Racconto di Luca Tescione
(Terza pubblicazione)
Sara cercava di rassicurarlo con la sua voce pacata, dai modi gentili e garbati.
«Vedrai che risolveranno all’assistenza clienti.»
«Vuoi scommettere che la mia valigia non arriverà sul nastro?»
«Riccardo siamo venuti in vacanza per rilassarci e tentare di ritrovarci. Tutto si risolve prima o poi.»
Sara voleva provare a ricucire un rapporto ormai logoro e spento, che si prolungava per inerzia, senza le motivazioni dei primi anni, senza quelle passioni che li avevano travolti.
La vacanza in Marocco era l’ultima possibilità che si erano concessi.
Ma lui le aveva mentito: al ritorno l’avrebbe lasciata, chiudendo l’ennesima relazione agli sgoccioli. Non riusciva a sostenerne una per più di due anni: troppe convenzioni, obblighi e responsabilità, troppa prevedibilità.
Erano ancora una coppia perché lei insisteva nel ricucire qualcosa che non esisteva più, qualcosa ormai rotto e non più riparabile.
«Questo è l’ultimo giro del nastro, vedrai che arriverà.»
«Io credo che sia stata smarrita.»
Invece, dopo un’attesa interminabile, apparve un’ultima valigia sul nastro: era proprio la sua, alquanto ammaccata ma tutto sommato intera.
«Perché non la ritiri?»
«Mi piace guardarla solitaria.»
Sara gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Non imparerai mai a conoscermi. Questi sette anni sono volati ma tu sei rimasta sempre la stessa. Non arrivi mai al senso delle cose.»
«Conosco i tuoi discorsi, sono sempre gli stessi. Tu pensi di vedere profondità in ogni cosa, io invece sono più pratica e concreta. Tra noi due non sei l’unico a essere dotato di sensibilità, è inutile che mi fai la predica. Siamo arrivati fin qui per cercare di salvare qualcosa di noi, eppure sembra che tu pensi prima a salvare te stesso e poi gli altri. Hai un ego smisurato e non te ne rendi conto.»
«Meglio smetterla di litigare. Preferisco godermi questa vacanza, sono anni che non viaggiamo come si deve e non vorrei rischiare di pentirmene.»
«Perché hai scelto questa meta?»
«Sono stato colto da una sensazione indefinibile quando ho visto le foto di questo luogo in Rete. È sorto un desiderio irrefrenabile che mi ha spinto a venire fin qui.»
Sara diffidava sempre di ogni sua improvvisa decisione. Lei era diversa: non leggeva quanto lui, pensava solo ai vestiti alla moda, ai soldi sicuri a fine mese, alle uscite mondane con le amiche, agli aperitivi in riva al mare e cose del genere. Tranne poi riempirsi la bocca con frasi profonde, riciclate e pubblicate online come slogan.
Lui non le apparteneva più. Era l’immagine di donna ad averlo attratto a suo tempo e non poteva ingannare sé stesso non ammettendo che Sara fosse ancora sensuale dopo tutti quegli anni.
***
«Questo è il quartiere più suggestivo della capitale.»
Il giorno dopo erano davanti alla porta Bab Oudaia, considerata la più bella in stile moresco mai realizzata al mondo.
«Guarda quanto è possente, ha un aspetto che racconta interi secoli di Storia.»
Lei guardava, con malcelato disinteresse, quello che Riccardo le mostrava, ma questi percepiva il suo superficiale interesse solo per piacergli. Si trovavano nella kasbah Oudayas, posizionata sulla collina che guardava da un lato il fiume Oued Bou Regreg e dall’altro l’Oceano Atlantico.
«Guarda, lì c’è un oceano infinito. Da quassù puoi scorgere la più grande vista sull’infinità del mare. Conosciamo i confini del nostro mondo ma lo stesso immaginiamo il mare come infinito, la nostra mente cerca sempre di superare la realtà. Non si accontenta di quello che vede: raggiunto un limite vuole superarlo.»
