Racconto di Simona Volpe
“RaccontiContinuaTu”
Scendeva le scale, aveva fretta, il taxi la aspettava. Stava chiudendo, finalmente, quella porta.
Quella maledetta porta. L’appartamento era stato venduto. Ovviamente, a un prezzo inferiore del suo valore effettivo. Ma a lei non importava. A farne le spese sarebbe stata quella ciurmaglia di poveracci dei suoi parenti. E lei avrebbe venduto l’anima al Diavolo pur di fare un dispetto alla sua famiglia.
S’infilò nel taxi salutando a malapena il conducente (d’altronde, perché avrebbe dovuto salutare qualcuno che percepiva uno stipendio tanto inferiore al suo?) e iniziò a controllare il cellulare: nessun messaggio o chiamata dallo Studio Quinti il suo notaio di fiducia. Strano. Eppure due giorni prima aveva detto chiaramente a Jacopo Scilla, l’aiuto notaio, che avrebbe avuto bisogno di un appuntamento per completare l’atto di vendita. Quella mattina aveva provato a chiamare diverse volte ma il telefono aveva squillato a vuoto. Riprovò. Stava di nuovo per chiudere quando finalmente qualcuno rispose.
“Pronto?”
Non era la voce di Scilla.
“Salve, sono l’avvocato Potenti; avrei bisogno di parlare urgentemente con il Dott. Scilla.”
“Mmmmm … no, il Dott. Scilla non può parlare.”
L’uomo al telefono aveva una voce strana. Sembrava quasi … un miagolio. Che fosse un nuovo tirocinante? Comunque lei aveva fretta.
“Guardi, Lei non ha capito. Sono l’avvocato Potenti. E devo parlare immediatamente con il Dott. Scilla, quando lo posso trovare?”
“Mmmmmm … non lo so. Qui, in ogni caso, credo non sia proprio più possibile.”
“Ma è stato licenziato?” Odiava le persone che le facevano perdere tempo prezioso. Il tempo è denaro e lei aveva fretta di arrivare al dunque con quel maledetto appartamento per fare altri e più importanti investimenti.
“Ehm … mmmmmm … non direi.” Una breve pausa con sottofondo gracchiante, come se qualcuno stesse graffiando la cornetta del telefono.
“Diciamo che la sua assenza qui è … mmmmmm … da considerarsi definitiva.”
Che voce irritante. Che fosse uno straniero? Lei odiava gli stranieri. Era fieramente razzista. Inspirò profondamente.
“Il Dott. Quinti è lì?”
“Si … beh … mmmmmm … almeno in un certo senso.”
“Perfetto. Tra una decina di minuti dovrei essere da voi.” E chiuse la conversazione senza attendere conferma.
Ordinò sgarbatamente al tassista (d’altronde, che bisogno aveva di essere gentile con qualcuno?) di cambiare strada.
Purtroppo i dieci minuti previsti diventarono quindici e poi venti. L’irascibile avvocato Potenti richiamò al cellulare lo studio Quinti per avvertirli. Stavolta non rispose nessuno.
“Che diamine, non può andare più veloce?” Urlò spazientita al tassista.
“Mi dispiace Dottoressa ma neanche la magia potrebbe sbloccare l’ora di punta. A meno che Lei non intenda volare, si capisce.”
“Vada al Diavolo, idiota.” Sibilò. Non c’era veramente più rispetto per chi occupava una posizione di rilievo nella società.
L’uomo al volante sghignazzò. All’indispettito avvocato sembrò quasi di sentire un divertito “Con piacere” ma era troppo occupata a controllare la posta elettronica.
Arrivò imbestialita con oltre trenta minuti di ritardo. Nel brevissimo viaggio in ascensore fino al quarto piano si controllò meticolosamente allo specchio. Non c’erano dubbi: per essere sulla cinquantina era ancora una donna piacente. Senza contare il fatto che fosse anche un avvocato di successo. “Un avvocato”, tendeva a precisare. Le stupide rivendicazioni linguistiche le lasciava volentieri a quelle sfigate delle sue colleghe.
Trovò la porta dello studio socchiusa. Entrò.
“Buonasera, sono l’avvocato Potenti.” si annunciò con voce squillante.
Era tutto così stranamente silenzioso. Decisamente troppo silenzioso.
La porta della stanza di Scilla era aperta e si avviò spedita in quella direzione.
“Salve, Jacopo. Io …” Si bloccò. Un gatto nero era appollaiato sul tavolo di Jacopo Scilla e la osservava imperturbabile con i suoi grandi occhi verdi.
“Miao” si degnò di dirle dopo un appagante sbadiglio.
Il costernatissimo avvocato Potenti si guardò intorno. Che ci faceva quel gatto lì? Nero, per di più. Uscì dalla stanza e fece un rapido giro dello studio. Non c’era nessuno. Che fine avevano fatto tutti? E soprattutto con chi aveva parlato al telefono?
Il suo cellulare squillò. Osservò con terrore che il numero sul display era proprio quello dello Studio Quinti.
“Pronto…?” Rispose con voce tremolante.
“Mmmmmm … Buonasera, Avvocata Potenti. La stiamo aspettando nella stanza del Dott. Scilla da oltre un’ora. Mmmmmm … La prego di non farci attendere ulteriormente. ”
La stessa voce miagolante di prima. L’avvocato Potenti, ingiustamente appellata avvocata, si precipitò con il cuore in gola di nuovo nello studio di Jacopo Scilla. Un giovane ed elegantissimo uomo di colore stava seduto con aria annoiata dietro la scrivania di Scilla. Il gatto era scomparso.
“Mmmmmm… Finalmente! Ce ne ha messo di tempo!” Disse l’uomo.
L’avvocato Potenti iniziò a tremare.
“Mmmmmm … Avrei fretta di firmare il contratto.” continuò l’uomo, stiracchiandosi.
Quale contratto? Ma di che cosa stava parlando?
“Guardi, ci deve essere un errore…”
Ancora una volta le era uscita quella sgradevole voce strozzata.
“Mmmmmm … assolutamente nessun errore! Non ha detto … oh beh … mmmm … pensato che avrebbe venduto l’anima al Diavolo pur di fare un dispetto alla sua famiglia?”
Sentì che le gambe le stavano cedendo. Il cuore le batteva all’impazzata.
“Chiamo la polizia …” Riuscì a sussurrare aggrappandosi alla scrivania di Scilla.
“Oh no, cara avvocata, non ce n’è alcun bisogno.”
La voce dell’uomo era diversa ora; aveva perso quel fastidioso tono mellifluo.
“La polizia sarà qui tra qualche istante e l’arresterà per il duplice omicidio del Dott. Quinti e del Dott. Scilla. Le sue impronte sono dappertutto.”
I suoi occhi brillarono di una strana luce malvagia. “Non vorrà far credere agli agenti che li abbia uccisi il gatto, vero?”
Detto ciò, volse lo sguardo alla sua sinistra.
Si udirono le sirene della polizia in lontananza.
L’avvocato Potenti, prima di accasciarsi svenuta, ebbe solo il tempo di scorgere i cadaveri dei due uomini che giacevano in terra e il gatto seduto sulla scrivania.
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