Fiaba di Maurizio Laurenti

Illustrazioni di BDB

 

C’era una volta, in una piccola casa di campagna, una vecchia signora appesantita dal tempo e dalla fatica del lavoro di una vita.

Curva su sé stessa, con le gambe che ormai non la sorreggevano più, stava tutto il giorno seduta sulla poltrona davanti al televisore.

Guardava dalla finestra alla sua sinistra e vedeva il terreno del suo giardino, con gli alberi ed i fiori che sbocciavano e sfiorivano con l’andare del tempo.

Nella sua vita aveva avuto tanti animali che le allietavano le dure giornate, facendole compagnia: capre, galline, cani e gatti, ed ora non ne aveva più nessuno, e si sentiva triste.

I capelli argentati le correvano sul viso come fili intrecciati, e gli occhi, simili a specchi di acqua cristallina, lasciavano scendere gocce di rugiada che si incanalavano come ruscelli nelle rughe del viso.

La sua terzogenita, che l’accudiva con amore, vedendola ogni giorno più triste le portò un bellissimo cucciolo. Ma seppur gioioso come tutti i cuccioli, era pur sempre un cucciolo. Forse era più lui a pretendere amore, affetto e compagnia di quanto potesse darne alla vecchia signora.

Si decise, quindi, di prendere delle galline. D’altronde, la vecchia signora ne aveva allevate tante in vita sua, e stare a contatto con esse l’avrebbe resa attiva.

Era quanto speravano le figlie.

Il giorno dopo si andò in un negozio di animali. Galline non c’erano, ma solo pulcini. Quindi comprati nove di essi e il mangime appropriato, si tornò alla piccola casa di campagna.

I pulcini furono sistemati in una cassetta di legno (quella della frutta), con tanto di paglia, mangime di granturco, acqua a volontà e tanto amore al riparo nella cantina della casa.

Ora si attendeva la crescita e la trasformazione in galline dei “puffetti gialli”.

Crescevano a vista d’occhio, cambiando il piumaggio da giallo a marrone chiaro, giorno dopo giorno, tanto che furono necessarie altre otto cassette della frutta come giacigli, affinché potessero ognuna riposare nelle loro casette.

Ogni mattina le galline uscivano, ammassandosi davanti all’uscio della cantina in maniera caotica: chi correva a sinistra, chi a destra, chi beccava il terreno alla ricerca di una piccola colazione estemporanea.

Al sorgere del sole otto uova. Le stesse venivano pulite, incartate, e vendute in giornata per provvedere con il ricavato al loro mantenimento, comprare il mangime e tutto quello che serviva.

Le uova, richiestissime, erano fresche e fatte da galline che vivevano in un ambiente sano, immerso nella natura. A poco a poco si riuscì ad avere un cospicuo gruzzoletto.

Tutte sfornavano un uovo al giorno, o meglio, quasi tutte. Eh sì, all’appello ne mancava sempre una. Perché?

A questo interrogativo avremmo avuto una risposta a breve.

Infatti, ci accorgemmo che una di loro, con ampi gesti delle ali e movimenti del becco, riuniva le altre in una sorta di gruppo. Era una gallina dal piumaggio folto e colorito. Era lei che non deponeva uova?

Era molto impegnata, impartendo ordini alle altre, e questo la rendeva iper-attiva. Per fare uova e covare occorre riposo e calma, doti che non erano di certo consoni al suo modo di fare.

Pensammo immediatamente di aver trovato la gallina che non deponeva uova e, per questo motivo, la chiamammo sorridendo “Pollo”.

Detto questo, con le galline riunite e con “Pollo” a capo, le pennute cominciarono a percorrere, a becco alto e zampettando, una breve salita per raggiungere il piccolo appezzamento di terreno antistante la casa, percorrendolo tutte in fila per due, formando un plotone variopinto e canterino che riempiva l’aria di suoni e colori.

La vecchia signora le osservava con la coda dell’occhio entrare nel terreno davanti alla sua casa.

Questo passaggio ne addolciva il viso e sorridendo applaudiva il breve percorso. Per noi, questo era già un successo.

Identificato in “Pollo” la gallina che non deponeva uova, occorreva a questo punto investigare per capirne il motivo.

Ci organizzammo affinché si potesse indagare con discrezione.

La stessa notte con il materiale giusto e necessario, lampada a led, scarpe da ginnastica, tuta scura, procedemmo all’intrusione pacifica nella cantina.

Aperta delicatamente la porta di accesso, ci accorgemmo con stupore che non dormivano affatto. Anzi, erano impegnate in veri e propri esercizi di addestramento, naturalmente il capo era “Pollo”.

Istruiva le compagne pennute con i movimenti delle proprie ali. Alzando l’ala sinistra, le galline si accovacciavano; alzando l’ala destra, schizzavano ritte e fiere sulle zampe, in attesa di ulteriori comandi.

Dopo poco si sentii un “coccodè coccodè” e tutte le galline partirono in volo, una dietro l’altra, formando una colonna variopinta per poi atterrare, dopo un brevissimo volo, una dopo l’altra sempre in fila. Sembravano uno stormo di aeroplani acrobatici.

Ed ecco il secondo comando: “cocco cocco coccodè”, tutte le galline correvano in formazione da otto con una delle ali dietro la testa.