«Come te che vuoi andare sempre oltre. Mi chiedo, però, che senso abbia cercare di crescere e migliorare, comprendendo sempre di più, se poi non riesci a godere di quello che hai acquisito. Lo puoi fare solo fermandoti ma tu non lo fai mai, non ti guardi intorno, non noti quello che hai accanto.»
Sara era a pochi centimetri da lui, i suoi occhi fissavano le labbra di Riccardo. Quando lui si voltò le loro labbra si strinsero nel silenzio assoluto del momento, confusi in quel paesaggio fiabesco.
Scesero dalla collina per immergersi nel quartiere di La Medina, il borgo antico della città di Rabat. Potevano ammirare le casette bianche e azzurre, i fiori multicolori sui balconi, gli edifici in stile moresco e le gallerie d’arte disseminate a ogni angolo di strada.
I giorni trascorsero senza altre incomprensioni, le sere si susseguirono tra cene sotto il bagliore della luna che si rifletteva sulle mura di cinta e sesso che stavano riprendendo in modo sfrenato. Ma questo, Riccardo lo sapeva, sarebbe presto finito. Solo Sara continuava, ostinatamente, a credere che qualcosa potesse cambiare.
***
Il giorno dopo uscirono di buon’ora perché lei voleva visitare uno dei suq della cittadella antica.
«Dobbiamo recarci al centro, perché i suq sono disposti ad anelli concentrici: quelli più grandi e lontani vendono merci deteriorabili, come pesce ad esempio e, per evitare cattivi odori e rumori forti, li mettono all’esterno.»
Si diressero verso un bancone che esponeva profumi magrebini.
«Sulla mappa è riportato proprio questo punto.»
Sembrava di stare in una fiaba delle Mille e una notte: sul bancone erano disposti flaconi dai colori sgargianti, con etichette variopinte, contenenti strani liquidi che emettevano fragranze sconosciute e, al contempo, gradevoli.
Poi qualcos’altro catturò l’attenzione di Riccardo.
«Andiamo lì!»
«Cosa? Siamo venuti qui perché mi avevi promesso di comprare un profumo che potessi portarmi a casa come ricordo.»
Dall’altro lato della strada c’era una libreria colma di libri, accatastati in numerose pile erette sulla soglia e all’interno.
«Lo sapevo che ti saresti diretto verso quella libreria.»
Un unico passaggio, stretto, come fosse un percorso rituale, conduceva il cliente all’interno del negozio. La porta, che non aveva insegna, era stata costruita con un legno intarsiato che profumava di antico. Seduto su uno scalino c’era quello che, probabilmente, era il proprietario. Indossava semplici indumenti, sbiaditi dal tempo ma ben conservati, portati con un’eleganza che lo distingueva tra la folla dei mercati. Usava degli spessi occhiali ed era chino su uno dei suoi libri, totalmente rapito nella lettura.
«Per la miseria, quanti libri ci saranno qui? Forse migliaia. Lì dentro è buio ma, secondo me, ci saranno altri scaffali pieni di volumi che da qui non scorgiamo.»
«La ringrazio signore. C’è una lampadina appesa al soffitto che, purtroppo, non illumina tutto il negozio.»
Con meraviglia di entrambi il negoziante parlava un inglese perfetto, scandito e chiaro.
«Oh, mi scusi», rispose Riccardo, «l’ho interrotta dalla sua lettura.»
«Si figuri. Non capita spesso che qualcuno si fermi a osservare le ricchezze di questo luogo e, soprattutto, ne rimanga meravigliato quanto lei.»
«È il mio sogno questo, vorrei avere io tutti questi libri.»
«Io ci passo la giornata. Faccio anche dei buoni affari con gli acquirenti. Esiste ancora gente che legge, sa?»
«Io sono un divoratore di libri, soffro di quella patologia per cui compro più libri di quelli che riesco a leggere. Piacere, Riccardo.»
«Piacere mio, Mohamed Aziz. Entri in questa mia umile libreria.»
Per Riccardo quel luogo era come un santuario: la struttura era semplice e scarna, ma l’enorme ricchezza era racchiusa tutta in quei volumi.
«Sono in lingua araba.»
«Certo, tradotti rigorosamente da abili professionisti.»
