Racconto di Marinella Giuni

(Terza pubblicazione – 22 marzo 2019)

 

Un pomeriggio, in casa al caldo, sul vecchio divano graffiato dal gatto: Lei rileggeva timidi raccontini che anni prima aveva abbozzato e che poi erano rimasti così, testimoni inerti di un’Era, la sua.

Le erano piaciuti: potevano anche essere solo pensieri, arricchiti con immagini e metafore.

Erano come voleva che fossero, che parlassero di Lei, di com’era.

Con quella forza di rialzarsi ogni volta, di proseguire un po’ barcollando e un po’ dritta sulle gambe, ma con lo sguardo all’orizzonte.

Il suo pomeriggio era cominciato, così, nella più assoluta normalità.

Che poi, ma chi l’ha detto che in un racconto bisogna fare qualcosa di speciale?

Lei era un’eroina del week end: dedicava la domenica alle pulizie, ancora non cercava aforismi e poesie per trovare pace.

Rifuggendo, comunque, anche il the delle quattro o la tombola, a segnar numeri coi fagioli.

Aveva una serenità domestica vivendo la casa come un fedele custode, di sé e delle proprie memorie.

E così ecco che aveva trovato due dei suoi raccontini e li aveva letti, con pura avidità, consapevole di avere retto bene alla vita. Con i suoi Superpoteri.

 

Il primo racconto.

La luce del bagno era fioca e del resto la casa intera, da un anno, era più buia e più triste.

Giornate tutte uguali; la mattina a scuola e poi tutti in silenzio, che la mamma doveva dormire perché era stata sveglia la notte, in ospedale.

I compiti fatti con le lacrime agli occhi e poi, al pomeriggio, l’Oratorio delle Canossiane, con Madre Luigina che la chiamava “la sua grande donna”.

Lei era la più piccola, di età e statura, quella vestita con gli abiti di altri ma sempre in ordine e pulita.

La sera, a tavola, non era una festa.

La nonna, che aveva visto due guerre, non dispensava tanti complimenti.

E il papà?

Il boiler stava dando acqua tiepida quando il suono del telefono,

subito ghermito dalla nonna, l’aveva stordita. La porta si era aperta e la nonna, quella volta, l’aveva abbracciata.

Da stasera la mamma sarebbe tornata a casa a dormire.

 

Il secondo racconto.

Oggi sono uscita alle 14 e, come al solito, in sella alla mia bicicletta, ho percorso il tratto di strada che ormai è per me il giro abituale, attenta a non farmi sorprendere.

Il giro ha conosciuto tutti i mezzi leggeri in dotazione negli anni ’70 ed anche gli abitanti della zona sono ormai diventati amici e salutano al mio passaggio, preoccupandosi anche di eventuali ritardi o, peggio, assenze.

Ho quindi girato a sinistra, verso il centro e all’improvviso, l’ho visto.

Era in auto, una costosa auto sportiva, mentre io con l’espressione più indifferente possibile lo precedevo di pochi metri in una strada stretta, lastricata con il porfido. Ora lui girerà – calcolavo – perché lavora in quella via e chissà, fino al prossimo appostamento non lo vedrò più.

E invece nello spazio di pochi secondi, mi supera, suona il clacson e dice ciao ed io non lo so perché, torno a casa piena di una nuova emozione e da quel giorno ho una ragione per sorridere.

 

Ed oggi?

Le era piaciuto ritrovare le sue Cose, due dolori così diversi: rivivere i momenti in cui aveva avuto il tempo e la passione per sperare che quel ragazzo – troppo grande e troppo tutto per Lei – fosse davvero Lui, circostanza ovviamente poi mai verificatasi.

Oggi chi si farebbe tutti quei chilometri in bicicletta per un saluto?!

A quelli che furono e restarono saluti furono consacrate pagine di diario e lacrimose poesie, furono versate copiose lacrime che poi asciugarono, negli umori dell’adolescenza.

La Nonna, così mal sopportata, divenne una tenace ultracentenaria da portare ad esempio. Nei secoli fedele.

Ed i Superpoteri sono gli stessi, oggi che Lei è rappresentante di un’Era lontana, e non può neppure averne di nuovi. Non le va incontro nemmeno la rottamazione.

Sono come quei foglietti di istruzioni vecchi e spiegazzati, vittima di un cassetto che fatica ad aprirsi, ma ci sono. E Lei con loro.