Racconto di Giulia Ancona
(Terza pubblicazione)
Vitaly non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Steso sul letto nella sua camera, con le solite cuffie infilate nelle orecchie, stava ascoltando la musica preferita. Si dimenava al ritmo della batteria e vedeva sua madre agitarsi nel corridoio come ascoltasse lo stesso suo brano. La vide mollare il mocio e correre verso il cordless. Lo prese in mano e fatto il numero scoppiò in lacrime. Sicuramente, si disse Vitaly, starà parlando con sua sorella. Lo fa quasi ogni giorno dopo aver visto la serie preferita. Se la raccontano e piangono per la sorte di questo o quell’ altro personaggio. Ma oggi la cosa gli sembra veramente strana.
– Piange più del solito e si soffia il naso col grembiule di cucina. Cosa mai fatta prima perché quello è il suo strumento sacro di battaglia –
Il letto è scosso da una forte vibrazione. No, non può essere il rombo della batteria. Assolutamente, no. Vitaly si toglie gli auricolari e sedutosi al letto, si rende conto che quel rumore assordante giunge dall’esterno della casa. Si alza in piedi e corre alla finestra per vedere cosa accade. La gente del quartiere si è riversata in strada. Tutti guardano il cielo oscurato da una squadriglia di aerei che vola in formazione. È uno spettacolo che lo ha sempre affascinato, sin da piccolo. Ora ha 24 anni, ma i suoi occhi restano incantati come quando ne aveva sei.
-Ma come fanno a rimanere in cielo e volare così vicini? Sono così grandi e pesanti! Io non riesco a fare volare il mio aquilone! –
Lo aveva chiesto un giorno a suo padre che, come al solito, gli aveva risposto che lo avrebbe capito da grande se avesse studiato come Dio comanda. Ma, insomma lui aveva studiato, era diventato un ingegnere, ma, a dire il vero, di volo, o altra diavoleria ad esso correlata non ci aveva mai capito granché.
Gli aerei erano spariti in lontananza, ma la gente continuava a ciarlare. Soprattutto le signore si agitavano. Qualcuna si prendeva la testa fra le mani piangendo a dirotto.
– Quanto parlano le donne! – esclamò Vitaly a voce alta rituffandosi sul letto con i suoi auricolari.
Era giorno di festa e si era riproposto di restare tranquillo in camera, almeno fino a quando sua madre non gli avesse dato il permesso di uscire dalla stanza perché i pavimenti si erano asciugati. Quando quella donna era all’ opera per fare pulizie in casa, era peggio di un generale di corpo d’armata. Guai a chi la contraddicesse o osasse muoversi mentre lavava il pavimento. Se ti urgeva farlo per necessità fisiche impellenti, dovevi pregare che il Signore ti facesse spuntare le ali oppure ti concedesse la forza di resistere fino all’ inverosimile, come un eroe in battaglia.
- Come si può diventare un eroe? –
Una volta se l’era chiesto. In una disputa fra amici, durante il servizio militare, si erano tutti posti questa domanda. Alcuni si erano professati pronti ad affrontare il nemico a mani nude, altri a perdere una gamba o, addirittura, la vita, per una medaglia all’ onore, altri avevano rifiutato di parlarne in quanto era un problema che non li toccava affatto. Lui era fra quelli che di medaglie al merito o di perdere una gamba per dimostrare a qualcuno il suo coraggioso non gliene importava un fico secco. Era troppo giovane per rimanere storpio su una sedia a rotelle. Era troppo innamorato di Roxanne per pensare di perderla per una medaglia al valore. No, no, il valore, l’eroismo, non era roba per lui.
- Oggi non ti va di uscire? – sua madre, ritta sulla porta della camera lo stava chiamando. Vitaly non si era reso conto di essersi addormentato. Quei pensieri lo avevano riportato indietro negli anni del militare facendogli fare un sogno dal quale ebbe difficoltà a distogliersi.
- Scusa, mamma. Ti sei ripresa? Ho visto che stavate chiacchierando in strada. Eravate tutte in grande agitazione. Come mai? –
– Nulla. Niente di importante! – disse la donna sedendosi ai piedi del letto – Ci stavamo chiedendo come mai da giorni si vedono passare di continuo aerei in volo e mezzi militari transitare nel paese. Sai come siamo fatte noi mamme. Ci preoccupiamo per i figli. Alcune stavano dicendo che avevano sentito parlare del richiamo di giovani al servizio di leva per una nuova esercitazione militare. Immagina l’agitazione! Tu piuttosto che mi dici? Ho sentito che ti stavi lamentando e sono venuta in camera. Ho visto che ti eri addormentato. Probabilmente stavi sognando perché ti agitavi e farfugliavi frasi incomprensibili. Ho preferito svegliarti –
– Sarà stato il rombo degli aerei che mi ha fatto sognare. Ma cosa poi? Mi è già passato di mente! –
– Alzati, dai, è quasi ora di pranzo. Oggi il tempo sembra essersi fermato! –
Vitaly vide la madre sollevarsi dal letto e andar via dopo avergli scompigliato i capelli. La vide allontanarsi e sparire nel corridoio. La guardò col cuore in uno strano sussulto. Quasi gli si fermò. Ebbe l’impressione che quel tempo non sarebbe mai più tornato.
