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Racconto di Ugo Mauthe
(Prima pubblicazione)
Tutti i telefoni iniziarono a squillare a ogni mezzanotte del mondo, inseguendo i fusi orari.
Tutti i telefoni.
Ma in molti quartieri di molte città, in molte intere città, soprattutto le più piccole, e in una grande quantità di villaggi, forse quasi tutti, per non parlare dei milioni di piccoli gruppi di case, capanne, fattorie e agglomerati di varia natura… in tutti questi luoghi non ci fu la percezione che i telefoni stessero suonando all’unisono.
No, non ci fu.
E dove ci fu sembrò solo un’anomalia tecnica.
Qualcosa di rotto.
Qualcosa in tilt.
O una persona, una sola, che si fosse addormentata su un tasto, un cursore, una consolle in qualche sala controllo.
Un incidente, come quando un ramo spezzato cadeva su un cavo a Vladivostok e la luce si spegneva a Cape Town.
Nessuno era preoccupato.
Che fosse una catena, lo sapevano tutti e anche se erano tutti incatenati nessuno se ne lamentava, anzi, sembrava che gli piacesse essere incatenati. L’uno all’altro, catene digitali, cibernetiche, ma tutt’altro che virtuali, così che ogni fatto, ogni vita, risultava concatenata a un altro fatto, a un’altra vita.
Erano decenni ormai che non accadeva nulla che fosse libero, che potesse gridare al mondo “sono un fatto indipendente, accado perché voglio accadere”. No, questo non era più possibile: ogni evento era concatenato agli altri.
Perciò che c’era di strano se un telefono squillava e un altro lo seguiva e un altro ancora e poi via via tutti i telefoni di una strada?
Niente di strano per chi era in quella strada. Uscivano sui balconi, scendevano sui marciapiedi. I più infastiditi erano quelli nei cinema oppure ai concerti perché tutto questo squillare era molto disturbante.
E pochissimi stavano notando che anche i telefoni che si vedevano in scena, sui palcoscenici e negli schermi, anche quelli avevano iniziato a squillare.
Suonavano tutti.
Anche quelli spenti. Anche quelli rotti. Anche quelli gettati fra i rifiuti.
Anche quelli senza batteria. Anche quelli con la suoneria azzerata.
Anche quelli mai attivati, ancora sigillati nelle loro confezioni.
Una cacofonia che aveva quasi istantaneamente saturato ogni spazio e ogni tempo.
Poi si resero conto che sui display appariva sempre lo stesso numero, lo 0.
E questo, per qualche misteriosa ragione, li rassicurò.
Zero. Un numero da niente che non aveva nessuno accanto, e che da solo non valeva niente, infatti era sempre in altri numeri, soprattutto nei prefissi, se lo dicevano l’un con l’altro, era tranquillizzante sapere che tutti la pensavano nello stesso modo: lo 0 da solo vale zero, non c’è da preoccuparsi.
Si sparse perfino la voce che digitando lo 0 il fenomeno sarebbe stato fermato!
Provarono. Digitavano il loro 0 e ascoltavano.
Ascoltavano la loro voce dire Pronto, Pronto, Pronto.
Ma nessuno era pronto. Si sentiva solo il trillare dei telefoni e qualcuno iniziava a dire in giro che qualcuno gli aveva detto che qualcuno gli aveva detto che i telefoni stavano suonando anche nel paese confinante, oltre la strada, oltre il fiume, oltre il confine, oltre il mare. Fino a saturare tutta la gamma degli oltre.
Anche se sembravano ore il fenomeno durava da pochi squilli quando le cose cambiarono.
Le persone iniziarono a sparire. Il loro telefono si spegneva, ma restava lì, sul posto della sparizione.
Le persone erano tantissime e così ci mettevano del tempo a sparire, abbastanza perché un computer intuisse il criterio, l’ordine delle sparizioni. A dirlo sembra ovvio ma in quel momento, in mezzo al frastuono di miliardi di telefoni non era così scontato: le sparizioni avvenivano seguendo un ordine che esisteva fra i numeri dei telefoni, un ordine di assegnazione che seguiva incalcolabili gruppi di cifre. Adesso l’informazione si è perduta, ma il passaparola era riuscito a diffondere questa notizia che era assolutamente veritiera e corretta.
Anche se era un calcolo inarrivabile per le persone, che quindi sparivano da un istante all’altro con la stessa presunta imprevedibilità della morte.
0.
Si faceva strada l’intuizione.
C’era stato chi era sparito urlandola e chi aveva raccolto quel grido incompiuto e l’aveva completato e rilanciato.
L’intuizione che 0 significasse giorno 0, l’ultimo giorno del conto alla rovescia. Che fosse la telefonata finale. Che le ultime parole di ognuno fossero quelle dette al vicino di posto, di casa, al passante accanto, anzi no, a quello oltre perché quello accanto era appena sparito lasciandosi dietro solo un telefono spento.
Che le ultime parole fossero dette a un progressivo, invasivo silenzio.
Infatti, accadeva che più le persone sparivano più diminuisse la squillerìa. Prima in una strada poi in quartieri qua e là poi in città intere, dalle più grandi a quelle più piccole, per non parlare dei paesi e dei villaggi, dei mucchietti di case sparse e delle fattorie e degli agglomerati di varia natura, dovunque apparivano focolai di silenzio che si allargavano in tutte le direzioni e si univano.
Il silenzio si allargava come un’inondazione.
In un luogo ignoto un counter andava a ritroso a velocità incredibile.
Il conto alla rovescia si fermò sullo 0 nello stesso istante in cui si spense l’ultimo telefono.
C’era una strana atmosfera nel mondo, nei quartieri, nella città. Come quando andava via la luce.
– Ecco, finalmente tutto è spent0 – pensò e si dedicò ad altro.
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