Fiaba di Elena Soprano
Illustrazioni di BDB
Un giorno il rider Enrico, che stava facendo una consegna con la sua bici rossa fiammante, si fermò per bere un sorso d’acqua a una fontanella e trovò un minuscolo brillantino. Lo rigirò tra le dita poi si accorse che poco distante c’era un’anziana signora che rovistava tra le aiuole. Sembrava avesse perso qualcosa di gran valore.
«Ohimé….Ohimé!» ripeteva «Dove mai sarà?»
Il rider si avvicinò e le domandò se per caso non stesse cercando proprio quel brillantino.
«Sì, è proprio lui!» rispose la signora «E’ l’occhio del mio Pavone!»
La donna infatti aveva sulla giacca una spilla a forma di pavone a cui mancava l’occhio.
«E’ un brillantino di plastica, ma senza quello il mio pavone non può volare!»
«Volare?» ripeté Enrico.
«Se me lo dà,» continuò la signora «glielo mostro subito!»
La donna, che si chiamava Alfonsina, rimise l’occhio del pavone al suo posto. Poi si sedette sulla panchina. E lentamente, a bassa voce, cominciò a raccontare una storia toccando di tanto in tanto la spilla sulla giacca. Un autista di autobus che aveva finito il suo turno di lavoro, incuriosito, si fermò ad ascoltare. Poi si fermarono una ragazza che con una grande borsa andava alla scuola di danza, una signora appena
uscita dal parrucchiere, una mamma coi suoi due bambini, un ambulante africano con dei libri che nessuno voleva comprare.
Ascoltando quella voce così calma la gente sembrava dimenticarsi che cosa fosse la fretta. E di essere in città. Immaginavano tutti di trovarsi nei posti di cui Alfonsina raccontava: in palazzi di conchiglia, sul dorso di draghi dorati, in castelli costruiti su giganteschi alberi.
«Be’, adesso devo andare,» disse a un certo punto la donna «il mio pappagallo Bruno mi aspetta per il thè. Ma se volete sentire un’altra storia, tornate domani.»
E così, tutti i pomeriggi, il rider Enrico e molte altre persone andarono alla panchina ad ascoltare Alfonsina. Poi però venne l’inverno e con il freddo la signora non si presentò più.
«Forse è ammalata!» pensò Enrico. Avrebbe tanto voluto sapere dove abitasse, ma non glielo aveva mai chiesto.
Un giorno, consegnando delle pizze in una zona nuova della città, si ritrovò in un vicolo. Lì, infreddolita, con dei cartoni sulle gambe per ripararsi dal gelo, c’era Alfonsina. Enrico capì che non aveva una casa, che non aveva neanche un pappagallo di nome Bruno e che si vergognava a farlo sapere agli altri. Allora ebbe un’idea: quella sera stessa la invitò a casa sua perché continuasse a raccontare le sue storie.
«La potrei invitare una volta da me!» disse allora l’autista di autobus che era andato da Enrico.
«E poi da me!» aggiunse la mamma dei due bambini.
Le storie di Alfonsina toglievano tristezza e stanchezza. Se si era di cattivo umore si tornava allegri. Facevano persino passare il raffreddore. Le persone che la invitavano a raccontare diventarono così tante che a turno, in una casa ogni volta diversa, Alfonsina ebbe sempre un posto per dormire tranquilla. Fu così che, di casa in casa, cominciò a spostarsi anche di paese in paese, arrivando persino in Olanda. Il Pavone l’aveva fatta volare davvero.
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