Si alzò con un turbamento interiore che quel sogno gli aveva lasciato. Si era visto volare in cielo in una luce abbagliante. Dall’ alto aveva scorto sua madre piangere a dirotto mentre teneva stretta a se una foto con un bimbo fra le braccia; quel bambino era lui.
A pranzo non mangiò quasi nulla. Anche gli altri erano stranamente silenziosi. Un suono alla porta li fece sobbalzare. Sua madre andò ad aprire. Un uomo in divisa le consegnò una busta gialla con il timbro dello stato. Lei non ebbe bisogno di aprirla. Ne conosceva già Il contenuto. Era indirizzata a Vitaly. In silenzio, pallida come un cencio, gliela consegnò accasciandosi sulla sedia come un sacco vuoto.
Il ragazzo la aprì e lesse che doveva rientrare in caserma la mattina successiva. Veniva richiamato alle armi per servire la patria.
- Ma dai, non ti agitare! Vedrai sarà per pochi giorni! È una semplice esercitazione! –
Vitaly cercava di rassicurare sua madre, ma, soprattutto, se stesso.
La mattina la madre lo vide uscire vestito con la sua uniforme, bardato di tutto punto. Si abbracciarono forte ripetendosi che l’indomani sarebbe rientrato a casa.
Vitaly si presentò al comando di Kiev così come gli avevano indicato. Doveva tornare a far parte del corpo del genio Ritrovò gli amici con i quali aveva fatto il servizio militare. Parlottarono tra loro chiedendosi il perché di tale urgente richiamo.
- Pare che la Russia abbia intenzione di invadere l’Ucraina! –
- Ma che scherzi? Sono nostri fratelli. Tanti parenti si trovano da quella parte. Non può essere. Sarà una esercitazione di aggiornamento, vedrai! –
- Attenti! –
Tutti scattarono in piedi alla vista di militari in alta uniforme che erano entrati nella stanza.
Con tono fermo e deciso gli ufficiali parlarono a turno. Le parole uscivano dalle loro bocche a raffica andando a colpire quei giovani come proiettili di una mitragliatrice in battaglia. Nessuno osò chiedere nulla anche quando fu detto loro che potevano fare domande. Salutarono con un colpo di tacco e la mano alla visiera, pensando che quando stava accadendo fosse pura follia. Non sarebbero tornati a casa per un bel po’. Vitaly pensò che doveva chiamare sua madre e dirle di non aspettarlo per cena. Doveva chiamare Roxanne per ricordarle quanto l’amava.
Passarono giorni di esercitazioni, simulazioni e studio di strategie. Vitaly dall’ alto del suo furgone militare vedeva le strade invase da gente che correva in tutte le direzioni senza ben sapere dove andare. Sembravano formiche impazzite alla ricerca di cibo e rifugio. Gli allarmi antiaerei avevano preso a suonare con una frequenza sempre più crescente invitando i civili a mettersi in salvo nei rifugi. Le bombe cadevano ormai anche su obiettivi non militari quali ospedali, chiese, scuole, università. In quella carneficina si stavano violando tutti i diritti umanitari internazionali.
- Signori, bisogna fare presto. Dobbiamo difendere la nostra Ucraina e proteggere le centrali nucleari. Una colonna di carri armati Russi sta arrivando dalla Crimea per invaderci. Dobbiamo fermarli a tutti i costi! –
Un gruppo di generali aveva convocato il corpo dei genieri e stava loro prospettando la situazione.
- Come potete vedere il ponte sul lago Henichesk ci separa dalla colonna di carri armati e blindati in arrivo.
Il più anziano dei generali si era avvicinato al tavolo. Aveva aperto una grossa cartina geografica e su di essa, con un pennarello, stava evidenziando le zone di maggiore risalto dal punto di vista militare.
- Bisogna, assolutamente, fare saltare questo ponte. Almeno riusciremo a ritardare l’ingresso dei mezzi in città e avremo più tempo per organizzarci –
Il generale parlava e Vitaly pensava che, in fin dei conti, l’operazione non sarebbe stata molto complessa. Infatti, secondo quando stavano dicendo, di tempo per piazzare le cariche esplosive ce ne sarebbe stato a sufficienza.
- Non vogliamo impegnare più del personale necessario. Basterà che uno di voi si offra volontario. Certo, non possiamo imporre a nessuno di esporsi in questa operazione, ma sappiate che il popolo Ucraino conta su di noi e non possiamo deluderlo. Basta un volontario. Uno di voi veloce e preciso. Domattina vorremmo un nominativo!
