Racconto di Ambrogio Bozzarelli

(Undicesima pubblicazione)

 

Capitolo primo

Quel giorno si era svegliato presto. Era sceso dal letto con precauzione, senza accendere la pur tenue luce posta sul suo comodino badando a non fare il minimo rumore. Sentiva il respiro regolare di Luisa. Quasi gli pareva, nonostante il buio che avvolgeva la camera, di vederla riposare dolcemente sul fianco destro con quei suoi capelli biondi che di notte risultavano per essere sempre un po’ arruffati, con la piccola manina sinistra, su cui brillava la fede d’oro, appoggiata sopra il cuscino proprio davanti al volto. Quante volte era rimasto ad osservarla così? Era minuta ma ben fatta. Con precauzione aprì, il più silenziosamente possibile, il primo cassetto del piccolo comodino posto all’altezza della spalliera del letto, da cui estrasse con sicurezza le mutande, una semplice canottiera e le calze. Due passi e sempre con la massima cautela prese dall’omino morto, posto in un angolo quasi nascosto tra l’armadio a muro che fronteggiava il letto matrimoniale e la finestra che dava sul cortile, quel suo completo blu scuro con una immacolata camicia bianca e una vistosa cravatta a righe rosse e blu, che utilizzava solo nelle occasioni importanti.
Quel giorno era una di quelle occasioni.
Sempre al buio si recò in bagno, accese la luce e posò con fare un po’ distratto i vestiti sopra una capiente cesta che conteneva i capi da lavare. Faceva ancora caldo pur essendo settembre inoltrato e lui, a differenza di Luisa che anche durante la maggior calura estiva si coricava sempre vestita di un pigiamino, seppur molto leggero, amava dormire nudo. Si osservò nel riflesso dello specchio: “Beh, non sono ancora poi così male“, e sorrise al pensiero. Si lavò accuratamente, poi iniziò a radersi con quel vecchio rasoio a lamette, regalo del padre per il suo matrimonio. Non amava la barba. Quand’era giovane si era lasciato crescere i baffi che, neri e folti, in modo naturale senza alcuna forzatura si erano ripiegati verso il basso seguendo il contorno delle sue labbra carnose. Non gli dispiacevano, lo facevano sentire più uomo, e riteneva fossero anche una buona attrattiva per conquistare le donne. In effetti, specie nei confronti dei suoi coetanei i quali, nonostante cercassero di farsi crescere la barba, non avevano che una peluria mal assemblata sulle guance con baffi di peli radi, i suoi, spessi e di un bel nero lucente, riuscivano a far colpo sull’altro sesso. Non si può dire che il suo fosse un volto bello o che i baffi lo rendessero tale, ma forse anche per quel suo sorriso che riusciva ad esprimere anche solo con lo sguardo, ebbe modo di far cadere tra le sue braccia diverse ragazze. Sì, non poteva negarlo, si era divertito, la sua era stata una giovinezza ricca di soddisfazioni, allegra, senza problemi, sino a quel giorno in cui aveva incontrato Luisa.
« Ahia», quasi un silenzioso lamento. Osservò nello specchio un piccolo rivolo di sangue che gli scendeva dalla guancia sinistra. Forse il riandare con il pensiero a certi momenti, un attimo di distrazione e, anche se il suo era un rasoio “di sicurezza”, si era tagliato con una semplice lametta. Non ci voleva, non adesso, non per quel giorno. Cercò di tamponare la piccola ferita con un po’ di cotone “Cristo non c’è neppure un po’ di acqua ossigenata!”. Si impose di star calmo: non doveva svegliare Luisa. Il taglio non era profondo ma il sangue, seppur continuasse a premere con forza il batuffolo di cotone, non accennava a fermarsi. Aprì un piccolo cassetto posto sotto il lavabo e dopo una breve ricerca trasse fuori una scatola di cerotti: era quella giusta, cerotti cicatrizzanti. Non sarebbe stato un bel vedere ma perlomeno avrebbe fermato quella piccola emorragia. Un leggero tocco di profumo e poi lasciò il bagno per dirigersi verso l’ingresso. Si tolse le ciabatte e indossò i suoi lucidi mocassini di un marrone chiaro. La porta di casa si aprì senza neppur il più piccolo cigolio: una volta alla settimana provvedeva a oliare i cardini proprio per evitare di disturbare il sonno di Luisa. E altrettanto silenziosamente la richiuse.
Luisa si svegliò verso le 7. Con gli occhi ancora chiusi il suo braccio destro si allungò sotto la coperta alla ricerca di un contatto del corpo caldo del marito, ma la sua mano trovò soltanto il lenzuolo freddo un po’ stropicciato. Sbadigliò stiracchiandosi mentre lentamente alzava le palpebre per lasciare che i suoi dolcissimi occhi azzurri prendessero visione della camera. I primi raggi del sole filtravano tra gli interstizi delle verdi persiane in legno iniziando a illuminare la stanza.
“ Uhm, oggi allora è uno di quei giorni.”

