Racconto di Dina Carruozzo Nazzaro

(Prima pubblicazione)

 

 

Selene era stanca … periodo strano.

Sì, pensò fra sé e sé, forse i suoi 5milioni di anni si facevano sentire.

Pensava che da sempre era riuscita a ispirare i poeti, fatto sospirare gli innamorati, aveva il controllo delle maree; si diceva che sulla femmina dell’uomo avesse una particolare influenza, una sorta di controllo ciclico, qualcuno diceva che potesse addirittura rubare il sonno quando era al massimo del suo splendore.

Splendore … gli antichi la chiamavano la splendente, ma alla fine brillava sempre e solo di luce riflessa! Solo perché riusciva a rubare un po’ di luce a quel borioso del Sole … aspettare da sempre che lui andasse a dormire per poter prendere la scena.

Era stanca anche di ruotare su se stessa per poter restare lì, sospesa in equilibrio, intorno a quella caotica pallina blu chiamata Terra. La osservava da  tanto tempo, non capendo di preciso il perché di tanta confusione.

E’ vero, anche lei di rimando mostrava sempre e solo una faccia, e ora anche questo era diventato un fastidio, le stava stretto non potersi mostrare interamente.

É vero, pensava, tutti abbiamo un ruolo, ma il suo l’aveva stancata.

Se togliamo poeti e sognatori, a chi sarebbe mai importato se si fosse defilata?

Magari non se ne sarebbe accorto nessuno; di notte erano rimasti in pochi ad alzare lo sguardo per salutarla, così presi dal nulla frenetico che vivevano, senza sogni e privi di quella meraviglia che li portava ad affidare i loro desideri a lei: alla Luna.

Magari l’avrebbero sostituita con lampade al neon e, considerato che qualsiasi cosa era artificiale e sostituibile, della differenza non si sarebbe accorto nessuno.

Sì, pensò, alla fine nessuno é indispensabile, figuriamoci una piccola luna vecchia, rugosa e stanca come lei.

S’inclinò su se stessa e man mano scomparve dalla vista lasciando al suo posto una manciata di piccole stelle smarrite e disorientate. Ancora qualche ultimo fremito di luce tremula e poi fu il buio.