Racconto di: Carlo Giarletta
(prima pubblicazione – 24 giugno 2020)
Lo stato del ricordo ritorna ad oltre vent’anni addietro, si cristallizza, mette il fermo ad un’immagine, è l’inquadratura del mio passaggio sul litorale di Nettuno. Transitavo in una strada a filo di separazione tra mare e pianura, seduto dentro un cavallo a motore a quattro ruote, i finestrini erano semiaperti. Viveva la fase più avanzata di un giorno partorito da una splendida estate, in calo verso l’imbrunire. L’auto scivolava tra effluvi pregnanti eppur non eccessivi per intensità. Mi sfiorava la loro soffice essenza, l’alito marino si coniugava, fondeva e confondeva con quello della terra. La luce s’increpuscolava. Armenti non troppo lontani dall’arenile deambulavano, lentomobili elementi dell’affresco naturale. Nelle campagne circostanti la vegetazione appena vibrava, mossa dal soffio debolissimo del vento, avvolta dal progressivo umidore portato dal velo del crepuscolo, l’estate già scaricava i suoi vapori nell’ora antecedente. Contadini, animali, aratri, fattorie, case coloniche, li vide intersecati nei dintorni la mia trepidante immaginazione, corroborata dal conforto di un possibile realismo, proiettata indietro nello scorrere all’incontrario dei secoli.
Delle “Bucoliche” di Virgilio rilessi, senza la materia delle pagine scritte, la descrizione di terreni ubertosi, copiosi di messi. Vidi le zolle, fumiganti, emanavano umori, spirali incorporee risalivano alle narici, un canale aperto ad un’ubriacatura panteistica. Mitologie di uomini, dei ed eroi, figure delineate in nomi come Giove, Giano, Ascanio, Romolo, Enea, campeggiavano nell’estensione dei vetusti territori pontini, sabini, latini, mostravano un chiaro sembiante di ombre aleggianti dinanzi agli occhi della mia mente. Lupi figli dei figli dei figli ad libitum di quella lupa compagna sorella benefattrice di rea Silvia, in moto nella geografia lontana di forre, valli e pianori, andavano in branchi, brace per le prede negli occhi, amore per i cuccioli nell’istinto. Domestici e selvatici, i viventi tutti accoglievano il sopraggiungere della sera; bufali punteggiavano fazzoletti di terra, masse scure sfaccendate, alzavano la testa al passaggio di un treno. Voci e suoni, lievi canti ed incanti davano il tocco dell’armonia nel piccolo universo, il cristallo dell’aria tintinnava sulle pareti del creato. Strisce, filamenti e lembi variegati rosso brunastri, accennate sfumature indaco e viola si insinuavano a colorare le pareti del cielo, soppalco e specchio a perpendicolo sul pavimento del Tirreno.
Mani febbricitanti sullo sterzo, mi sentii trasformato in filo d’erba e canna accanto al corso d’acqua, refolo di vento ed aere immobile, lucciola silente nel suo lucore e grillo insistente canterino, gatto in presa di sorcio e donnola ladra di uova, granchio zampettante sul bagnasciuga e pesce volante a perforare le onde, frammento salino e granello di polvere: …completo schiavo di ebbrezza. Lo spirito era scosso da palpitazioni, trapassai minuti di percorso avvicinato all’estasi…
Quel giorno mi segnò, la sua bellezza continua a scorrere ferma sulle distese delle rimembranze. Frammenti della mia anima si polverizzarono e restarono, pulviscoli inscindibili, là, sul litorale di Nettuno.
Scrivi un commento