Capitolo secondo

Pietro aveva delle giornate fisse in cui si svegliava prestissimo, quando ancora lei era nel sonno più profondo, per poi ritornare soltanto a sera tardi. Lui, comunque, durante quei giorni, le telefonava sia per avvertirla che non sarebbe rincasato né per il pranzo né per la cena, sia per scambiare anche due parole d’affetto. Le prime volte lei era felice, soprattutto ascoltando la sua voce: dolci, sentimentali parole d’amore che le giungevano come carezze vellutate. Il loro era stato un vero matrimonio d’amore.
Le prime volte.
Pose i piedi sul freddo pavimento. Non le erano mai piaciuti i tappeti, ancor meno poi quelli piccoli che usualmente alcuni mettevano ai lati del letto. Protese verso l’alto le braccia con le mani aperte e, flettendo leggermente all’indietro la schiena, per sciogliere le membra ancora un po’ intorpidite emise un suono a labbra chiuse, si ravvivò i capelli, ancora un piccolo sbadiglio mentre si dirigeva in bagno.
Non ricordava più bene in che momento aveva avuto la percezione che non tutto fosse così limpido e trasparente, non ricordava quando aveva iniziato a sospettare, ma rammentava molto bene il giorno in cui ebbe la prima prova. Pietro quella sera d’estate, una delle più calde degli ultimi anni, era tornato a casa dopo mezzanotte, lei era già a letto che dormiva. Una volta al mese tra tutti i colleghi dello studio legale Paroletti – Ginepri si faceva una riunione per, così lui le aveva spiegato,“ tirare le somme”. Era una consuetudine che Michele Paroletti, il fondatore dello studio legale- Già settantenne, aveva accettato di buon grado di aggiungere al suo il cognome di Pietro quando lo stesso, cresciuto professionalmente sotto i suoi insegnamenti, era riuscito agevolmente a superare l’esame da avvocato e, dopo circa due mesi dal suo matrimonio, aveva deciso di “adottarlo”. Lei aveva chiesto perché quelle riunioni non si fossero mai svolte prima di allora, quando loro due erano ancora fidanzati, e Pietro le aveva risposto che erano cambiate le leggi, i codici ed era assolutamente necessario stabilire un incontro anche per dividersi bene i compiti nello studio. All’epoca, oltre al già nominato Paroletti, a completare lo studio legale c’erano Angelo Rossi e Guido Feralli, due giovanissimi, nominati avvocati da pochi mesi, poi anche due neolaureati di cui non ricordava i cognomi e tre segretarie. Queste ultime, ovviamente, facevano soltanto orario di studio, mentre gli avvocati e qualche rara volta anche i neolaureati si trattenevano anche a ore molto tarde sino a che non avessero concluso il lavoro.
Luisa, davanti all’ampio specchio del bagno, prese a osservarsi per giudicarsi come donna. Aveva trentacinque anni e, sì, è vero non poteva dire di essere alta, ma, minuta com’era, aveva ancora seni perfetti e sodi con turgidi capezzoli che spiccavano attraverso la fine camicetta del pigiama. Sorrise mentre si ravvivava i fluenti capelli biondi con le sue piccole manine.
“ Pietro, Pietro…” pensava. Perché poi, dopo alcuni mesi, le telefonate in quei giorni in cui lui trascorreva tutto il tempo in ufficio con i suoi colleghi avevano cominciato a farsi sempre più rade.
“ Ma lo sai com’è il lavoro; sempre più pesante e impellente. Del resto poi lo sai che da quando siamo sposati spesso Michele, fidandosi più di me che di altri, mi manda nei tribunali al di fuori della regione, e il lavoro aumenta.”. Questa la sua spiegazione quando lei glielo aveva fatto notare.
