Racconto di Daniele Rossi
(Quarta pubblicazione – 12 luglio 2019)
Pure io c’ho il Moleskine, ce l’ho aveva anche Hemingway ma io l’ho saputo dopo che ce l’avevo.
Chissà che ci scriveva lui, che grandi cose che grandi tracce, forse quello che poi tutti abbiamo letto dopo che lo ha rivisto e corretto, fumando e bevendo rum o cuba libre, bel tipo l’Hernest.
Io sul Moleskine ci scrivo cose importanti meno ma significative molto, i punti delle partite a burraco, non ci si rida su, il burraco è una roba importante.
Poi, scrivo pure io, ma da un’altra parte, agenda con anelli i cui refil puntinati ci ha pensato Amazon a fornirmi, li ordini e tac massimo 48 ore ce li hai a casa.
Quando li hai, puoi scrivere, di tutto, anche le ore delle tue giornate cosi come le tue idee di libertà, di un caffè al bar sulla strada che attraversa il paese alle tre di notte, con brioche, puoi scrivere del canale artificiale dove ad opera dell’uomo scorre eterna quell’acqua che sarebbe destinata all’agricoltura ma che lo è sempre meno, va per la maggiore che quell’acqua sia usata per annaffiare prati all’inglese attorno a imborghesite abitazioni anche di ex contadini, non metamorfosi solo cambi di destinazioni d’uso, che vuoi che sia, non opporti al progresso.
Poi scrivo pure delle malinconie mie, quelle non tristi, le malinconie belle, ma lo dico io che son cosi, probabilmente son malinconie quelle tradizionali a cui do il verso che mi pare.
Chissà se gli do davvero il verso che mi pare veramente, magari mi illudo e gli do solo quello che mi arriva dall’epoca in cui vivo, e in questo tempo, volendo, malinconia ce ne sta quanta ne voglio, pure decadenza ce n’è.
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