Racconto di Silvio Donà

 

Redazione (L) Belle parti descrittive, si legge tutto d’un fiato in attesa della sorpresa finale, proprio una sorpresa, inizialmente anche divertente.

 

 

Rocco non aveva particolari motivi per odiare le vecchie.

Eppure le odiava ferocemente.

Il solo vederne una arrancare per strada con la busta della spesa, o aspettare l’autobus con gli occhiali da vista sulla punta del naso, lo mandava in bestia. Gli si scatenava dentro una rabbia irrefrenabile e sentiva spaventosamente forte il desiderio di ucciderle.

Infatti le uccideva.

La prima l’aveva fatta fuori quando faceva pratica con la macchina, ai tempi della patente. Percorreva la provinciale di mattina presto, in un tratto assolutamente sgombro, fiancheggiato da un canale pieno d’acqua per le recenti piogge, quando era comparsa all’orizzonte l’insopportabile figura di una vecchiaccia in bicicletta.

Il vestito nero si ingobbiva sulla decrepita bici arrugginita, mentre le gambe mulinavano faticosamente in un incedere incerto e dondolante.

Era stato più forte di lui.

Davvero gli era stato impossibile non dare una piccola sterzata a destra nel momento in cui la sorpassava. Una sterzatina da niente, sufficiente a urtarla, farle perdere l’equilibrio e mandarla ad annegare con un gran volo planato dentro il fiumiciattolo.

Fu allora che scoprì la gioia immensa che quel innocente passatempo era in grado di offrirgli.

Da quel giorno, di tanto in tanto, quando era particolarmente nervoso e depresso, si concedeva lo sfizio di far fuori una vecchia.

Dapprima era stato molto discreto. Aveva ripetuto un paio di volte lo scherzetto dell’auto. Quindi aveva utilizzato il sistema di sparare loro da lontano, con un fucile, durante la stagione della caccia, quando ne trovava qualcuna sola nei campi intenta a zappare. Infine, costatato che le forze dell’ordine non sembravano preoccuparsi eccessivamente se qualche esuberante ragazzotto faceva fuori un paio di vecchie l’anno, era passato all’eliminazione vis a vis: decisamente più divertente.

Le aspettava di sera, in una viuzza solitaria di qualche cittadina dei dintorni, magari mentre tornavano dal rosario, e piantava loro nella schiena un bel coltellone da macellaio. Oppure la strozzava con un robusto filo di nylon. O magari la randellava con una mazza da baseball. Secondo l’ispirazione.

Quella sera di settembre Rocco si sentiva per l’appunto molto nervoso e molto depresso. Il capoufficio aveva ferocemente criticato un suo faticoso lavoro di catalogazione. Quel vecchio bastardo: quanto volentieri lo avrebbe smarmellato passandoci sopra con una betoniera!

Aveva davvero un gran bisogno di distendere i nervi. E, per fortuna, sapeva come fare.

Negli ultimi tempi aveva preso l’abitudine di recarsi alla messa serale; sedeva negli ultimi banchi di una delle chiese della città e si leccava i baffi osservando lo straordinario campionario presente di vecchie bigotte. Era divertente selezionare le più antipatiche e fantasticare su come gli sarebbe piaciuto toglierle di mezzo.

Quella sera non si sarebbe limitato a fantasticare ma, scelta la più odiosa tra tutte, l’avrebbe seguita sulla strada di casa. E l’avrebbe ammazzata.

La individuò immediatamente. Piccola, tracagnotta, con due incredibili gambette storte ricoperte da orride calzacce di lana color topo, un fazzolettone nero in testa, naso alla Cyrano de Bergerac, bocca accuratamente sdentata, gengive rosso carminio con cui sorrideva beatamente a tutti i presenti.

Rocco fremette per tutta la durata della cerimonia, accarezzando il manico della piccola mannaia che aveva comperato per l’occasione. La teneva sotto il giubbotto, agganciata a un’apposita imbragatura.

Finalmente il prete diede l’andate in pace e la gente uscì. Fuori era quasi notte. Rapidamente le vecchiacce si dispersero.

Fortuna volle che la vittima si avviasse solitaria lungo alcune viuzze male illuminate sul retro della chiesa. Rocco sorrise: tutto andava meravigliosamente per il verso giusto.

La seguì in silenzio fino a quando gli parve di essere giunto nel luogo adatto. Un tratto di strada deserto, senza diramazioni laterali, con pochissimi balconi, debitamente sprangati.

Assolutamente perfetto!

Un solo sbiadito lampione gettava sulla scena la giusta luce, incerta e malata. Rocco, che ormai seguiva da presso l’arrancare della vecchia, la chiamò con voce flautata. Gli piaceva immensamente vedere l’espressione di quelle brutte facce rinsecchite quando finalmente capivano cosa aveva intenzione di fare.

– Nonnaaaa… Nonninaaaa… Vecchiacciaaaaaa…. –

Quella si bloccò, infine, girandosi lentamente. Non aveva affatto l’aria spaventata; conservava invece un’espressione vomitevolmente gentile, un po’ rincitrullita, da nonnina del Mulino Bianco.

– Desidera giovanotto? – biascicò, sputacchiando dalle gengive.

– Farti vedere una cosa… – sussurrò Rocco, impugnano la mannaia e sventolandola in aria.

– Anch’io ho una cosa da farti vedere, giovanotto – fu la sorprendente risposta. Dopo di che cominciò a sollevare il lembo inferiore della gonna. Rocco rimase pietrificato dal disgusto. Ma come: lui tirava fuori una mannaia e quella arteriosclerotica improvvisava uno spogliarello?

Invece non era uno strip.

Sempre sorridendo, la vecchiaccia trasse dalla giarrettiera una calibro 38 con silenziatore, la spianò reggendola con entrambe le mani e, con un solo e discreto “PLOP”, aprì un terzo occhio a Rocco, proprio in mezzo agli altri due.

Mentre il ragazzo piombava all’indietro come un sacco di patate, la vecchia allargò progressivamente il sorriso, aspirando inebriata il fumo che usciva dalla canna della pistola.

 

Genoveffa non aveva particolari motivi per odiare i ragazzi.

Eppure li odiava ferocemente…