Racconto di Silvana Maroni
(Quarta pubblicazione – 4 novembre 2020)
Avevo aperto gli occhi e fissavo il soffitto bianco. Non ricordavo se fosse mattina, pomeriggio o notte, primavera o estate, ma tenevo in mente soltanto il sogno da cui ero appena uscita e che svelava un varco aperto sulla speranza. Un sogno che evidenziava tutto il mio desiderio represso di libertà, latente nel lungo periodo di reclusione forzata.
Correvo lungo una spiaggia deserta sulla sabbia scura. Il mare mi lambiva i piedi e il sole basso del tramonto mi accarezzava. Le immagini tutt’intorno sfumavano come certi ricordi che il tempo aveva scolorito, come fanno il sole e la salsedine sulla crosta dipinta delle case affacciate sul mare. Arrivavo in un borgo di pescatori, scolpito fra gli scogli, dove i ritmi della vita quotidiana si adagiavano nei molli gesti degli anziani, nel profumo di pane e di gelsomini, nei colori rossastri del cielo striato di nuvole rosa.
Ero tornata a casa: mi sentivo forte e invincibile, bella e radiosa. E lo ero. Sospirai e sentii l’aria salubre della marina entrarmi nei polmoni ed infondermi nuova vita.
Così capii che ce l’avevo fatta. Quel tubo che mi violentava la gola era sparito, avevo perso la cognizione del tempo ma ero lì, viva, a fissare un sorriso dolce e asettico celato da una mascherina e a gestire il ritmo rinnovato delle molecole d’aria nei miei polmoni.
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