Racconto di Nicoletta D’Antò

(Prima pubblicazione – 11 maggio 2020)

 

Ho riattaccato il telefono con l’Avvocato, ho autorizzato la spedizione della raccomandata, più che una guerra al padre di mia figlia è una spedizione punitiva a me stessa necessaria per voltare pagina.

Devo uscire da uno schema che mi vede madre e  figlia, una sterzata, qualcosa che mi tolga questa espressione di  sconfitta dal volto.

Confido sull’intraprendenza di una mia cara amica , che da tempo apprezzo per le sue capacità di rendersi autonoma,  indipendente, laboriosa  senza nessuna smorfia di paura sul volto.  Io sono il suo esatto opposto, per quanto in molti ci scambiano per sorelle, mi intimorisce tutto, perché tutto sembra più grande di me, più forte di me.

Mikonos è la sua risposta alla mia chiamata di soccorso. Ti porto in un’isola Greca delle Cicladi.

Preparo goffamente la valigia, non bado alle raccomandazioni sulle protezioni solari, non sono nemmeno certa di aver racimolato l’occorrente, ma ho cura di portare un quaderno e una penna, le mie emozioni sono gli unici scatti che voglio mettere a fuoco, sono assettata di novità, famelica di profumi e colori.

Appoggio la valigia davanti ad un portico in legno, una piccola deliziosa casetta bianca  dagli scuri verde pastello, un tavolino, due sedie e una finestra che si affaccia sul mare,  mi devo trattenere perché il proprietario di casa deve ancora consegnarci le chiavi, devo convincerlo che sono una turista affidabile,  e iniziare ad urlare, correre, piangere e ridere potrebbe inibirlo dal continuare a fare gli onori di casa.

Non è la sveglia ad alzarmi alle 5 della mattina è il mio cuore gonfio, eccitato, esco  dalla stanza senza far rumore,  non sono dotata del senso dell’ orientamento, quindi mi affido all’istinto e faccio l’esatto contrario, in genere così non mi perdo.

Il vento è fortissimo, il suo vociare mi piace, sembra finalmente far tacere i miei pensieri, è prepotente,  non faccio resistenza, quasi mi faccio guidare. Davanti ai miei occhi si apre un dipinto solenne, maestosi bougainville di un colore magenta serpeggiano su muretti a secco, viuzze che si snodano incastonate tra case che sembrano fatte di sabbia e secchielli.

Sono innamorata di chi ha colorato gli scuri color lavanda e con l’avanzo deve aver pensato, perché non colorarci anche l’apecar per fare pendant?

Individuo il piccolo porticciolo, i pescatori sono di rientro dal mare, fingo di camminare avanti e indietro per scrutare ogni piccolo movimento, il vento  e il sole hanno solcato profonde rughe sui loro volti, mani  grandi ed esperte ormeggiano barche dai colori  contrastanti, rosso e turchese, alcune invece sono del colore del cielo e del mare.

Mi è sempre mancato il coraggio, ma ora lo faccio, individuo un tavolino che si affaccia proprio sul passeggio principale, ho sempre provato pena per le persone sedute sole ad un tavolo, in realtà nascondevo ammirazione, ci vuole coraggio, almeno per una come me, ad ammettere che si è soli per un caffè, ma oggi non ho nessun timore a mostrarlo.

Mi siedo, sono goffa e impacciata ma sono io e sono sola, ordino una brioche con la nutella, ma il cameriere mi informa che servono solo caffè.

Vada per il caffè.

E’ questione di minuti, quando vedo di ritorno il cameriere,  ha in mano tovagliolo  e posate, non capisco, sono la solita penso, come minimo nel mio inglese elementare avrò ordinato una carbonara, invece con il volto sorridente  mi dice che ha rimediato la brioche in un forno poco distante e lo ha farcito personalmente con della cioccolata, a giudicare dalla quantità deve averci svuotato il barattolo, ma io sono grata, getterei le posate a mare se non fosse sconveniente, sono sola, al sole, su un porticciolo di Mikonos e sto annegando in una brioche al cioccolato. Primo scatto. Sono bellissima.

Torno dalla mia amica che ho soprannominato cuore di panna, in realtà è un eufemismo, capelli biondi occhi chiari e un sorriso genuino sono i tratti che ci rendono simili ma lei porta i pantaloni io solo la colazione. Scoprirò poi dalla sua faccia che ho macchiato il suo caffè anziché con il latte con dello yogurt magro,  sono senza parole, lei forse ne avrebbe qualcuna,  ma me le risparmia, ridiamo a crepapelle, io sono anche questa e lei lo sa.

Ti porto alla Piccola Venezia per un aperitivo, l’ora migliore sarà il tramonto.

Ci aspettano per di più coppie, non erano realmente interessate al miracolo davanti ai loro occhi, piuttosto a venire bene in foto o meglio ancora apparire, perché i sorrisi smaglianti duravano il tempo di un click poi iniziavano a discutere sulla messa a fuoco, sul centrotavola che copriva il decolté e così via, quella sera di foto ne ho scattate mille, le ho tutte davanti a me e so che solo l’ Alzheimer potrà sottrarre alla mia memoria un simile spettacolo.

Di ritorno a casa mi accorgo che ho dimenticato la mia carta di credito nel locale dove abbiamo cenato, mi dirigo di nuovo verso la Piccola Venezia, la peculiarità è data da un passaggio molto stretto e impervio tra tavoli e sedie, rallegrato dalle onde che ti obbligano a scegliere il momento in cui devi avanzare a scatti, a salti, a gridolini e se sbagli il tempo, lasciarti andare alle imprecazioni.  Ora, non tanto all’andata che ho domato la mia frenesia perché senza carta di credito avrei passato il resto della vacanza a mendicare, ma rientrata l’emergenza, nessun balzo, nessuna pausa, ho atteso l’onda, ho giocato sulle pozzanghere, ho corso ad occhi chiusi, cosa importava se nelle scarpe sembrava gracchiassero le rane. Secondo scatto. Sono felicissima.

Ne ho scattate tante di fotografie durante la nostra vacanza ma queste mi sono rimaste nel cuore, perché a Mikonos ho conosciuto una nuova me e mi è piaciuta così tanto che me la sono portata a casa, anche se a dire il vero a casa mi ci ha portato cuore di panna perché io starei ancora a domandarmi se girare a destra oppure a sinistra. Terzo scatto. Sono grata.