Smbravano un gruppo di bersaglieri che correva suonando la tromba. Gli imprevisti non finivano mai e correndo da una stanza all’altra della cantina, non riuscendo a fermarsi adeguatamente visto il poco spazio nel suo interno, cozzavano tutte una addosso all’altra, scontrandosi contro il vecchio comò che era lì da anni tutto impolverato.

Eccole passare, come sempre ogni mattina, in fila indiana sulla ripida salita che conduce al cancelletto del giardino per poi una volta varcato, iniziare quello che sarebbe stato il loro primo show.

La prima si staccava dalle altre e volava sulla recinzione che sormontava il muretto perimetrale, poi aspettava che la seconda la raggiungesse, passando sotto di lei, e le si gettava sopra in picchiata come fosse un aereo.

Una, due, tre, quattro volte, piroettando nell’aria come dei jet impazziti, ognuna volava sulla recinzione per poi ricadere dietro l’ultima, in sequenza.

Ma non finiva qui. Dopo il primo numero eccone subito un secondo. La prima gallina della fila si accovacciava e la seconda, dopo una breve rincorsa, le saltava sopra con le zampe accovacciandosi a sua volta, e poi la terza, la quarta, ripetevano tutte lo stesso movimento, creando una torre colorata ed ondeggiante, che esplodeva in uno sfavillante fuoco d’artificio nel momento in cui tutte contemporaneamente spiccavano il volo per ritornare a terra.

Certo, qualcuna sentiva staccarsi qualche piuma, che rimaneva tra le zampe dell’altra, ma era un piccolo sacrificio necessario per la riuscita dello spettacolo.

Pollo aveva fatto un lavoro egregio nell’addestramento.

La vecchia signora si riempiva di gioia, e gli occhi si illuminavano per la felicità.

Lo spettacolo circense veniva replicato ogni giorno, e ogni giorno la vecchia signora ne rimaneva attirata con grande soddisfazione, tanto che in alcune giornate, ci chiese di portarla di fuori per vedere da vicino le simpatiche evoluzioni.

Finalmente si staccava dalla poltrona. Era tornata a vivere a contatto con la natura. Era tutto merito di Pollo e delle sue compagne.

Tutto accadde all’improvviso.

Quattro cani randagi, capitanati da un vecchio maremmano aggressivo ed affamato, e altri tre piccoletti, che oltrepassato il terreno del vicino, si avventarono con fare famelico sulle malcapitate pennute, che come ogni mattina percorrevano la piccola salita. Le poverette non avrebbero avuto scampo.

Le piume svolazzavano nell’aria, miste a spruzzi di sangue che cadevano a pioggia sul terreno. Il chiocciare delle galline era assordante. Armati di bastoni e di tutto quello che era a portata di mano, intrattenemmo una “battaglia” con i cani randagi fino a farli retrocedere verso il terreno del vicino. Ma il danno era già fatto.

Quattro delle nove galline rimasero morte sul campo, le altre, malconce, intontite e ancora impaurite per lo scampato pericolo, ritornarono meste all’interno del rifugio-cantina.

Una zoppicava vistosamente, una seconda, avviandosi verso l’entrata, cadde un paio di volte per poi sbattere violentemente contro la porta. Purtroppo, anche lei pagava le conseguenze dell’attacco canino, era rimasta cieca.

In omaggio alle eroiche sfortunate combattenti, decidemmo di dare un nome ad ognuna delle sopravvissute.

“Camilla” la più paffuta, “Gertrude” l’adolescente del gruppo, le due sfortunate che chiamammo “Zoppas e Cecata” e infine “Pollo”.

Alcune settimane dopo il cielo era grigio, plumbeo, nessun raggio di sole riusciva a bucare quella fitta coltre di nuvole. Infatti iniziò a piovere intensamente. Le gocce di pioggia si trasformarono in un vero e proprio acquazzone, fredde e gelide cadevano sul terreno, che ricambiava la cortesia sprigionando nell’aria quel profumo di prima pioggia che si mescola alla terra bagnata e ti entra fortemente nelle narici, pungente ed acre.

Nell’aria c’era la sensazione che qualcosa stava per accadere.

In quella triste giornata infatti, la vecchia signora se ne andava al di là della vita, volando lassù tra le fitte nuvole.

La morte l’aveva chiamata al suo fianco, la conta dell’orologio del tempo per lei era terminata, così come la sua vita.

Era una giornata triste, ma guardando la vecchia signora nel viso rossastro, la si vedeva rilassata, alla fine di questo breve passaggio terreno, grazie anche al contribuito di Pollo e delle sue amiche galline.

Il filo invisibile che legava le pennute con la vecchia signora, si era spezzato così bruscamente alla sua morte, che una ad una le galline cominciarono a morire. La prima Zoppas, poi Gertrude, Camilla, ed infine la Cecata.

Ormai rimasto solo, Pollo passava le sue giornate ripercorrendo ogni mattina la breve salita verso il giardino, ricordando le evoluzioni fatte per la vecchia signora. Le sue amiche galline non c’erano più, né tantomeno “Lei”, quindi si accovacciava in terra dietro la siepe tutto il giorno per poi tornare, al calar della sera, in solitudine all’interno della cantina.

C’è chi dice che, ancora oggi, scrutando il cielo nelle primaverili giornate di aprile, si possa vedere tra le nuvole la sagoma di “Pollo” che, alzando l’ala destra e poi quella sinistra, guida le sue amiche galline in uno spettacolo senza fine.