Di Otis – redazione
(18 dicembre 2020)
La parola è un simbolo oltre che uno strumento di comunicazione. La parola scritta lo è ancor di più, perché esiste, si fa concreta e resta come testimonianza.
Nel linguaggio verbale intervengono altre forme di comunicazione come l’intonazione della voce, l’espressione del viso, la postura e la gestualità; la metacomunicazione dà forza e limita le possibilità interpretative, mentre nella scrittura il significato del pensiero viene demandato alla precisa scelta dei vocaboli, nella ricerca dei termini e della loro capacità di essere utilizzati per dare puntualità a ciò che si esprime.
Attraverso questo esercizio si può scoprire che ogni parola che pronunciamo o che scriviamo racchiude in sé, come uno scrigno, un’infinità di significati che vengono espressi nel legame tra una parola e l’altra. In realtà attingiamo a un universo interiore invisibile anche a noi stessi.
Dice il poeta che sono le parole a impadronirsi del pensiero e non viceversa.
Credo sia vero.
Scrivere soddisfa il bisogno di comunicare e aldilà delle forme narcisistiche, che pure guidano alcuni scrittori, aldilà della ricerca delle forme estetiche dello stile, scrivere è un mezzo attraverso il quale, nel bene o nel male, si definiscono i confini e le gabbie mentali nelle quali si muove il pensiero.
È nella comunicazione tra chi parla/scrive e chi ascolta/legge che si stabilisce un rapporto mediato dal “potere” delle parole ed è un potere conferito dalla capacità di esprimersi “con il cuore” così come ci dice il maestro buddista giapponese Makoto Doka: “Le parole che usiamo possono avere una forza incredibile, ma il linguaggio che usiamo è la punta di un iceberg. Qual è la parte sommersa? È la mente della persona che parla/scrive e la mente di colui che ascolta/legge”
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