Racconto di Paola Curia

(Prima pubblicazione – 15 gennaio 2020)

 

Era in mano ai suoi aguzzini da più di un’ora ormai.

Wilson non ne sapeva nulla.

Quella vicenda non lo riguardava affatto, era stato meschinamente incastrato dallo strano automatismo che molti chiamano appuntamento col destino.

“Pezzo d’insaccato, parla! Dove l’hai nascosta?”.

Il tono dei loschi personaggi non era per niente rassicurante, sembrava volessero ucciderlo seduta stante e mentre l’odore pungente di urina iniziava a diffondersi dalla tiepida seduta di vimini, i delinquenti continuavano a prenderlo in giro per via della sua stazza. I tre balordi avevano legato mani e piedi del giovane malcapitato, ad una vecchia sedia a dondolo ammuffita. I polsi, dietro la schiena sudata, stavano a stretto contatto con i fori della spalliera, lasciando sui lembi di carne flaccida, dei cerchietti rossastri che battevano in sintonia il ritmo intermittente delle tempie.

“Giuro che non so niente, non nascondo nulla… stavo solo tornando a casa mia, io da quelle parti ci passo tutti i giorni!”.

Wilson grondava di un sudore acre e maleodorante, nessuno osava toccarlo a mani nude. Il più basso dei malviventi si limitava a punzecchiarlo con una canna di bambù raccolta lungo il fiume che, frettoloso, scorreva a circa venti metri dal covo.

“Allora ciccione, o parli o diremo a tutto il paese che sei uno schifoso piscialetto…dove l’hai messa, parla bastardo!”.

Il capo della combriccola, il cosiddetto Orso, che indossava appunto una maschera di Winnie The Pooh, si voltò con fare intimidatorio, verso il complice dalla folta chioma ossigenata e, digrignando i denti incastonati tra fili di ferro e luccicanti anelletti metallici, iniziò a sussurrare frasi che poco avevano a che fare con la realtà felice e spensierata del dodicenne adescato, con una banale scusa e per pura coincidenza.

“Ratto, ascolta: la qui presente sottospecie di bombolone ti ha visto in faccia, ancora mi domando che fine abbia fatto la tua maschera di Ratatouille, quindi capisci bene che non possiamo rischiare, questa volta la posta in gioco è troppo alta”.

Il famigerato Orso Bruno, all’anagrafe Luca Riotti, bulletto quattordicenne pluribocciato della 2° B, temeva il peggio per sé stesso, per Talpa e per suo fratello Ratto.

Il diabolico trio era stufo di finire nuovamente nelle grinfie del Preside Ambroli che, in varie occasioni, aveva minacciato la brigata con l’immediata espulsione dalla scuola.

Ma questa volta sarebbe stato tutto diverso. Orso aveva studiato il caso nei minimi particolari e la “posta in gioco”, la rarissima figurina calciatori paninari numero 78b, nonché scudetto dell’album calciatori 2015, era un obiettivo per cui valeva la pena rischiare qualsiasi cosa.

Anche la scelta del magazzino abbandonato come sede dell’estorsione, non era per niente casuale, si trattava di un luogo isolato, lontano da occhi indiscreti, situato alla fine di una strada stretta e sterrata ma soprattutto lontano dall’Istituto StudiateBeneRagazzi, fondato nel 1921 da un lontano parente del Preside Ambroli, appunto.  Per raggiungerlo, i tre minorenni, avevano ben pensato di utilizzare l’Ape Car del padre di Talpa. Non si trattava di un reale furto, ma di una sorta di prestito per necessità primarie e, sulla stessa Ape, avevano offerto un passaggio verso casa al povero Wilson che, onorato da tanta bontà, non aveva potuto rifiutare. Se pur privo di patente, il più furbo del gruppo conosceva bene i tragitti secondari che, senza alcun pericolo di posti di blocco, incontri o scontri spiacevoli, avrebbero condotto l’intera brigata a destinazione.

“Allora Wilson è l’ultima volta che te lo chiedo, dove hai nascosto il bottino, lo scudetto dov’è, parla pezzo di salame!”.

Il povero malcapitato non sapeva davvero cosa inventare, ignaro di quella situazione continuava a dondolarsi schizofrenicamente sulla sedia sgangherata e respirava a fatica. Lì dentro mancava l’aria, l’ossigeno e tutto ciò che si potesse inalare a pieni polmoni… forse pieni pieni no. L’atmosfera in quel magazzino era pesante, a ogni brusco movimento dei presenti, si poteva intravedere una cortina di pulviscolo grigio mista a polvere di farina che dalle assi marce del pavimento lercio, risaliva e sostava qualche secondo sospesa a mezz’aria per poi disperdersi in ogni dove. Era da poco che il Deposito-di-Cereali-Fratelli-Corrado aveva chiuso i battenti per cause fallimentari e dei proprietari non rimaneva più alcuna traccia a parte un sacchetto, mezzo vuoto, di farina 00 che giaceva abbandonato sul pavimento lurido, nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Nel bel mezzo di una pausa di riflessione collettiva, che durava da circa dieci minuti, si udì un rantolo anomalo, una sorta di lamento soffocato e interrotto a singhiozzi dal vano tentativo di riprendere fiato.

“Cavolo sto male, non respiro più, soffoco… aiuto”.

Il tono era diverso dal solito, Ratto era accovacciato in un angolo dietro il sacco solitario. Era finito lì poiché, dovendo liberarsi dall’urina che sin dall’inizio dell’avventura gli premeva contro il basso ventre, aveva pensato che quello fosse proprio l’angolo giusto, poiché lontano da occhi indiscreti.

Quindi, mentre con la mano destra reggeva il suo affare, con l’alluce del piede sinistro, prontamente sfilato dal mocassino in ecopelle, stuzzicava l’involucro bianco allargando il foro già presente sul solitario sacchetto di farina. Dopo una veloce scrollatina, il giovane incosciente s’inginocchiò evitando di calpestare i propri umori e con l’indice tirò su qualche grammo della sostanza bianca, l’avvicinò al naso e, calatosi per gioco nelle vesti detective di turno, ne aspirò profondamente prima l’odore e poi, con la punta della lingua ne assaggiò il sapore. Bastarono pochi granelli e il ragazzino iniziò a venir meno. Quella strana limatura biancastra, scambiata da Ratto per normale farina di grano tenero tipo 00, così come riportato sull’etichetta del prodotto, gli provocò da subito sudorazione e allucinazioni. Il ragazzino svenne battendo violentemente il naso sulle assi rialzate del pavimento vintage. I due complici in preda al panico fissarono il corpo esanime del loro compagno, liberarono l’ostaggio, al momento unico supertestimone e scapparono a gambe levate.

Per il povero Ratto vi furono trenta giorni di ricovero, sei mesi di severa punizione e, come se non bastasse, fu messo pure sotto scorta dopo che i reali malviventi, gli spacciatori che persero quell’unico lotto di un taglio purissimo, minacciarono i quattro marmocchi che avrebbero seppellito i loro resti nella rimessa accanto a quel magazzino  abbandonato che, sin dai primi mesi dalla chiusura  del Deposito-di-Cereali-Fratelli-Corrado per dichiarato fallimento, era stato scelto, così per  purissimo caso, come sede provvisoria dei loro affari loschi.