Racconto di Elena Marrassini
(Prima pubblicazione – 1 gennaio 2019)
In questi ultimi giorni dell’anno che paiono somigliare sempre più ai loro ultimi anni i vecchi coniugi se ne stanno lì accasciati sul vissuto del loro divano come in uno strano scenario post nucleare post natalizio.
Lei ha le caviglie inesistenti stasera, un prolungamento dei polpacci, cosparse da una enormità di vene bluastre come il delta di un fiume eterno e dispettoso.
Ha cucinato e pulito troppo negli ultimi giorni: per le comparse veloci e fameliche dei figli, dei nipoti.
– Non so se era meglio – dice lui con voce impastata dall’ultimo sonnellino – quando tu prendevi le benzodiazepine per rimanere calma e riuscire a venire ai pranzi di famiglia da suoceri e cognati, oppure adesso che di suoceri e cognati non ce ne è più alcuno – finiti, sterminati – e prendi le benzodiazepine per rimanere calma e stare sul divano con me a rinfacciarmi le cose, con calma.
Suonano alla porta.
Menomale che il Tapa è ancora vivo, abita in fondo alla strada da più di sessant’anni e suona il campanello col manico del suo bastone per invitarci a preparare i botti quelli grossi proibiti e invendibili per la sera del 31, lui che se lo ricorda ancora come si fabbrica l’esplosivo col salnitro giù in garage. Lui che sa come spaventare a morte il vicinato. Gliela faremo vedere anzi sentire anche quest’anno, ai nostri vicini tutti perfettini, alle famiglie del Mulino Bianco.
Lei si alza di scatto e, nonostante i gonfiori, nonostante le benzodiazepine, le si illuminano gli occhi al pensiero della scorribanda imminente. Come quando era ragazzina, un maschio mancato cresciuta fra maschi ma con le caviglie più belle di tutta la scuola.
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