- Non occorre, Signore! Sono abbastanza esperto in certe operazioni. Potrei minare il ponte in breve tempo. Anche se, con l’aiuto di qualcun altro lo farei ancora più in fretta –
- Le ripeto che soltanto una persona dovrà fare il lavoro. È inutile mettere a rischio più persone. Di personale militare ce né già poco –
Vitaly si era fatto avanti, quasi senza rendersene conto. Aveva guardato i volti stravolti dei suoi compagni, udito la sua stessa voce, come se stesse assistendo ad una scena che non gli appartenesse.
- Bene, soldato! Il tuo coraggio fa onore a te e a noi tutti. Il qui presente ufficiale ti darà tutte le istruzioni necessarie. Va con lui! –
Vitaly seguì l’ufficiale riflettendo sul da farsi. Questa volta non avrebbe detto nulla a sua madre. Tantomeno Roxanne avrebbe dovuto essere informata. Avrebbe raccontato tutto a missione finita. Almeno nessuno sarebbe stato un pensiero.
- Tenga presente che, dalle informazioni ricevute, la colonna dei carri armati non dovrebbe arrivare prima delle undici. Avrà, quindi, tempo a sufficienza per piazzare le cariche esplosive e mettersi al riparo. Dovrà essere pronto a fare saltare tutto appena vedrà la colonna affacciarsi all’imboccatura del ponte. Tutto chiaro? –
- Tutto chiaro, Signore! –
Vitaly lo aveva lasciato pensando che questa azione avrebbe fermato quella guerra folle. Tutto sarebbe finito e presto sarebbe tornato a casa.
La notte non chiuse occhio. Ripasso’ mille volte a mente le operazioni di messa in posizione delle mine, del loro innesco e del sistema di esplosione a distanza. Calcolò e ricalcolò il quantitativo di esplosivo e la lunghezza del cavo da collegare al detonatore. Tutto gli era semplice e chiaro.
Alle prime luci dell’alba era già pronto per partire. Una piccola squadra di genieri lo avrebbe accompagnato. Scaricato il materiale necessario sarebbe tornata indietro per aspettarlo a distanza di sicurezza.
Tutto avvenne nella massima rapidità e precisione. Durante il tragitto nessuno aveva detto una parola, ma quel silenzio era stato più eloquente di mille frasi. Il materiale fu scaricato sotto l’imboccatura del ponte e nascosto fra la vegetazione. Anche Vitaly si calo’ sotto i piloni per effettuare la prima operazione di armatura delle mine nei basamenti. Sarebbe poi passato a minare le arcate.
La piccola squadra di artificieri lo vide muoversi agilmente tra gli arbusti ed avviare il lavoro. Nessuno lo distolse, ma lo salutarono da lontano raccomandandogli di essere prudente ed allontanarsi per tempo dal ponte. Vitaly alzò la mano e con il pollice in segno di ok li salutò. Non volle guardarli andar via per timore di scorgere la paura nei loro occhi
Lavorò bene e in fretta, fino all’inverosimile. Le cariche furono tutte posizionate secondo lo schema studiato. Nessun mezzo avrebbe potuto oltrepassare quelle arcate senza saltare in aria con loro. Tutto era pronto. Gli bastava srotolare il cavo di innesco oltre il ponte e attendere in sicurezza da lontano che la colonna di blindati e carri armati arrivasse
- Non vi preoccupate! Ho finito. Sono in anticipo rispetto all’orario previsto. Un ultimo riscontro e sono da voi! –
Così Vitaly aveva rassicurato gli amici chiamandoli poco prima.
La bobina faticava a far srotolare il cavo attraverso il quale sarebbe partito a distanza il comando di esplosione. La spinse con energia lungo il ponte. E fu allora che il suo orecchio captò un rombo lontano di motori. Sembrava il rumore di una mandria di bufali in corsa che si avvicinava. Si fermò di colpo e scorse in lontananza i fari di una motocicletta in avanscoperta.
Si stese sull’ asfalto per paura di essere visto. Si rese conto immediatamente che la colonna di carri armati sarebbe giunta di li a poco. Capì che non avrebbe fatto in tempo a raggiungere i suoi amici. In un attimo davanti ai suoi occhi gli passò tutta la vita, la breve vita. Vide sua madre lanciarlo in aria, da piccolo, per poi riafferrarlo, al sicuro, fra le sue braccia, rivide il padre in barca sul lago insegnargli a pescare e lei Roxanne baciarlo fino a fargli perdere il fiato. Senti Il suo profumo e le sue mani che lo accarezzavano. Con lei esplose. Volarono insieme per aria e salirono verso il sole in una luce abbagliante.
Un attimo di fuoco e fragore bastò a fare arretrare i carri e salvare la sua città dall’ invasione Russa.
Ora Vitaly avrebbe potuto rispondere alla domanda che gli amici un giorno gli avevano fatto:
- Come si può diventare un eroe? –
- Per amore e per …caso! –
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