Racconto di Neris Casteller

(Terza pubblicazione)

 

Per lui Veronica aveva lasciato tutto, le sue certezze, il lavoro, Firenze la città dov’era nata e vissuta. Per quel ragazzo dall’aria bohémien apparso all’improvviso, tra i caldi colori autunnali delle dolci colline umbre, aveva cancellato con un colpo di spugna il suo passato, quella parte di sé che non le apparteneva più. Insieme a Tommaso il futuro assumeva i contorni di una straordinaria avventura da condividere con l’entusiasmo e la passione che soltanto lui sapeva trasmetterle. Con lui avrebbe affrontato mille difficoltà sicura che ci sarebbe stato sempre.

Il ritratto che le aveva fatto, lo aveva posto sopra il caminetto della vecchia casa dei nonni, dove si era trasferita per stargli vicino e che sarebbe diventata a breve il loro nido. Stavano pensando al matrimonio quando, come vento gelido d’inverno, un destino malevolo si era abbattuto sui loro sogni, spazzando via i teneri germogli di una  primavera che stava nascendo nel cuore.

«A Tommaso abbiamo fatto tutte le analisi necessarie prima di pronunciarci… purtroppo si tratta di leucemia. È ad uno stadio avanzato e quindi dovremo iniziare subito con le terapie. Mi dispiace, non vorrei mai dare notizie del genere»  disse l’anziano medico prendendole la mano.

Veronica non rispose, si alzò lentamente e sentì mancarle il terreno sotto i piedi.

«Non è possibile. Mi dica che ho capito male, la prego» supplicò con un filo di voce, ricadendo pesantemente sulla sedia. Sentì un dolore lancinante allo stomaco che le impediva di respirare, di parlare. Non riusciva nemmeno a piangere, avrebbe voluto gridare ma tutto il male le si era fermato dentro al petto, imprigionato.

Soltanto quando era sola riusciva a liberarlo quel dolore; allora le lacrime diventavano le benefiche compagne delle lunghe notti insonni passate a girovagare per la casa come un fantasma, aspettando la flebile luce del mattino che lentamente le riportava la pace. Aveva preso l’abitudine di salutare l’alba accovacciata ai piedi del centenario ulivo, abbandonata al solido tronco, osservando  il cielo mentre cambiava i colori.

In quel luogo erano rimasti immutati i ricordi della propria  infanzia, trascorsa con i nonni durante  i mesi estivi, circondata da una natura che sapeva di sacro e dove le stelle e la luna  brillavano così intensamente che sembrava quasi di poterle toccare. Lo stesso scintillio che  sprigionavano gli occhi scuri di Tommaso quando parlava dei suoi ragazzi e delle iniziative che portava avanti, del domani che stava progettando.

Tommaso amava la vita così intensamente che le sembrava terribilmente ingiusto che tutto questo stesse succedendo proprio a lui; lo aveva atteso tanto ed ora se ne stava andando, forse lo avrebbe perso, come aveva perso suo padre tanto tempo prima. Suo padre se n’era andato di casa ma Tommaso era la sua casa, senza di lui nulla avrebbe avuto più valore. Veronica era arrabbiata, in collera con Dio che sembrava accanirsi contro di lei.

«Sarebbe meglio sentire qualche altro parere, magari si potrebbe andare a Milano» gli propose Veronica, incapace di darsi pace.

«Non essere pessimista Veronica, ce la farò, vedrai» le rispose con convinzione, sfoderando il suo classico sorriso è tutto ok che non le consentiva di continuare ulteriormente con gli incessanti consigli.

«Tommaso perché non lotti?» gli chiese esasperata. Non riusciva a capire la sua testardaggine, quel fingere che tutto stesse andando alla perfezione mentre era assolutamente consapevole della realtà.

«Lo sai che non posso abbandonare la struttura, hanno bisogno di me.»

«Io Tommaso ho bisogno di te.  Io ho bisogno di te.»

«Tu sei la mia forza» rispose abbracciandola. L’unica certezza era il loro amore al quale tutti e due si stavano aggrappando mentre attraversavano la tempesta.

Tra una terapia e l’altra se ne scappavano in qualche posto solitario, anche solo per passeggiare abbracciati, per raccontarsi, godendo di ogni attimo e momento come fosse il regalo più grande che la vita stava facendo loro. La tela e i colori erano riposti nel bagagliaio dell’auto, in caso  Tommaso desiderasse dipingere qualche dettaglio del paesaggio. La pittura era per lui un’esigenza quasi vitale che gli trasmetteva serenità, gli permetteva di immergersi completamente nella bellezza della natura e fondersi con essa rimanendo in un stato contemplativo quasi religioso. In quei momenti dimenticava tutto, il cancro, la morte della quale sempre più spesso ne percepiva l’indesiderata presenza.