Già: Michele Paroletti, che a giudizio di Luisa quando aveva avuto l’occasione di vederlo, le poche volte che aspettava Pietro all’uscita dello studio per andare a cenare fuori per poi andare a teatro o al cinema, così piccoletto, piuttosto tozzo, con quei pochi capelli lisci che si ostinava a tingere di uno smaccato colore biondiccio. Dimostrava diversi anni in più della sua vera età e subito lo trovò antipatico. Piegò la bocca in una smorfia appena accennata, ricordandosi come lo aveva descritto al marito: «Il tuo capo è repellente!».
Si lavò accuratamente e criticamente valutò il suo aspetto fisico: tutto sommato si sentiva ancora carina. Tornata in camera si vestì senza fretta: un paio di jeans blu, una camicetta bianca con le maniche lunghe che presentavano una serie di fiori in pizzo traforato che lasciavano ampio spazio alla vista delle nude braccia.
“ Forse è persino troppo giovanile” pensò, ma fu un attimo. “Comunque è molto sexy!”.
Osservò la piccola sveglia sul comodino: “Cribbio! Già le 8!”. Troppo tardi: la colazione l’avrebbe fatta al bar a fianco del negozio dove lavorava come commessa.
Prese dal comò gli orecchini a goccia che aveva scelto già la sera prima, li indossò senza neppure osservarsi allo specchio, uno sguardo intorno e si avviò lungo il corridoio. Giunta quasi all’altezza della porta d’entrata, tolse da uno degli appendiabiti in metallo posizionati su di una ampia parete in legno una piccola ma capiente borsa a tracolla in tela di jeans. Trafficò un momento per trovare le chiavi, si infilò i sandali aperti e uscì di casa.
Abitavano un po’ in periferia, al quarto piano di un bel palazzo costruito negli anni Sessanta, un condominio di persone tranquille dove, pur conoscendosi tutti, ognuno si faceva gli affari propri. Come al solito non si servì dell’ascensore. Scesa nell’ampio garage, posto all’interno del cortile sul retro dell’immobile, che conteneva le loro due autovetture e i due scooter cinquanta, accennò un leggero movimento della testa e sorrise di autocompiacimento nel veder confermate le sue supposizioni: “ Ecco, ha preso la Bmw… Chissà dove andrà e con chi oggi…”. Scrollò un poco le spalle quasi a voler togliersi di dosso quella domanda. Salita sul suo Liberty, di un bel colore bianco, indossato il casco rosa, uscì dal garage mentre la serranda si chiudeva automaticamente e si immise sulla statale. Il negozio dove lavorava si trovava in centro, in una zona divenuta pedonale da pochi mesi, ma lei poteva lasciare il mezzo appena all’inizio della zona in cui si trovavano appositi parcheggi per le moto. Percorsi a piedi una decina di metri, si piegò sulle ginocchia e, presa una piccola chiave dalla borsa, aprì il lucchetto e tirò su la saracinesca.
« Luisa!» una voce squillante, leggermente acuta la fece voltare.
« Roberta, ciao!» con un atteggiamento di assoluta familiarità. «Questa volta sei arrivata presto!» accompagnando le parole con una leggera manata sulla spalla che sapeva di complicità. Roberta era alta, slanciata, di carnagione scura, i capelli seppur già grigi lasciati lunghi a cadere sulle spalle, con un viso appuntito in cui un naso un po’ troppo pronunciato impediva di ammirare degli occhi verdi che, nonostante l’età, ancora brillavano di bellezza. Roberta Arnoldi aveva 64 anni e, nella sua qualità di proprietaria, era solita arrivare un’ora più tardi dall’apertura. Lavoravano insieme ormai da dieci anni e, se non fosse stato per le evidenti diversità fisiche, potevano esser scambiate per madre e figlia tanto che spesso era sufficiente solo uno sguardo per comprendersi appieno.
« Ciao Luisa, oggi è uno di quei giorni vero?»

