Racconto di Alessio Degli Incerti

(prima pubblicazione – 18 dicembre 2018)

 

Sprofondato nella poltrona e nella lettura del suo giornale, mio padre in realtà mi scrutava per vedere cosa avrei combinato. Con la mia indolenza lo sfidavo. Volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivato, fino a quale grado di esasperazione sarei riuscito a condurlo. Alla fine, non resistette più e scattò in piedi.

“Ma non hai proprio niente da fare? Così butti le tue giornate? Scemo!”.

Ora avevo il pretesto per andarmene. Mi alzai dal divano e mi avviai alla porta. L’avevo già spalancata quando la voce di mio padre mi tirò per la giacca.

“Bravo. Scappa pure. Ma ricordati… solo i codardi scappano… Gli altri…quelli veri invece… (avvertii come un click, come qualcosa che scattava, una serratura forse) … quelli veri… COMBATTONO!”.

Mi voltai di scatto e vidi mio padre nella penombra del lungo corridoio, la sua figura in silhouette illuminata solo dalla luce del tramonto che filtrava dalla finestra del salotto. Vidi il suo ghigno stampato sulle labbra e infine scoprii a chi apparteneva quel click: era la taja, ovvero la mannaia che improvvisamente aveva sostituito la mano sinistra di mio padre.

“Ti ricordi di questa, figliolo?”, disse sogghignando.

Come dimenticarla! Quante volte da piccolo avevo giocato con lui a fare la lotta e quando voleva porre fine al gioco, mi diceva: “Adesso arriva la taja!”.

Così facendo appiattiva la mano sinistra a mo’ di tagliola e fingeva di colpirmi allo stomaco con la sua arma mortale, in realtà procurandomi solo un gran solletico.

Avevo paura della taja, ovvero della sua tenaglia, che avevo l’abitudine di pronunciare così, perché non sapevo emettere la “GL”; avevo paura del suo colpo finale, ma nello stesso tempo ne ero affascinato: l’aspettavo sempre, come sempre si attende lo scontro finale col proprio avversario.

Stavolta però mio padre non fingeva: c’era davvero una mannaia al posto della sua mano sinistra e di certo non mi avrebbe fatto il solletico!

“Maledetto! Finalmente hai scoperto la tua vera natura!”, gli gridai e così facendo scappai dentro la mia camera e chiusi la porta a chiave.

Lì di certo non sarebbe riuscito a entrare. Grande però fu la mia sorpresa quando, dopo pochi attimi di silenzio, sentii la porta scricchiolare sotto i colpi precisi di quell’arma micidiale.

Possibile che fosse così forte e agguerrito? Mio padre? Quel vecchio che fino a cinque minuti prima poltriva in salotto? Ma non avevo tempo per simili ragionamenti: un altro colpo e la porta sarebbe crollata.

D’istinto mi ficcai sotto il letto: quanto avrei potuto resistere in quelle condizioni? La porta venne giù con un frastuono incredibile e la terribile risata di mio padre risuonò nella stanza con un’eco immensa.

“Non ti nascondere, codardo! Vieni fuori! Vieni a sfidare la taja!”.

Il mio avversario era tremendamente forte e da sotto il letto mi parve più alto di statura e di corporatura più grossa, come se il solo fatto di gridare ne aumentasse la mole.

Come avrei potuto sconfiggerlo? La soluzione arrivò nel modo più semplice: chiusi gli occhi, strinsi i pugni e una luce abbagliante si sprigionò dal mio corpo. Da sotto il letto, pochi istanti dopo, emersi in tutta la mia forza e nella realtà di ciò che dentro di me ero sempre stato: un unicorno con ali d’acciaio e un lungo, affilato corno d’argento.

“Sono pronto a battermi! Mi farò beffe della tua taja!”, gridai al mio nemico scoprendomi un coraggio e una forza inaspettati.

Il letto volò via e puntai la mia arma contro mio padre, o quello che rimaneva di lui.

“Hai deciso di rivelarti! Bravo! Ma la tua baldanza non ti proteggerà dalla furia della taja!”, gridò altisonante l’essere mostruoso, che con un fendente veloce e potentissimo squarciò la porta, una parte della parete e penetrò nella camera in tutta la sua agghiacciante grandezza.

Una paura terribile si impadronì di me alla vista della taja, ma non potevo lasciarmi soggiogare da quella visione; era il momento di lottare: vita o morte, non c’erano altre soluzioni.

Puntai il mio corno d’argento contro mio padre, ma questi riuscì ad eluderlo con uno scatto repentino e sorprendente. Il corno lo oltrepassò e con la sua forza spaccò la parete in mille pezzi: il soffitto cedette. L’ambiente era troppo piccolo per contenere entrambi i contendenti, così mi voltai e volai fuori dalla finestra per cercare una maggiore libertà di azione.

“Non scappare, vigliacco!”, gridò l’essere alle mie spalle.

Appena fuori dalla finestra una spinta potentissima mi investì facendomi rotolare contro il palazzo dirimpetto. Con un fragore impressionante l’intero condominio dove abitavo da quando ero nato crollò miseramente al suolo.

Forse il mostro era stato sconfitto! Grande fu il mio sconcerto quando dal fumo delle macerie emerse la gigantesca figura di mio padre, ormai trasformatosi in un essere di proporzioni mostruose.

Il suo viso era coperto da una maschera metallica e la sua arma micidiale, la taja, risplendeva in tutta la sua mortale bellezza.

Nella frenesia della lotta non mi accorsi che anche le mie dimensioni erano cambiate: ora possedevo l’altezza di un palazzo di otto piani.

Eravamo due giganti, mio padre ed io, e forse per la prima volta, durante la lotta estenuante e agguerrita, non lo considerai più un essere a me estraneo.

La sua determinazione e la sua forza, oltre a incutermi paura, mi affascinavano.

La battaglia consumò tutta la giornata e solo dopo aver raso al suolo quasi tutta la città, le tenebre e la stanchezza ci vinsero.

Tra cumuli di macerie e la luce delle stelle eterne, oramai sfiniti, deponemmo le armi. La nostra guerra non aveva conosciuto alcun vincitore, ma sentivo di aver conquistato, benché celata dalla terrificante armatura, la sua ammirazione.

Raccolsi un barlume di forze e mi alzai per avvicinarmi a mio padre e tendergli la mano, quando un improvviso, devastante fragore squarciò l’oscurità e mi fece cadere di nuovo al suolo.

Dal cielo scese in tutta la sua fantasmagorica potenza la mano enorme, infinita di Eolo, dio del vento, che afferrò mio padre e, in un batter di ciglia, lo rubò per sempre ai miei occhi, proprio adesso che avevo iniziato ad amarlo.

Fu così che il buio inghiottì la mia figura e mi donò un’improvvisa, eterna solitudine.