Fiaba di Adele Múrino
Illustrazioni di BDB
Nel condominio di quella Milano ancora addormentata Bob se ne stava disteso sopra una copertina. Si erano da poco trasferiti in quella città dove tutto sapeva di nuovo. Un rumore dalla cucina gli fece drizzare le orecchie e un profumino di buono arrivò a solleticargli le narici. La mamma stava preparando la colazione e tra poco sarebbe venuta a svegliarlo. Decise di anticiparla e si stiracchiò per benino prima di alzarsi e trotterellare in cucina. Non conosceva ancora molto bene quel posto ma si lasciò guidare dal suo istinto e, soprattutto, dal suo fiuto. Biscotti! Quello era l’odore dei biscotti fatti dalla mamma, se lo ricordava ancora, anche se al canile ne aveva mangiati pochi. La mamma gli accarezzò la testa e lo tenne in braccio per un po’, poi gli lasciò mangiare la sua colazione in pace. Sono queste le cose belle della vita, pensò Bob, una bella dormita e un pasto abbondante. Arrivò il resto della famiglia e anche dagli altri si beccò la sua dose di coccole. La giornata era cominciata nel migliore dei modi. Soddisfatte le esigenze alimentari, Bob si fiondò dritto in terrazza dove si annunciava una giornatina niente male. Il sole si era già levato e nell’aria c’era un buon profumo di libertà. Andò scrutando con gli occhi quel parco che aveva intravisto dall’auto il giorno prima. Nonostante il loro appartamento fosse ai piani alti del condominio, Bob riuscì a scorgere in lontananza degli alberi e il suo istinto gli suggerì che quello laggiù doveva essere il parco. Venne il momento di andare perché vide la mamma prendere le chiavi di casa e la borsetta. Si fece trovare pronto dietro la porta e fu il primo ad uscire. Il parco non era così lontano come gli era sembrato guardandolo dall’alto di quel palazzone. Sprizzò felicità da tutti i pori quando capì che la mamma era diretta proprio lì quel giorno. Arrivarono all’ingresso dove trovarono un tipo in divisa che gli mise un po’ di soggezione perché lo squadrò a lungo. Era il guardiano. Rimase vicino alla mamma e tutto filò liscio. Trovarono una panchina all’ombra e la mamma si sedette. C’era poca gente quel giorno, qualcuno seduto a leggere il giornale. La mamma lo lasciò libero di andarsene in giro, senza allontanarsi troppo. Si fidava di lui. Bob si guardò intorno e decise di curiosare dietro un cespuglio di bosso ben sagomato. “Ehi, ma tu sei Bob!”. Un richiamo dietro di lui lo fece voltare di colpo. “Anche tu sei qui? Ti ricordi di me?”. Già, come faceva a non ricordarsi di Laila che era praticamente cresciuta con lui quando entrambi erano piccolissimi. La sua gioia fu immensa. Si misero a saltellare insieme sotto gli occhi dei passanti. “Questo – disse lei – è il miglior posto della città, credimi, ci sono un sacco di giochi e la mamma non è costretta a correrci sempre dietro. Devi solo fare attenzione a un tipo che non mi piace affatto. È uno nuovo che fa il bullo e non è di queste parti. Se ti prende di mira, sei spacciato.”. Bob la guardò piegando la testa di lato e le chiese: “Come si chiama, il tipo?”. “Ho sentito dire che si fa chiamare Bruto ed è molto più grande di tutti noi messi assieme. Vieni che ti presento gli altri.” Detto fatto, Laila si lanciò in direzione del manto erboso che profumava di rugiada. Lì vicino c’era una costruzione con le imposte tutte chiuse. Ebbe una certa paura ad avvicinarsi perché sembrava messa maluccio.
Perché non rimanere nel prato? pensò tra sé? Golia saltò fuori all’improvviso da dietro l’angolo e li fece spaventare. Laila fece le presentazioni come si doveva. Bob pensò che quel tipetto snello doveva essere un mattacchione. “Ehi, amico – disse Golia – qui si sta una meraviglia. Lo senti il profumo di libertà?” Vero, starsene in casa tra quattro mura era proprio deprimente, pensò Bob. “Noi siamo fortunati, ma c’è chi è ancora più fortunato di noi – disse Laila – la vedete quella laggiù? Quella è Regina che viene qui addirittura in macchina e c’è pure chi le apre la portiera per farla scendere.”. Si voltarono tutti a guardarla mentre quella avanzava con il muso rivolto all’insù, oltre la recinzione, tra le siepi potate di fresco. Si fermò con la sua mamma vicino alle aiuole dove numerose essenze ornamentali, fiori di lavanda, rose e ciclamini convivevano in un tripudio di colori e profumi. “Sì, sì, tutto bello – disse Orso – ma vedi che non si può nemmeno muovere? Deve stare sempre con la mamma che la sorveglia passo passo. Ma che vita è?”. Effettivamente, pensò Bob, pure con tutti gli agi di questo mondo, non doveva essere un bel vivere non potersene andare in giro un pochino da soli. Orso si avvicinò con la sua andatura lenta e dondolante. Sembrava avere sempre sonno e passava quasi tutta la sua giornata a dormire. Il resto del tempo lo trascorreva a mangiare e, se gliene avanzava, a farsi un giretto. Golia, invece, continuava a gironzolare tutt’intorno e sembrava avere le smanie. “Sono preoccupato – disse alla fine – sono molto preoccupato.” Bob lo guardò come faceva sempre lui, con la testa piegata di lato. “Perché sei preoccupato? – gli chiese – “Bruto vuol farmela pagare. Ha detto che non gli sto simpatico per niente e dal momento che è lui che comanda qui, dentro il parco, devo sparire.”