Capitolo Terzo

Stava guidando da mezz’ora. L’autostrada era completamente libera e la BMW viaggiava rimanendo sempre sui 130 km orari. Dal cd inserito nell’autoradio si levava la voce di Paul Williams:

“I was not myself last night couldn’t set things right with apologies or flowers
Out of place as a cryin’ clown who could only frown and the play went on for hours
And as I lived my role I swore I’d sell my soul for one love
Who would stand by me and give me back the gift of laughter
One love who would stand by me and after making love we’d…”

(“Non ero me stesso ieri sera non riuscivo a sistemare le cose con scuse o fiori
Fuori luogo come un clown che piangeva che poteva solo aggrottare le sopracciglia e lo spettacolo andava avanti per ore
E mentre vivevo il mio ruolo giuravo che avrei venduto la mia anima per un amore Che mi sarebbe stato vicino e mi avrebbe restituito il dono della risata
Un amore che sarebbe stato al mio fianco e dopo aver fatto l’amore
avremmo …).

Ogni volta, sempre, quando usciva in uno di quei giorni una volta al mese, metteva quel cd, Phantom of paradise, e ne canticchiava i vari brani.
In neppure tre quarti d’ora era arrivato al casello. Ancora l’alba non si era pienamente espressa quando varcò velocemente la stazione di servizio e, percorsa una ampia curva a gomito, si immise sulla statale che portava alla città.
Silenziosa la città ancora dormiva. Attraversato il centro, Pietro si diresse sul lungomare, una zona che durante la notte e sino alle prime ore del mattino era piuttosto frequentata: donne, ma anche uomini di ogni età, talvolta persino minorenni di ambo i sessi che passeggiavano o stavano ritti, fermi, ma erano comunque sempre pronti ad accostarsi alle auto che lentamente si avvicinavano loro e così poter contrattare per poi vendersi per un po’ di soldi. Certo tra loro vi era anche qualche professionista del sesso, ma lì per lo più bazzicavano solo dei poveri derelitti, veri scarti rifiutati dalla società. Era la prima volta che vi si recava e solo adesso si rendeva conto di quanto avesse esagerato nella sua preparazione. Comunque oramai c’era e ovviamente non poteva certo tirarsi indietro: doveva andare avanti.
La donna che l’aveva chiamato, parlando in un italiano leggermente modificato dall’accento straniero, era stata precisa: «Mi troverai sulla passeggiata sopra la spiaggia proprio di fronte al civico 45 . Sarò l’unica seduta su di una panchina in mezzo a due palme.».
Con un occhio attento ai numeri civici che scorrevano alla sua sinistra e un sguardo un po’ più distratto a destra per cogliere il movimento di tutta quella vera e propria fauna notturna, continuava ad ascoltare la colonna sonora di quel film di Brian De Palma, che lui considerava un piccolo, misconosciuto capolavoro, ma non canticchiava più le parole:

“… I was not myself last night in the morning light I could see the change was showing
ILike a child who was always poor reaching out for more I could feel the hunger growing
And as I lost control I swore I’d sell my soul for one love…

(Non ero me stesso ieri sera nella luce del mattino potevo vedere che il cambiamento si stava mostrando.
Come un bambino che era sempre povero Cercando di più sentivo la fame crescere.
E mentre perdevo il controllo giuravo che avrei venduto la mia anima per un amore)

Procedeva lentamente e altrettanto lentamente sfilavano i numeri: 21… 27… 31…, mentre ogni tanto dalla parte opposta della strada qualcuno, constatata la lentezza con cui l’auto procedeva, alzava un braccio per volerne richiamare l’attenzione.
« 45!» quasi lo urlò, rallentò e poco più in là alla sua destra scorse una panchina debolmente illuminata tra due alte palme. Spento il lettore cd accostò la BMW al marciapiede. Dalla panchina si alzò una giovane dalla pelle scura, alta e slanciata, con una selva di capelli neri lunghi e riccioluti. Vestiva una attillata minigonna bianca e una linda camicia aderente che lasciava intravvedere un seno prorompente con duri capezzoli sporgenti. Con un sorriso appena accennato la donna giunse all’altezza della portiera che Pietro aveva aperto. Avrà avuto si è no una ventina d’anni.
« Bene, andiamo», disse con voce calda. Si accomodò sul sedile lasciando che la gonna resa ancor più corta dalla postura lasciasse intravvedere tutta la sensualità del suo essere.