«Dovresti proporre il corso di pittura all’Istituto. Ora sarebbe il momento ideale per te, delegare qualche compito ad altri così ti potresti dedicare quasi completamente a questo. In fondo è la cosa che più ti fa star bene» gli disse Veronica mentre osservava le sue mani pallide e sottili maneggiare con cura pennelli e colori.

«E tu mi raccomando continua con il giornalino… Anna ti darà sicuramente una mano. Hai visto come ti segue con interesse? E’ certamente la persona giusta.»

«Perché parli di me? Certo che continuo con il giornale, è una mia creatura» rispose Veronica con finta noncuranza. Seguì un lungo silenzio durante il quale ognuno rincorreva i propri pensieri, come  se la conversazione stesse continuando in un linguaggio segreto che non aveva bisogno di parole ma di sguardi traboccanti di tutto quello che le labbra non riuscivano a dire. Erano i loro cuori a parlare, le loro anime vicine più che mai che s’incontravano e si prendevano per mano.

Anna, ormai in grado di affrontare la propria vita, si era trasferita momentaneamente in casa di Veronica che era diventata il suo punto di riferimento. La coabitazione aveva rinforzato ancora di più la loro amicizia e l’affetto sincero che provavano l’una verso l’altra faceva superare con facilità qualsiasi incomprensione. Anna aveva la capacità di starle vicino in questo momento con discrezione e la sensibilità di chi capisce il dolore altrui, cosa alquanto sorprendente per una ragazza della sua giovane età; quando vedeva Veronica triste trovava sempre una buona parola di conforto, alla fine riusciva anche a strapparle un sorriso grazie all’ironia con la quale condiva ogni evento giornaliero. Per lei Veronica era la sorella maggiore, l’attenzione che non aveva mai avuto.

«Hai un sacco di pazienza con me, me ne rendo conto. Però sono convinta che sotto sotto ti piace fare la sorellina, vero?» le disse dopo essersi sfogata per un bisticcio avuto con i suoi, con i quali stava ricostruendo piano piano un rapporto che era stato difficile. Anna durante i primi anni dell’adolescenza aveva fatto uso di sostanze stupefacenti e questo aveva creato problemi a non finire.

Veronica annuì contenta, la sua presenza le era indispensabile, averla vicino significava dare un senso al suo vivere, un motivo per il quale andare avanti e sentirsi utile.

La stagione fredda se n’era andata, tra alti e bassi, tra giornate grigie e giornate ravvivate da un timido sole. La primavera rivestiva la terra con i suoi delicati colori, tutto parlava di rinascita e gioia, nell’aria danzavano festosi gli uccelli che tra le fronde degli alberi preparavano i loro nidi. Nel cuore di Veronica però albergava l’inverno più freddo, il buio di una notte senza stelle. Il suo stato d’animo strideva con lo splendore della nuova stagione e non riusciva a godere di quel miracolo che la natura compiva.

Tommaso, sempre più stremato, stava lottando tra la vita e la morte in un letto di ospedale. Ormai si era arreso, aveva capito che non ce l’avrebbe fatta e si era abbandonato al  proprio destino senza più voglia di contrastarlo, con la consapevolezza di avere a che fare un un nemico potente e spietato.

«Veronica, avrei voluto invecchiare con te, tu non sai quanto… purtroppo ci sono cose che non possiamo decidere. Sono sicuro che ci rivedremo, in un’altra vita, in un altro posto. Sì, lo sento che esiste un posto speciale, devi crederci anche tu che sarà possibile. In questi giorni mi sto preparando al grande viaggio, ho fatto le valige e sono pronto» le disse con un sorriso disarmante e nei suoi occhi Veronica scorse una tenerezza infinita. Fu un breve ed intenso attimo, ricolmo di quella speranza che solo l’amore alimenta, quell’amore che li univa indissolubilmente per sempre.

«Adoro la primavera, è la mia stagione preferita. Chissà com’è bella la pianura chiazzata dal rosso dei papaveri, dall’azzurro dei fiordalisi, il bianco dei narcisi» continuò guardando un punto fisso, rapito da una visione che sembrava materializzarsi davanti a lui.

«Si, Tommaso, dev’essere bellissima! Se ti sentirai meglio un giorno andremo a goderci questa meraviglia… porterai la tela, i tuoi colori e lo dipingeremo insieme il nostro quadro. Sarà il più bello» rispose Veronica abbracciandolo. Rimase a lungo con il viso appoggiato sul suo petto ascoltando il debole battito del cuore, i lievi sussulti come fossero sospiri d’amore per lei. Uniti in quel dialogo intimo e profondo erano una cosa sola.

Quella notte Veronica non si allontanò da lui, sentiva che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe accarezzato il suo volto, baciato la sua bocca, stretto le sue mani. Voleva assaporare ogni minuto trascorso insieme, imprimere nell’anima il calore della sua pelle, il sapore delle sue labbra, riempirsi gli occhi dei suoi sguardi, soffermarsi su ogni particolare di quel caro viso che non avrebbe rivisto mai più. Desiderava fargli sentire tutto il suo immenso amore così per lui sarebbe stato più facile lasciarsi andare, incamminarsi verso l’infinito. Era il momento straziante del distacco, della perdita, del buio, del vuoto incolmabile dell’assenza.

