Racconto di Fabio Maschietto

(18 febbraio 2021)

 

 

Quella mattina la sveglia era puntata alle sette ma già verso le sei e mezzo mi svegliai, forse per la preoccupazione di fare tardi all’appuntamento o forse solo perché la luce del sole già caldo di quell’ora era entrato nella mia stanza. Comunque stetti a letto a dimenarmi un po’ sino a quando la sveglia squillò. Non era il solito squillo, ma l’alarm time era puntato con la stazione radio di una rete privata, così cominciai ad ascoltare la famosa “A different corner” di George Michael. La prima volta che ascoltai quella canzone (non mi ricordo con precisione di che anno era) fu a casa di amici, ad una festa, e ricordo benissimo quel lento in sottofondo mentre ballavo con Alessia, una mia coetanea che avevo conosciuto però solo in quell’occasione. Eravamo a casa di Fabrizio (era sempre lì che organizzavamo le feste perché lui aveva spazio e i suoi erano spesso fuori) era il compleanno di Marco, ed eravamo circa una dozzina fra cui alcune persone nuove amiche di Marco. A parte il festeggiato, io e il padrone di casa c’erano appunto Alessia con altre cinque ragazze e altri quattro ragazzi, insomma idealmente tutti accoppiati anche se nessuno di noi lo era veramente. A quelle feste ci divertivamo molto, ma di quella giornata ho ancor oggi un ricordo particolare legato molto a quella canzone. Soprattutto di Alessia. Dopo vari balli, giochi, discorsi e varie cose che si fanno alle solite feste da sedicenni, mi ritrovai solo con lei nella stanza adibita a ballare mentre tutti gli altri erano fuori a mangiare e chiacchierare, con appunto in sottofondo quella canzone. Ricordo che era seduta nella poltroncina e io entrai perché sentivo quella canzone che mi piaceva, al momento neanche quasi la vidi ma poi fu lei a salutarmi, così le chiesi se voleva ballare con me e mi disse (credo scherzosamente) che visto che ero l’unico pretendente rimasto non poteva rifiutare. Mentre ballavamo le mie mani con un po’ di esitazione accarezzavano la sua schiena, le sue mani invece erano all’altezza delle mie spalle, così vicine al mio collo che ricordo ancora quanto fosse forte il battito del mio cuore. Ballammo stretti stretti con la mia bocca che si appoggiava sul suo collo, e le nostre guance che si toccavano. Sentivo il suo profumo così buono che si impossessava di me e così piano e dolcemente la mia bocca scivolò vicino alla sua e senza esitazione provai a baciarla forse un po’ impaurito per una sua reazione. Insomma ricordo “A different corner” perché mi rammenta il primo bacio che diedi ad Alessia che è stata la mia fidanzatina per parecchi mesi.

Mi alzai e feci colazione, mi feci la barba e la doccia e mi vestii. Avevo appuntamento alle nove con Alessandra e mi ero offerto di accompagnarla a visitare un po’ Venezia in quanto lei non c’era mai stata. Ale (le piaceva essere chiamata con questo diminutivo) era in vacanza al Lido di Venezia, dove io abito, dove fanno la Mostra del Cinema tanto per capirci.

 

Era lì solo da pochi giorni ospite di una sua amica e io l’avevo conosciuta quasi per caso una mattina mentre facevo footing. Ci trovammo puntuali all’appuntamento e le illustrai l’itinerario che mi ero prefissato e al quale lei diede la sua piena approvazione. Trovammo anche una giornata ideale, non troppo calda e con una leggera brezza di vento che scompigliava un po’ i suoi bei capelli biondi, lunghi fino a poco oltre le spalle. Passammo una giornata stupenda. Visitammo Piazza San Marco con molta cura, le spiegai tutto quello che sapevo (non come una guida ma me la cavavo discretamente), bevemmo un caffè al Florian, uno dei più vecchi e famosi locali veneziani e poi continuammo il nostro cammino. Con la promessa che un altro giorno o magari in un’altra occasione le avrei mostrato meglio la città non riuscimmo a vedere Venezia in tutto il suo splendore (in effetti ne servirebbe molto più di tempo) e così dopo che nel pomeriggio riuscimmo a vedere anche qualche stradina particolare e insolita per lei ritornammo verso casa, verso il Lido che erano passate da poco le sei, visto che anche Ale dava qualche segno di stanchezza non essendo abituata a camminare molto. La invitai a concludere la serata a casa mia promettendole di cucinare per lei, ma mi disse che non sapeva se la sua amica avesse organizzato qualcosa e che se per me faceva lo stesso mi avrebbe telefonato più tardi in caso fosse stata libera. Poteva essere una scusa per dirmi gentilmente di no, poteva anche non essersi divertita quelle ore con me facendomi pensare al contrario, o semplicemente poteva avermi detto la verità. Non potendo fare altro accettai, anche perché sapevo che l’avrei rivista il giorno dopo sulla spiaggia e ancora per tre, quattro giorni. Così ci salutammo e andai a casa dove mi feci di nuovo una doccia, accesi lo stereo e mi sedetti nel terrazzino a sorseggiare un Gingerino pensando a cosa prepararmi per cena. L’idea era quella di prepararmi una pasta con del tonno, olive e dei pomodorini tagliati fini e poi spadellare il tutto, ma pensai anche che forse potevo ordinarmi una pizza e mangiarmela tranquillamente a casa. Infatti quella sera nemmeno io avevo impegni particolari se non di ritrovarmi con qualche amico dopo cena e passeggiare come al solito per le stradine, piene di piaggianti, del bel lungomare lidense. Così mi alzai, mi misi addosso un paio di pantaloncini e una maglietta e optai per farmi la cena personalmente, ma mentre mi accingevo a preparare sul tavolo tutti gli ingredienti squillò il telefonino. Era Alessandra. Mi disse che per la sera era libera ma però non prima di un’oretta e che non era molto sicura di voler accettare l’invito a casa mia ma di preferire una pizza in qualche posto se per me andava bene. Per me non andava bene avendo immaginato tutta un’altra serata. Provai a convincerla e dopo un po’ accettò. Mi cambiai di nuovo e cominciai a preparare. Sicuramente avrei fatto più bella figura avendo accettato di uscire e di cenare fuori senza farla sentire in imbarazzo nel venire da me, ma mi sentivo particolarmente in vena per cucinare che insistetti anche troppo, forse lasciandole poche altre alternative. Entrò in casa verso le nove e mezzo, la invitai a sedersi sul divano e le offrii un aperitivo di quelli fai da te a base di su