Capitolo quarto

La giornata trascorse senza particolari novità. I clienti, quel giorno, nel piccolo ma ben fornito negozio di abiti per tutte le occasioni per bimbi, da neonati sino ai 10/12 anni, furono davvero pochi.
«Cara Luisa, mi sa che potremmo chiudere anche mezz’ora prima. Che ne dici?» disse Roberta mentre stava posizionando un cappellino colore aviazione con un piccolo fiore rosa appuntato sulla parte destra, che faceva parte di un completino da bambina solitamente utilizzato dalle piccole damigelle delle spose, usanza che stava ritornando di moda, specie tra le persone dei ceti più agiati.
«Beh, oggi è stata davvero una giornata no, forse anche per il tempo» sbirciando oltre la vetrina per rimarcare un cielo bigio, grigio che aveva versato una pioggerella fine fine per l’intera giornata rendendola umida e ancora più calda del solito.
«Adesso non piove e sai cosa ti dico? Prendi il tuo motorino e tornatene a casa prima che si aprano davvero le cataratte del cielo. Queste nubi non promettono nulla di buono: sento aria di temporale.». E quasi a volerle dare ragione, un tuono si levò lontano.
«Sentito? Vai Luisa, qui ci penso io, tanto abito a due passi e, anche se Pietro non è ancora tornato, almeno tu sei a posto».
In quelle ultime parole c’erano tanti significati diversi che andavano oltre il pericolo di evitare un acquazzone improvviso. Luisa ne era conscia, sorrise e con un cenno di assenso del capo uscì dal bancone per andare dietro, nella piccola cameretta, appena più larga di un ripostiglio, chiusa da una tendina a mo’ di porta, dove aveva posato la borsa ed il casco.
Nel percorrere la strada verso casa le tornò in mente quel “Tu sei a posto”. Già. C’erano sette anni di differenza tra lei e Pietro e da tempo si chiedeva se forse non avesse sprecato qualcosa della sua giovinezza. Ormai erano almeno tre anni che non facevano più una bella lunga vacanza insieme. Al più due o tre giorni, poi Pietro doveva sempre tornare al lavoro. Il loro matrimonio aveva perso quella spontaneità, quell’allegria di un tempo per ridursi a una semplice rapporto fatto di gesti ripetuti con monotonia, quasi una deprimente consuetudine, due parole, un bacio veloce. Il sesso poi, quel coinvolgimento che li aveva resi complici divertenti e divertiti, quelle notti, quelle giornate di vere follie, tutto ormai s’era smarrito, completamente. Però lei si era come rassegnata, adeguandosi alla situazione e, nonostante molti clienti che frequentavano il negozio avessero chiaramente mostrato un interesse particolare nei suoi confronti, lei, pur rimanendone comunque contenta. non aveva mai accettato i vari inviti che più di un giovane le aveva proposto. Lo sentiva e lo credeva fermamente: era sposata e questo aveva un suo valore, ma Pietro…
“ Ah Pietro, Pietro” sospirò a bassa voce mentre apriva la porta di casa. Aveva anche pensato di procurarsi un cane, così per distrarsi e magari poter girare con lui durante tutto il suo giorno di libertà dal lavoro, giorno che coincideva con la chiusura del negozio una volta al mese. Ma, forse con la speranza che Pietro riuscisse a tenersi libero per quel giorno, così da passarlo insieme e riuscire a riformare quel rapporto che si stava sempre più sfaldando, continuava a rimandare la sua scelta. Rimanevano le domeniche e le feste comandate, anche se non tutte, perché anche in quei giorni spesso Pietro si doveva assentare. Si era diretta in cucina, osservò il grande orologio posto sopra la porta, segnava le 18,30. Chissà se Pietro sarebbe arrivato per la cena oppure, come purtroppo ormai da tempo accadeva, con un messaggio sul cellulare, di volta in volta sempre più sintetico e sbrigativo, le comunicava che mangiava fuori, di andare pure a dormire perché non sapeva a che ora sarebbe tornato. Si sentiva stanca, non certo per il lavoro, oltretutto il giorno prima il negozio era rimasto chiuso e lei aveva goduto di un’intera giornata di assoluta libertà. E adesso, seduta lì, da sola con i gomiti appoggiati sula tavola e le mani che le sorreggevano il mento, in quella cucina spaziosa e moderna che avevano acquistato con tanto amore pensando di invitare gli amici, visto che ambedue non avevano più i genitori, fantasticando con loro pranzi e divertimento, si rendeva conto di come tutte fossero solo delle vane illusioni. Non avevano amici, o per lo meno lui non aveva amici, solo “colleghi”. Quanto a lei, beh, a pensarci bene l’unica vera amica in fondo era proprio Roberta, che però a Pietro non era molto simpatica. Quella mattina, al risveglio si era sentita in forze, ricordava di essersi persino trovata un po’ “sexy”, ma adesso si sentiva triste, estranea a sé stessa. Ma cosa aveva fatto il giorno prima? Tutto il giorno senza negozio, senza Pietro. Scosse la testa come delusa, si alzò dalla sedia e, avvicinatasi al lavandino, spostò la levetta dell’acqua al fine di farla scorrere per renderla più fresca. Aprì poi l’anta di un pensile dal quale trasse un bicchiere di cristallo in cui versò l’acqua del rubinetto. Sorseggiava lentamente continuando a pensare al giorno prima.

