Racconto di Enrico Strappetti

(Prima pubblicazione)

 

Ariel appoggia il dorso dell’indice sul bordo dell’acquario. Una ranocchia fa capolino da dietro l’arco di una roccia, poi prende ad arrampicarsi aiutandosi con le zampette palmate, raggiungendo la cima. Spicca un salto e inizia a volteggiare.
«Guarda Jo, la piccola Ellen mi sta dando il buongiorno» dice, poi picchia con l’unghia sul vetro e la rana la raggiunge, strofinando la pelle verdognola contro la parete.
«Io credo che non capisca, cara. Magari ha soltanto fame» dice Jo.
«È intelligente, invece. Guarda qui» dice Ariel. Poi prende il tubetto del mangime e ne getta una manciata nell’acqua che, s’increspa leggermente. «Ellen … Ellen …» la chiama, e la rana sporge appena la testolina sopra la superficie, e comincia ad acchiappare i vermicelli uno a uno, schioccando di volta in volta la lingua rosata come una frusta.
«È soltanto una rana, tesoro. Non mi piace che la chiami per nome.»
Ariel apre le tende con un movimento ad arco delle braccia, poi si dirige verso il comò rischiarato dalla luce che inonda la camera. Tira a sé un cassetto, prende una scatoletta rossa ornata di arabeschi. La apre, facendo scattare un gancetto dorato, e afferra un ago con del filo bianco.
«Credo che oggi ti attaccherò quel bottone, sai?» dice, mentre umetta il filo e cerca di farlo passare nella cruna. Fuori dalla finestra il figlio dei Parker ondeggia sull’altalena. Ancora non arriva con le gambe a terra, e tutte le volte che ricade verso il basso, sua madre lo aiuta nella risalita con una spinta.
« Perché non provi a uscire, invece? È così bello, fuori» le chiede Jo, stringendosi il nodo della cravatta. «E poi, non dovevi andare dal parrucchiere? I tuoi capelli …» La ranocchia li osserva, aggrappata al vetro con tutte e quattro le zampe, gli occhi enormi e lucenti.
«Oggi non ne ho voglia, Jo. E poi devo preparare l’arrosto» dice Ariel stiracchiandosi, «ma ci vado domani, promesso.»
«Non è che ti riaddormenti come al solito?» le chiede lui, finendo di sistemare alcuni fogli nella valigetta.
«Ma no, figurati» risponde Ariel strabuzzando gli occhi. «Aspetto il ragazzo del drugstore con la spesa. Dovrebbe essere qui per le undici. Ho ordinato una bottiglia di vino rosso, due baguettes, della verdura fresca, e quel formaggio francese che ti piace tanto.»
«Potremmo riprovarci, sai» dice Jo cingendola per i fianchi, avvicinando le labbra alle sue. Ariel avverte tutto il suo peso addosso, gira il collo di lato e arretra di due passi.
«A fare cosa? Non capisco» dice.
«Siamo stati sfortunati, ma non è detto che debba essere così per sempre. E poi siamo ancora così giovani.»
«Continuo a non seguirti, Jo.» L’uomo lascia la presa e si dirige verso l’attaccapanni. Mentre s’infila il cappotto, ripensa a una settimana prima, quando sedeva nella sala d’attesa del Dottor Carradine, insieme ad altre cinque persone. La segretaria l’aveva chiamato, e lui si era precipitato nello studio dopo aver richiuso il giornale. Quell’uomo doveva saperla lunga: alle sue spalle c’erano un mucchio di grossi tomi impilati in una libreria di acero a tre ante, e dava l’idea di averli letti tutti. La scrivania era piena di altri libri e riviste. Aveva un portapenne stipato di stilografiche e tre agende di pelle.
«Sua moglie ha subito un forte stress, e potrebbe aver rimosso tutto. Un meccanismo di difesa molto comune, in questi casi» aveva detto.
«Ed io cosa dovrei fare, nel frattempo?»
«La lasci riposare il più possibile. E se riesce, provi a portarla da me, ma senza forzarla. Trovi una scusa, magari: le dica che un suo vecchio amico del college vi ha invitati per un the. Oppure aspetti che sia lei a farsi avanti.»
«Sono passati sei mesi!» aveva urlato Jo, e le mascelle avevano preso a tremargli.
«Lo so che è dura, ma le dia ancora tempo.»

Jo prende le chiavi della macchina sopra il centro tavola di macramè. Prima di chiudersi la porta alle spalle vede la sua camicia buttata sul sofà; la rocca bianca e l’ago argenteo risaltano sul bordò della moquette. Ariel sta spargendo un altro pugno di mangime nell’acquario, e la rana ha ripreso soddisfatta il suo lavorio con le larve. Si volta verso di lui agitando il tubetto su e giù:
«Passerai dal negozio di animali stasera per prenderne dell’altro, vero tesoro?». Jo fa segno di sì con la testa.

«Nella buona e nella cattiva sorte» si dice Jo come tutte le mattine, mentre pulisce il parabrezza dalle foglie secche e dagli aghi di pino. Accende il motore e lascia che si riscaldi. La signora Parker sta accompagnando suo figlio a scuola. Abbassa il vetro e le fa due colpi di clacson. Lei si gira e alza un braccio, facendo ondeggiare le cinque dita aperte. Poi si inginocchia, tira su la lampo della giacca a vento del piccolo, e gli sistema uno zuccotto a coste blu sulla fronte. Ora Jo maledice quel pomeriggio in cui il suo rubinetto si è rotto. Non avrebbe dovuto fermarsi a parlare con lei più del dovuto, ma ormai era successo. Come non avrebbe dovuto cedere alle insistenze di Ariel e comprarle quella stupida rana. Infila la mano nella tasca interna del cappotto e tira fuori una fiaschetta. La stappa e la porta alla bocca.