Aziz gli mostrò una sezione dedicata alle opere di Shakespeare, accanto ai tomi della Ricerca di Proust.
Riccardo prese in mano una copia di Lo Straniero di Camus, uno dei suoi autori preferiti. Le sue dita ne sfioravano le pagine, un po’ ingiallite dal tempo ma per il resto in perfetto stato di conservazione. La sensazione tattile era di piacere assoluto, indescrivibile per chi non sia un vero amante di libri.
«Lei, come me, ama i libri non solo per il loro contenuto, ma anche per l’oggetto cartaceo in sé, per la sua perfezione. Mi riconosco in lei e in queste passioni. Trascorro le mie giornate immerso in questi libri non perché siano prigioni, anzi, ma perché mi trascinano nelle loro storie che divoro senza mai saziarmene. Ogni volta che decido di leggere un libro un nuovo fiore germoglia nella mia mente, un altro albero mette radici nelle profondità del mio animo. E io voglio navigare per esplorare il nuovo mondo che mi viene donato.
Purtroppo sono povero e non ho avuto le stesse occasioni degli altri.
Ma sono comunque felice, lei può capirmi in questo: a me bastano degli occhiali, un cuscino e questi libri. Non desidero altro.»
«Quanti libri ci sono qui dentro signor Aziz?»
«Non abbastanza.»
«Quanti ne ha letti?»
«Non abbastanza.»
Il sorriso di Aziz era così aperto e solare da trascinare Riccardo nell’entusiasmo di quel momento. Sara, per la prima volta da quando erano arrivati a Rabat, lo vide davvero felice.
Riccardo aveva trovato qualcuno che riuscisse a capirlo, con cui fosse in sintonia nel condividere il suo spirito inquieto. In fondo lui si rifugiava nei libri per scappare dalle persone.
«Avrò letto più di quattromila libri ma non mi basterà questa vita per leggerli tutti.»
«La biblioteca di Babele.»
«Borges! È una storia meravigliosa. Ce l’ho conservato qui da qualche parte anche se non ricordo esattamente dove. Mi trovo in questa libreria dal 1967 e ho perso memoria della disposizione di tutti i libri che conservo. Ogni mattina mi alzo presto, intorno alle 5:00, scendo giù tra i mercatini della città e faccio il giro in cerca di nuovi testi che mi ripropongo di leggere e poi rivendere nella libreria. Tranne che per mangiare, fumare, pregare e servire i clienti, il restante tempo della giornata lo trascorro a leggere. Mi nutro di libri, senza di essi non saprei quale significato dare alla mia esistenza. Iniziai a venderli nel 1963, quando avevo solo dieci libri esposti su un tavolino di legno.»
Un velo di malinconia apparve sul suo viso, indugiando per un attimo, per poi sparire.
«Mi è sempre piaciuto studiare, ma non ne ho avuta possibilità. La vita spesso è feroce, qualche volta dolce. Con me è stata crudele: i miei sono morti quando di anni ne avevo solo sei. Rimasi orfano e da allora, per pagarmi gli studi, andavo a pescare nell’oceano cercando così di guadagnare qualcosa. Ben presto mi accorsi che non ce la facevo, non potevo continuare a pagarmi da solo gli studi, anche i libri erano troppo costosi e non mi rimaneva più nulla per vivere. Per cui ho dovuto abbandonare tutti i miei sogni a quindici anni.»
«Mi dispiace. Anche per me è importante lo studio, devo ringraziare mio padre per questo dono.
Io sono stato fortunato, è stato un puro caso nascere dall’altra parte del mondo.
Lui mi pagava gli studi, non voleva che lavorassi perché sosteneva che mi avrebbe distratto da questi. Dovevo concentrarmi solo sui libri, al resto ci avrebbe pensato lui. Si era dovuto fermare alla terza elementare per colpa della guerra e del successivo dopoguerra. Da allora tutto il suo rimpianto l’ha trasformato in opportunità da regalarmi e le sue amarezze sono diventate il mio entusiasmo. Non smetterò mai di ringraziarlo abbastanza per questo regalo.»