cco di frutta con un po’ di vino bianco. Era bellissima. Indossava un paio di jeans a vita bassa che facevano intravedere leggermente il nero

del perizoma, portava una maglietta nera corta di quelle che lasciano fuori l’ombelico e un paio di sandali neri. Le sarei saltato addosso! Ci sedemmo sul terrazzo dove avevo preparato il tavolo e dove ricevetti i suoi complimenti per come era apparecchiato, e sorridendo in un modo molto seducente e molto spontaneo disse che mancavano solo le candele. In poco tempo mangiammo tutto quello che avevo preparato con tanta cura. Poi sparecchiai e offrrii un pezzo di crostata mentre facevo bollire il caffè e stemmo li seduti a guardare quella splendida serata con parecchie stelle parlando della giornata appena trascorsa e di altre varie cose. La voglia che avevo di toccarla, stringerle la mano, era tanta ma qualcosa mi teneva. Le chiesi se voleva andare a fare due passi o andare a bere qualcosa vicino alla spiaggia, magari cercando di incontrare qualche conoscente ma disse che preferiva stare ancora un po’ seduta lì a chiacchierare e poi tornarsene a casa anche perché era un po’ stanchina. Fumammo anche un paio di sigarette e bevemmo anche un goccio di amaretto. Poi successe quello che forse mi sarebbe piaciuto accadesse. Le nostre sedie erano abbastanza vicine e i nostri gomiti quasi si toccavano e a volte tra una parola e una battuta le facevo o una piccola carezza sulla mano o le spettinavo un po’ i capelli, e mentre la mia mano le aveva stretto un po’ il ginocchio dopo una sua frase scherzosa, lei me la fermò e la sua mano stette sopra la mia. Quegli attimi durarono un’eternità. I nostri sguardi cominciarono a incrociarsi e con la mia mano le accarezzai il suo bel viso. Mi avvicinai alla sua bocca e appoggiai le mie labbra sulle sue. Iniziammo così un viaggio d’amore lungo un paio d’ore coscienti che quello che stavamo facendo era sicuramente un’avventura voluta da entrambi ma che sarebbe durata solo nei nostri ricordi. Il suo corpo era come fosse vellutato. Le sfilai la maglietta alzandola dalla sedia e accompagnandola verso il divano sempre con le nostre lingue che si cercavano, ci sedemmo e ci baciammo ancora. Non mi sembrava vero. Non portava reggiseno così le mie mani trovarono subito il calore dei suoi seni mentre lei cominciò a sbottonarmi la camicia e a slacciarmi la cintura. Cominciavamo un po’ a sudare. Le tolsi anch’io i jeans e restammo io in boxer e lei con il suo perizoma. Ci stringemmo forte sino a levarci anche quello che ci rimaneva addosso, eravamo nudi con i nostri sessi che si toccavano. Facemmo l’amore per due volte. Era già passata l’una quando ci rilassammo stesi sul divano cercando di contare quella scia di stelle che riuscivamo a vedere dalla porta aperta del terrazzo. Cercavo di stringerla forte a me sapendo che quei pochi momenti erano le uniche cose che in futuro potevo ricordare. Lei si lasciava stringere. Accesi in sottofondo lo stereo e col volume quasi a zero ascoltammo un po’ di musica. “A different corner” !