Capitolo Quinto

Pietro cominciava a chiedersi se c’era qualcosa di sbagliato in ciò che ormai da tempo, “troppo?”, andava facendo e soprattutto se fosse nel giusto.
Ma anche quel giorno, con la bella mora, tutto era andato per il meglio. Guidava così, mentre tornava verso casa, almanaccando se davvero il suo agire fosse la soluzione migliore. Diede un po’ distratto uno sguardo all’orologio digitale che brillava sul cruscotto: “18: 30”.
“ Magari questa volta le telefono. Chissà…”. Non ci pensò su due volte, accese il cellulare e subito partì il bluetooth.
Due, tre squilli:
« Pronto?” quella sua voce dolcissima lo fece sentire in imbarazzo.
«Oh, ciao Luisa…»
«Pietro che … che sorpresa!». Adesso c’era persino un po’ di ironia.
Ma lui l’amava, l’amava davvero. L’aveva amata sin dal primo giorno che l’aveva conosciuta.
« Sto arrivando…» Una breve sospensione, quasi a voler riflettere un poco sulle parole da dire, per evitare di fare errori.
« Oggi abbiamo fatto presto, per fortuna, così magari riesco a passare a prenderti al negozio e poi andiamo a mangiare fuori. Ti va? ».
« Veramente sono già a casa. Sai qui è piovuto tutto il giorno» sottolineando quel “qui” «e così d’accordo con Roberta sono tornata prima.».
«Beh, ma, se te la senti, passo da casa e andiamo a mangiare qualcosa fuori, che so una pizza…»
«Come vuoi» adesso, improvvisamente, la voce aveva perso ogni tonalità pareva quasi di un’altra persona.
«Okay a presto.».
Doveva affrettarsi. Accelerò di colpo, voleva, anzi doveva vederla al più presto. Temeva che le cose potessero peggiorare.
Ultimamente era arrivato a pensava che dietro a tutto questo suo agire ci fosse una qualche punizione divina. Del tutto incredibile per lui che non era mai stato un cattolico osservante. Forse a causa dei suoi genitori che non erano mai stati assidui frequentatori di chiese. Certo era stato battezzato, come tutti i bimbi in quel periodo storico, poi comunione e cresima e dopo basta. Per lui il cristianesimo, come qualunque altro tipo di religione, faceva parte di qualcosa di utile solo per le persone che effettivamente ci credevano: per loro, diceva spesso, magari serve, è un vero aiuto, può essere un rifugio dove trovare le risposte a domande che non hanno risposte razionali.
L’auto correva sulla strada mentre il sole iniziava a calare lentamente, prima di scomparire dietro le colline e dal lettore cd si diffondeva la voce di Jessica Harper in Old souls:

Our love is an old love baby it’s older than all our years
(Il nostro amore è un vecchio amore baby è più vecchio di tutti i nostri anni)

L’aveva incontrata per caso in Tribunale. Lei giovane, anzi giovanissima, lui già avvocato abbastanza conosciuto, seppur non avesse ancora tanti clienti. Le si era avvicinata timidamente: «Scusi, mi può indicare per favore la cancelleria del gratuito patrocinio, devo portare una istanza.». L’aveva guardata con sufficienza, poi le aveva visto quelle piccole manine che tenevano un fascicolo voluminoso, sproporzionatamente grande rispetto a quello sottili dita che lo stringevano con forza per non perdere qualche foglio. Aveva alzato lo sguardo sul suo viso e restò colpito anche dagli occhi.
«Venga, l’accompagno». Tutto ebbe iniziò così.