«Vedi che ci capiamo entrambi? Abbiamo vissuto due vite in due mondi differenti. Ma l’amore per i libri è uno solo e travalica qualsiasi condizione sociale ed economica. Alla fine, i libri ci fanno viaggiare con la mente. Non ha importanza se i miei piedi sono rimasti qui sulla sabbia e i tuoi su un prato verde. In quei quattromila libri ho vissute quattromila vite, ho visitato quattromila mondi, ho viaggiato quattromila volte nel tempo e nello spazio. E solo per puro caso non ci siamo incontrati finora.
In modi diversi siamo giunti a incontrarci qui, adesso. Scommetto che anche per te i libri sono un rifugio da questo mondo malato e folle.
Io non mi sono mai arreso e ho continuato a leggere e studiare da autodidatta, con l’unica esigenza di possedere quanti più libri possibili. Anche se continuo a lavorare in questa libreria da più di cinquant’anni, seduto sotto la cornice di questa porta che, come una macchina del tempo, mi conduce lontano dall’arida realtà quotidiana che mi vorrebbe vedere arreso, questo desiderio non si è mai affievolito.»
«Anche nel mio prato verde non è tutto rose e fiori. Anch’io sento che questo mondo non mi appartiene così com’è.»
«È per questo che esistono i libri, Riccardo.»
Aziz entrò nella libreria e sparì per un attimo dalla vista. Ne uscì poco dopo con un libro in mano.
«Ti aspettavo da anni. Eccolo, prendilo è tuo. Oggi non vendo libri, ma ne regalo uno speciale a una persona speciale.»
«Devo pagartelo.»
Le mani di Aziz si posero su quelle di Riccardo per evitare che aprissero il portafogli.
«È un regalo, conservalo con cura. Finalmente so che non sono solo a questo mondo. Non sai quanto mi hai reso felice oggi.»
Era un libro piccolo e sottile, chiuso in una busta di carta.
Aziz si raccomandò di aprirlo durante il viaggio di ritorno.
«Leggilo nel tuo mondo: ogni volta che lo sfoglierai si aprirà una porta fra noi due e oltre la soglia ci incontreremo.»
Sara capì poco del discorso e le sfuggì il motivo per cui il libraio avesse donato un libro a Riccardo.
***
I giorni restanti trascorsero tranquilli, senza sussulti. Oramai Riccardo era distante da Sara, sembrava più assente che mai da quando aveva incontrato Aziz.
Durante il volo di ritorno scartò la busta per scoprire di che libro si trattasse.
«Il gabbiano Jonathan Livingston.»
«Che libro è?»
Riccardo la guardò allibito: tanto bella quanto ignorante. Come faceva a non averne mai sentito parlare?
«È un gioiello esattamente come Il Piccolo Principe. Sono cresciuto leggendone la storia. Attraverso queste pagine ho acquisito consapevolezza di ciò che volevo essere e diventare.
Si può volare in due modi: per pescare al fine di mangiare oppure per il puro piacere espresso dalla bellezza del volo.»
Sara non ne colse il senso, non avrebbe mai potuto riuscirci.
Come aveva fatto Aziz a scegliere proprio quel libro fra migliaia? Non poteva essere un caso, ma come aveva fatto Aziz a comprendere il suo animo in così poco tempo?
A metà libro un foglio scivolò sulle sue gambe.
Era scritto a mano, in inglese, con una grammatica impeccabile e una grafia elegante. Non poteva essere stato altro che Aziz a scriverlo.
“Quando saremo lontani, tu a Napoli e io a Rabat, tu nei prati verdi e io sulle sabbie rosse, tu ti affaccerai sul golfo e io sull’oceano: rileggi queste parole e il gabbiano Livingston volerà verso di noi lasciando cadere un altro libro tra le nostre mani.
Lo sfoglieremo insieme e, intenti a leggere le nuove pagine, ci incontreremo ancora, lontani da questo mondo urlante. E nessuno verrà più a disturbarci.”
Sara si era appena addormentata.
Sorridendo, ripose la lettera nel libro richiudendolo con cura.
Chiuse gli occhi e si sentì finalmente libero.
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