Racconto di Liliana Vastano
(Undicesima pubblicazione)
Qualche anno fa, dopo tanto penare, avevo raggiunto il mio personale traguardo: una villetta con un po’ di giardino. Avere una casa di proprietà tutta mia era già una grande soddisfazione ma avere una villetta rappresentava il top per una come me, non ricca di famiglia, single con figlia a carico, uno stipendio decente ma non altissimo. La mia era una storia simile a molte altre. Negli ultimi anni di università avevo conosciuto un ragazzo laureato in medicina che aveva appena iniziato la specializzazione in oculistica. Ci eravamo subito piaciuti e tra noi era nata una storia. Appena laureata, mentre lui studiava ancora, avevo trovato lavoro presso una casa farmaceutica e mi ero resa indipendente dalla mia famiglia. Dopo una vacanza trascorsa insieme in Irlanda, mi accorsi di essere incinta. La gravidanza era sicuramente arrivata troppo presto ma io non avevo alcuna intenzione di rinunciarvi nonostante le pressioni in tal senso del mio compagno. Il rapporto, che io credevo solido, andò definitivamente in crisi. Dopo la nascita di Alice, per evitare di perdere il lavoro, ritornai a vivere a casa dei miei che mi diedero un grosso aiuto morale e materiale. Quando Alice iniziò le scuole elementari, decisi di ritornare a vivere da sola e acquistai la villetta dei miei sogni facendo un mutuo abbastanza sostenibile. La villetta era in un parco, il Parco Primavera, la zona era tranquilla ma non isolata, appena dopo l’uscita di Casal del Marmo del GRA. Me l’aveva suggerita una mia vecchia prof. di latino che avevo casualmente incontrata dal parrucchiere e che mi aveva messa in contatto con una sua nipote che abitava nel suddetto parco, uno dei tanti nella zona. Tralascio qui particolari inutili, aggiungo solo che decisi di acquistare la villetta soprattutto per la presenza di altre famiglie con bambini con i quali la mia Alice avrebbe potuto fare amicizia. Una volta sistemata, iniziai pian piano, con successo, a tessere rapporti di buon vicinato. Organizzai qualche festicciola nel mio giardino per far si che Alice conoscesse gli altri bambini e gli spazi comuni del parco fecero il resto. Notai, però, che l’unica persona un po’ restia a socializzare era Matilde, la nipote della mia prof., proprio la persona che avevo conosciuto per prima. Le sue bambine, inoltre, erano sempre chiuse in casa e si vedevano pochissimo in circolazione. Matilde aveva due figlie: Denise coetanea di Alice e Alessia un po’ più piccola. Mentre Alessia frequentava la scuola pubblica come tutti i bambini della zona, Denise frequentava una scuola privata e l’accompagnava sempre una tata che non la lasciava mai. Decisi di approfondire la questione, anche perché il velo di tristezza che accompagnava sempre lo sguardo di Matilde non lasciava dubbi sull’esistenza di un problema. Ma che genere di problema? Volevo esserle utile in qualche modo, vederla sorridere ma non potevo partire alla cieca, non volevo essere il classico elefante nella cristalleria. La mia vecchia prof. mi fu di grande aiuto. La rintracciai attraverso la nostra parrucchiera e lei mi confidò che Matilde, con Denise, aveva avuto un parto molto difficile, la bambina al momento della nascita aveva il cordone ombelicale al collo, la qual cosa le aveva procurato una sofferenza cerebrale. Questo trauma aveva lasciato il segno e la bambina, apparentemente sana, reagiva agli stimoli con lentezza. I medici se n’erano accorti subito. Matilde non aveva mai voluto accettare l’handicap della figlia e nemmeno la nascita della seconda bambina era servita a scuoterla. Per proteggerla dagli altri, la isolava e costringeva anche la sorellina ad una vita molto casalinga. La vita delle bambine, in pratica, si svolgeva unicamente tra casa e scuola. Questa situazione l’aveva, a poco a poco, allontanata dal marito fino ad arrivare alla separazione avvenuta proprio qualche mese prima del mio trasferimento nella villetta del Parco Primavera. Incoraggiata molto dalla mia vecchia prof., decisi di affrontare la questione “di petto” come era solito dire mio padre e di avvalermi anche dell’aiuto di mia figlia Alice perché gli obiettivi erano due: fare accettare a Matilde l’handicap della figlia e dare alle sue bambine l’opportunità di vivere insieme agli altri. Recuperai in cantina alcuni album da disegno quasi nuovi e le costruzioni Lego di Alice che, fortunatamente, non avevo gettato via in occasione del trasloco da casa dei miei e parlai a lungo con mia figlia che, allora, aveva sette anni ed era piccola ma non troppo. L’accordo tra noi fu questo: io sarei andata da Matilde per imparare a fare i dolci che non mi erano mai riusciti bene e lei avrebbe giocato con Denise per un’oretta, una o due volte a settimana, non di più. Di fronte alla mia pressante richiesta di un corso accelerato di pasticceria per bambini, Matilde non seppe dire di no e così riuscii a piazzarmi a casa sua. Mentre io pasticciavo, Alice giocava con Denise e Alessia, prima in casa e poi, con la bella stagione, nel giardino. Matilde, pian piano, si liberò delle sue “corazze” e cominciò a confidarmi qualcosa, anche il legame tra le bambine crebbe. Arrivata l’estate, poiché Alice non sapeva ancora nuotare, decisi di iscriverla ad un corso di nuoto presso la piscina vicino casa e proposi a Matilde di accompagnarmi con le sue bambine: ne fu felicissima. Denise, seguendo mia figlia e la sorella, si gettò senza problemi in acqua e imparò prestissimo a galleggiare e nuotare. Matilde sembrava rinata e sorrideva molto spesso, finalmente eravamo diventate amiche. Nello spogliatoio, Alice e Alessia aiutavano Denise a togliersi il costume, a fare la doccia ad asciugarsi, tutto con grande naturalezza. Io ero contenta di me stessa, si era mosso qualcosa, finalmente, ma il piano di recupero non poteva considerarsi concluso: le bambine di Matilde dovevano necessariamente frequentare gli altri bambini del parco e socializzare il più possibile, sarebbe stato un bene per tutti. Poiché conoscevo la musica e sapevo suonare il pianoforte, decisi di creare una piccola corale. Durante l’inverno, una quindicina di bambini, Denise e Alessia comprese, una volta a settimana invadevano il mio salone e rallegravano tutto il vicinato con le loro performance. A turno le mamme si occupavano dell’intervallo mangereccio e così, prima dell’estate, la corale era pronta per esibirsi. Tra i bambini del coro era nata una grande sintonia, Denise era una di loro, nessuno le faceva pesare i suoi problemi che, a volte, pareva non esistessero nemmeno. Organizzai una “prima” nella piazzola al centro del parco e fu un successo. Ma il successo più grande, per me, fu vedere le figlie di Matilde ridere e scherzare con gli altri bambini e constatare che la tristezza negli occhi della loro madre era scomparsa. I tempi che seguirono, segnarono decisamente un cambiamento nella vita di Denise e Alessia che incominciarono a frequentare abitualmente gli altri bambini del parco, i quali impararono a tener conto dei piccoli problemi di Denise senza farglieli pesare. Un legame molto forte, che dura ancora oggi, si creò anche tra Denise, Alessia e mia figlia Alice che non poterono fare più a meno l’una delle altre diventando, come si dice a quell’età, “amiche per la pelle”.
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