Da quando si erano conosciuti avevano condiviso tutto ed ora la vita aveva presentato loro la prova più difficile da affrontare; insieme avevano attraversato quel mare riscoprendosi uniti più che mai ed il loro amore era diventato forte, capace di superare ogni ostacolo, anche l’ultimo. Come il bruco si trasforma in una bellissima farfalla, libero da ogni limite, avevano sperimentato la grandezza del loro legame nonostante gli impedimenti della malattia. Avevano vissuto intensamente ogni minuto, ogni secondo, assetati l’uno dell’altra. Avevano imparato a gioire delle cose più semplici e banali alle quali spesso nessuno dà molta importanza.

Il soffio della vita si spense sul pallido e scarno corpo di Tommaso lasciandogli un’espressione serena, di eternità. Veronica sentiva il suo volto distendersi lentamente sotto la sua mano, la pelle diventare fredda al tocco delle labbra, una lacrima inumidirle le dita.

Erano le cinque del mattino e Veronica volle tornare a casa a piedi, aveva bisogno  di stare da sola in mezzo alla natura così avrebbe potuto piangere liberamente e vomitare tutto quel dolore trattenuto per tanto tempo. Mentre camminava rivedeva brevi flash di vita trascorsi insieme a Tommaso, guardava il cielo sperando di vedere un segno di lui: una nuvola, un uccello, una farfalla volteggiare, qualcosa che le facesse pensare che era lì vicino a lei. Della sua presenza ne era certa, sentiva ancora il suo caldo respiro sfiorarle le guance e, in un refolo di vento inatteso,  il suo profumo. Continuava a parlargli, a piangere, a pregare.

 

«Veronica, potresti tornare a Firenze» le disse sua madre che era arrivata per stare un periodo con la figlia.

«No, non potrei, la mia vita è qui. Devo portare avanti il nostro progetto. Tommaso mi ha fatto scoprire ciò che voglio veramente ed ora sento che devo continuare, lui è con me e mi sostiene. A volte penso che incontrando Tommaso ho incontrato un angelo, mi ha fatto scoprire che tutti possiamo diventare degli angeli per gli altri. Io mi sento così felice quando vedo un ragazzo che aveva perso ogni speranza ritornare alla vita, l’ho sperimentata con Anna questa felicità. E’ la mia strada mamma» disse sicura, mentre il cielo mostrava un firmamento da mozzare il fiato.

L’abbaiare di Pedro spazientì Veronica che si stava preparando per scendere in paese.

«Ecco il solito gatto che lo fa imbestialire!» esclamò senza badarci più di tanto.

«Ah, molto probabilmente. Loro sanno benissimo che tu adori i gatti, ti ricordi che ti portavi a casa tutti i randagi che trovavi?» le rispose la madre mentre lei si precipitava fuori per zittire Pedro. Al cancello c’era una giovane ragazza con un bambino in braccio che piangeva, molto probabilmente impaurito dall’irruenza di quel cagnone.

«Buongiorno signora, avrei bisogno di un posto dove fermarmi. Sono due giorni che viaggio e questa notte l’abbiamo trascorsa appena fuori della stazione, sotto un ponte» disse timidamente la ragazza. Il volto era incorniciato da una frangetta bionda e da due treccine sottili, sembrava una bambina.

«Sei giovane, quanti anni hai? E i tuoi genitori?» le chiese Veronica cercando di ricavare qualche informazione utile.

«Oh, loro mi hanno buttato fuori di casa. Incomprensioni varie » rispose abbassando lo sguardo.  Le mani le tremavano leggermente, «sono sola con Sebastiano, il mio bambino. Ha fame e non ho niente da dargli» continuò cercando di calmarlo.

Veronica rimase un attimo in silenzio, non sapeva cosa fare. Poi prese la decisione che le sembrava la più ovvia : l’avrebbe ospitata a casa sua. All’istituto non sarebbe stato possibile in quanto non era strutturato per ragazze madri, ma da lei il posto non mancava, la casa era grande e terribilmente vuota.

«Vieni, vedremo cosa si può fare» le disse accarezzando il piccolino.

Ancora una volta il destino aveva messo sulla sua strada qualcuno bisognoso del suo aiuto, o forse semplicemente ora rispondeva ad un impulso che le sgorgava dal cuore, ora le veniva naturale soccorrere chi si trovava in difficoltà.

Guardò il cielo mentre una nuova gioia iniziava a crescerle dentro. Un raggio di sole squarciò le nuvole dense di pioggia, sorrise, non lo faceva da tanto tempo. «Che ne dici Tommaso, una casa per ragazze madri. Perché no?» pensò a voce alta, affidando un bacio al vento.

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