incontrano inaspettatamente nel vano della finestra, corre un’occhiata lunga. Tacciono ancora. Ma il pensiero geniale trasportato dal vento in questa brutta stanza di New York sta chiedendo voce, ha bisogno di concretizzarsi in parole, e non è disposto ad aspettare.

“Ho avuto una magnifica idea, Rose!”

“Davvero, Bob?”

“Davvero, Rose. Ma non mi prenderai per matto se te lo dico, vero?”

“Ma no Bob, spara…”

“C’è una cosa che dobbiamo assolutamente fare, noi due…”

“E sarebbe?”

“Uscire da questo maledetto quadro, Rose. Sei d’accordo? E’ l’unica alternativa! Non vorrai mica che gli diamo ragione a questo bastardo di pittore, vero?”

“Ma è la stessa idea che ho avuto anch’io!”

“Sul serio? Allora vuol dire che l’idea è buona! Però dobbiamo fare alla svelta e non dobbiamo far rumore, perché se il pittore si sveglia e se ne accorge è la fine, ci riporterà indietro!”

“Sono d’accordo!”

“Allora sei pronta ad abbandonare questo schifo di quadro, Rose?”

“Prontissima, Bob”

“Sono pronto anch’io, dammi la mano e buon viaggio, Rose…”

“Buon viaggio, Bob…”