. “Ma forse hai capito male – rispose Bob – forse stava solo scherzando. “Tu non lo conosci. Quello lì è una belva feroce e quando ha deciso una cosa, la fa. L’hai vista la grande fontana? Quella rotonda con gli zampilli dove i colombi si fermano a bere? Ha deciso che quello é il suo territorio e che nessuno ci può girare intorno senza il suo permesso. Sai, io sono un tipo giocherellone e così, per scherzo, mi sono fatto il mio giretto lì intorno. Non appena Bruto l’ha saputo, ha detto che me l’avrebbe fatta pagare”. Parlò tutto d’un fiato dopo di che si sedette per terra sconsolato. Bob rifletté un momento su quello che Golia gli aveva appena rivelato e poi, risoluto, disse: “Ci andrò io a parlare con Bruto e sistemerò tutto, vedrai.”. Golia lo guardò perplesso. Bruto bazzicava con altri della sua specie in una zona nascosta del parco, dietro alcune alte querce. Bob guardò la mamma ancora seduta sulla panchina a chiacchierare. Per fortuna non lo aveva notato allontanarsi. Oltrepassò una parte del parco alberata e arrivò al luogo che gli avevano indicato. Capì di essere nel posto giusto perché gli giunse alle orecchie una gran cagnara. Erano tutti più grandi di lui e se la stavano spassando con un uccelletto tutto verde che tremava come una foglia. Il piccolo pennuto sembrava in difficoltà perché aveva un’ala spezzata. Bob pensò che gli stavano facendo passare un brutto quarto d’ora. Uno di quelli, smilzo, tutto pelle ed ossa, lo vide arrivare e fece un cenno a Bruto. Quello si voltò di scatto a guardarlo e disse: “Che ci fai qui tu, piccoletto?”.
Lì per lì Bob valutò di fare dietro front e di tornarsene indietro. Poi, dopo quell’attimo di smarrimento iniziale, pensò che lui non era un vigliacco, decise di farsi avanti e di portare a termine la sua missione, a qualunque costo. L’altro socchiuse gli occhi e lo squadrò con più attenzione. Lui si fermò a mezzo metro da Bruto e vide con la coda dell’occhio gli altri che lo circondavano. Si fece coraggio e parlò. Si era preparato un discorsetto breve e conciso. Bruto lo ascoltò in silenzio poi rivolse lo sguardo ai suoi amici. Fu allora che Bob capì di non essere stato convincente e che le cose si mettevano male per lui. Fece uno scatto di lato e cominciò a correre inseguito da Bruto e dagli altri. Aveva un fisico agile e scattante e gli altri facevano fatica a stargli dietro. Fece quasi un giro del parco con tutti quelli alle calcagna ma non voleva darsi per vinto. Mentre correva per mettersi al sicuro, si ricordò di una cosa che aveva visto e che in quel momento poteva tornargli utile. Scartò di lato e si diresse verso quella costruzione mal messa. Laila, Golia e Orso lo videro arrivare da lontano e, sulle prime, non capirono perché stesse correndo. Sembrava inseguito da una nuvola di polvere. Poi i tre videro sopraggiungere Bruto e i suoi. Bob era quasi arrivato sotto le mura dell’edificio e sembrava puntare dritto verso una parete di quella costruzione ma all’ultimo momento si spostò di lato e gli altri alle sue spalle non si accorsero di una grossa breccia nel muro, riparata alla buona e ci finirono dentro, uno dopo l’altro, restando intrappolati nell’edificio, chiuso per restauri.
Bob arrestò la sua corsa poco più in là dove fu raggiunto dai suoi amici che gli fecero le feste saltellandogli intorno felici per lo scampato pericolo. Per un po’ quei tipi non avrebbero più dato fastidio.
Si era fatto tardi, Bob salutò i suoi amici e fece ritorno dalla mamma. La vide da lontano, le corse incontro e le si mise a camminare di fianco verso l’uscita. Quando passò davanti al guardiano, gli sembrò che quello stesse sorridendo.
Adele non era andata a scuola quel giorno e se ne era stata seduta su una panchina del parco di Porta Venezia dove di solito andava a passeggiare. Si era un po’ annoiata quella mattina fino a quando non aveva deciso di mettersi ad osservare con il binocolo di suo padre quello che succedeva intorno a lei.
Allora sì che si era divertita parecchio. Bob, il cane dei nuovi vicini, se l’era vista davvero brutta, pensò. Era bello quel cane ma il suo preferito era Golia, quel cagnetto piccolo del signore del primo piano che non stava mai fermo. Insieme, pensò, sarebbero diventati una coppia formidabile. L’altra, la femmina, l’aveva vista poco in giro ma anche lei non era niente male. Li conosceva tutti quei cani e tutti insieme formavano una simpatica combriccola. Le venne un’idea. Aprì il suo diario e cominciò a scrivere: Titolo “Un’avventura al parco”. Nel condominio di quella Milano ancora addormentata…
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