All souls last forever so we need never fear goodbye
A kiss when I must go… no tears… in time… we kiss hello
(Tutte le anime durano per sempre, quindi non dobbiamo mai aver paura di dire addio
Un bacio quando devo andare … niente lacrime … in tempo … ci baciamo ciao ).
Ma era stata dura, difficile da conquistare. E pensare che lui sino ad allora da tutti i suo amici prima e poi anche dai colleghi di lavoro era conosciuto come un dongiovanni a cui nessuna poteva resistere.
Già, nessuna, tranne lei. Nessuna donna, tranne Luisa.
E già si spargeva la voce tra i suoi colleghi che “Pietro il bello” iniziava a perdere colpi.
Era una sfida: doveva vincerla, ad ogni costo. Fece un patto.
E vinse.
Poi però le cose durante gli anni cambiarono.
Non se n’era mai accorto prima. Forse perché durante il fidanzamento, e magari anche nei primi anni da sposi in cui comunque lui si assentava anche tutto il giorno, a volte anche due giorni di seguito per lavoro, certe cose non accadevano?
Era arrivato. Parcheggiò la BMW davanti al portone, spense il motore, scese e suonò il citofono.
« Scendo, sono pronta» gracchiò la voce storpiata attraverso il microfono.
La solita pizza, nel solito locale “La Bella Napoli”. Si ripeteva un rito, senza fantasia, come al solito. Pietro durante tutta la cena continuò a osservarla, mentre lei raccontava con semplicità e spigliatezza la giornata un po’ tediosa e priva di fascino.
«E piuttosto: a te come è andata?» Fu colto un po’ alla sprovvista. Era da un po’ che non gli rivolgeva una domanda così netta sul suo lavoro. Solitamente aspettava che fosse lui a parlargliene. Che sospettasse qualcosa?
« Umph», bofonchiò infilandosi velocemente un pezzo di pizza in bocca per prender tempo. «Ecco…» deglutendo «Cosa vuoi… Bene o male sono sempre le solite storie» E, dopo aver sorseggiato un po’ di birra, finì per esporle uno dei tanti casi che aveva trattato durante la settimana.
«Sarai stanco dopo due giorni così intensi. L’altro ieri tutto il giorno in ufficio e poi oggi di nuovo e chissà a che ora sei uscito… Devi aver dormito poco o niente».
Ecco: si prospettava la solita nottata.
E pensare che Pietro, che era stato tutto il giorno con quella bellissima ragazza, vero che era una prostituta, e che, purtroppo, l’incontro comunque era stato dettato proprio dalla solita necessità di intervenire per evitare il peggio, però … Anzi, forse proprio per la bellezza della moretta, aveva avuto una sensazione di speranza: il poter riprendere quella vita fatta di vero amore e anche di complicità sessuale con Luisa.
Ma niente: ormai erano rimasti ricordi sbiaditi, o forse meglio solo fantasie, fantasie irrealizzabili.
Così anche quella sera Pietro si rese conto che pure il mese successivo in un giorno, un giorno scelto a caso, lei sarebbe uscita di casa al mattino, come al solito sorridente e allegra, ma non per andare al suo lavoro nel negozio di Roberta. Sarebbe uscita per inventarsi una giornata di pura follia andando a vendere il suo corpo da qualche parte per poi tornare a casa alla sera come se nulla fosse e non ricordando più nulla. E lui, dopo aver scoperto il fatto, grazie alle sue conoscenze professionali, aveva trovato il modo di farla seguire dagli investigatori che lavoravano per lo studio. Da quella prima volta, lontana nel tempo, Pietro poi, tutte le volte il giorno successivo, spesso anche sin dalla notte stessa, andava a cercare l’altro o l’altra con cui Luisa aveva passato la giornata per convincerli a tacere e dimenticare l’avventura e la figura di sua moglie. Un mese dopo l’altro, un anno dopo l’altro. Era il patto.

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