Di Otis – Redazione
(31 gennaio 2021)
L’amore platonico
Era una relazione così intensa e cerebrale, così profonda e intima,
così platonica e scevra da qualsiasi contaminazione dei sensi, da
apparire favolistica e anacronistica.
Era un rapporto immerso nella spiritualità e nella nobilitazione del
pensiero; poteva essere collocato temporalmente nel 1200, ai tempi di
Dante e Petrarca, quando il Dolce Stil Novo poneva il cor gentile
come strumento che da virtude traeva ispirazione.
Momenti magici di corrispondenza e di amplificazione sinaptica. Come
una droga si traeva, dalla stupefacenza degli input ricevuti, nuovi
stimoli e nuove visioni.
Erano solo parole, ma gli effetti di quei termini precisi messi in
fila a formulare un pensiero, avevano la capacità di produrre, in una
sequenza logica e assolutamente incontrollata, una serie di
considerazioni che si originavano in maniera così rapida e spontanea
da apparire ipnotica.
Si sentiva un tutt’uno con il suo cervello, con i suoi neuroni in una
dimensione spazio-temporale annullata … potevano andare avanti per
ore a scriversi o a parlare. Era il piacere di percepirsi dentro
l’anima in orgasmo intellettuale a cui non riusciva a rinunciare.
Eppure qualcosa mancava.
Guardarsi negli occhi … ad esempio.
Si chiese a un certo punto se quella sensazione sublimata dalle parole
scritte o dalla voce telefonica era il sintomo di una infatuazione mai
provata prima.
Era quasi amore? No non era nemmeno un quasi. Era l’illusione di un quasi amore.
La ricerca del piacere
Lui diceva “Ti amo” e le sue mani l’avviluppavano nel desiderio
convulso della carnalità.
IL gesto seguiva la pulsione incontrollata attraverso
l’amplificazione dei propri sensi. Il tatto: accarezzava e baciava la
sua morbida pelle. La vista: con gli occhi frugava nei suoi occhi e
guardava il suo corpo in ogni piega. L’odorato: aspirava il suo
profumo e con il gusto assaporava la sua bocca.
“Parlami” diceva, così che anche l’udito entrava nel gioco della
ricerca del piacere. Il desiderio si concentrava tutto nel punto
fatale, inturgidiva il sesso e si ergeva a rivendicare la fuga dal
mondo e la pace di un istante. Un orgasmo nel quale dimenticava la sua
stessa vita, un’estasi nella quale si perdeva, risucchiato in quel
nulla da cui tutto si origina.
Durava un momento e quel momento diventava l’eternità cui anelava.
Quante volte e a quante donne aveva detto ti amo? Quelle due parole
avevano il potere di aprire le porte di quel paradiso. Un paradiso
effimero e illusorio che appena raggiunto lo avrebbe condotto
repentinamente nel vuoto della sua esistenza.
E il dolore dopo si faceva più forte.
Eppure diceva “Ti amo” e tutte le volte era sicuro che l’amore stesse
lì…in quel piacere da ricercarsi nella massima espressione del
desiderio e dell’estasi provata …
Era quasi amore? No non era nemmeno un quasi. Era un’illusione.
certe cose si fanno, canta mina, illusione?