Racconto di Lori Marchesin
(Quarta pubblicazione)
Quel mattino Adele, inquieta per gli incubi notturni, si svegliò tutta ammaccata. Aveva dormito sul fianco e il braccio destro mostrava delle pieghe. Si mise seduta sul letto, si massaggiò il braccio, poi guardò di lato dove Gian, il marito, dormiva emettendo lievi sbuffi dalle labbra socchiuse.
Con cautela si alzò e andò in bagno. Lo specchio le rimandò l’immagine di Adele, quella di sempre. La pelle del viso tesa e liscia; gli occhi verde giada brillavano incorniciati da lunghe ciglia e dai riccioli biondi.
Preparò la colazione e, quando sentì Gian che si alzava sbuffando e borbottando, accese la centralina elettronica, controllando che tutte le spie fossero verdi.
Lui entrò in cucina e si sedette senza alzare lo sguardo. Al mattino erano necessari due caffè per mettere in moto il circuito vitale. Alla fine alzò gli occhi su Adele; il suo sguardò la esaminò da capo a piedi, il suo unico commento fu: “Vedo che sei già entrata in modalità seduzione. Non ti sembra che quel vestito rosso fiamma sia poco adatto alla giornata?”
“Perché poco adatto? Ti è sempre piaciuto.” ribatté lei, sentendo una scarica che le contorse il petto.
“Sei sempre così appariscente!” fu il secco commento.
Gian abbassò gli occhi sul caffelatte, mescolandolo senza ragione, come se dentro il liquido ambrato potesse leggere una risposta per l’inquietudine, l’irrazionale fastidio che provava nei confronti di Adele.
Era sempre stato così fiero di lei. Guardarla al mattino gli forniva una carica di energia per affrontare il lavoro e tutti i problemi causati dai suoi dipendenti,
Sapeva di averla ferita, ma non riusciva a superare quel distacco emotivo che si manifestava nel rifiuto di fare sesso o anche solo di accarezzare quelle forme morbide e invitanti.
Camminando verso l’ufficio, ripensò ai primi tempi, all’arrivo di Adele nella sua vita, all’orgoglio nel presentarla agli amici che, guardandola, non riuscivano a mascherare l’ammirazione e il mal celato desiderio che lei suscitava in loro.
Mesi prima, per il suo cinquantesimo compleanno, aveva invitato due coppie di amici; le mogli avevano accettato l’invito più per curiosità che desiderio di una serata in compagnia. Volevano vedere da vicino la nuova compagna di Gian.
Lei, Adele, aveva scelto un vestito di chiffon trasparente che non celava troppo. La rotondità dei seni e i capezzoli turgidi premevano contro il sottile tessuto. Gian aveva avuto un’erezione nel vederla mentre era avvolto in un abbraccio profumato di Chanel N°5. Era sicuro che i suoi amici avessero avuto la stessa reazione. Le donne, a disagio nel costatare l’espressione inebetita dei mariti, erano comunque attratte da quel viso levigato, dalla flessuosità del corpo, dalle braccia e gambe (visibili sin a metà coscia) sode e abbronzate. Era affascinante, dovevano ammetterlo. Lui era sicuro che provassero compassione; avrebbero voluto chiedergli se, a cinquant’anni, era difficile tenere il passo con tante rotondità sode e invitanti.
Gian se ne fregava di cosa pensassero loro. Esibiva Adele come una conquista, era sua e lo faceva sentire ancora giovane.
Quando era iniziato il suo malessere? Non all’improvviso ma giorno dopo giorno un’inquietudine che attanagliava lo stomaco in crampi dolorosi, la voglia di scuotere Adele, di cancellare quel sorriso compiaciuto, di vederla piangere. Ecco! Il sapore delle lacrime lui lo sentiva in gola, amaro e acido ogni mattina guardandola. Avrebbe voluto che anche lei lo provasse.
Lei aveva notato il cambiamento, voleva parlare, chiarire i problemi che lui aveva e che sentiva come suoi. Gian non voleva un confronto, lo temeva.
Quella sera, tornato a casa, Adele lo accolse in pigiama sexy. Seta e merletti la avvolgevano in un lucido abbraccio nero. Il sorriso era luminoso mentre i denti bianchissimi mordicchiavano il labbro inferiore.
Che cosa significa questa mascherata?” sibilò Gian.
“Mascherata?” gridò Adele “Volevo far sapere al mio uomo quanto ancora lo amo e lo desidero.”
“Non è questo il modo. Da mesi non mi dici più niente, non chiedi del mio lavoro, di noi, eppure non sei contenta. Stiamo affogando nei nostri silenzi.
“Tu sei cambiato, Gian. Non mi cerchi più, non inviti i tuoi amici, non sei più fiero di me.”
Cenarono in un silenzio pesante. Adele cercava le parole per dirgli che provava affetto per lui, per fargli vedere e sentire come ora fosse diversa. Non era vero che il suo cuore si fosse rattrappito. Provava tensione, dolore, rabbia. Doveva fare un ulteriore tentativo.
“Gian, ascolta.”
Lui alzò lo sguardo, la testa inclinata in avanti, le palpebre che battevano veloci, mentre vampate di rosso salivano dal collo al viso. Si alzò di scatto, si avvicinò e cominciò a pizzicarle il viso, le braccia, il seno. “ Sei tutta finta! Gonfia come un palloncino che se bucato si frantuma. Così!”
Prese il coltello dal tavolo e la punzecchiò, poi una lacerazione al braccio che, con un sibilo, cominciò a sgonfiarsi. Un lungo fendente al ventre che lascò uscire tutta l’aria che il corpo conteneva e quel sibilo continuo, ossessivo mentre Adele, inorridita, osservava il suo afflosciarsi in un mucchietto di gomma e congegni elettronici coperti di nero.
Gian, il volto sfigurato in una maschera di disgusto e dolore, estrasse i meccanismi che ora lampeggiavano in rosso emettendo allarmi assordanti. Li calpesto finché il silenzio invase la stanza. Allora arrotolò la sagoma gommosa di quella che per lungo tempo era stata la sua compagna e la ficcò in un sacchetto di plastica, pronta per la raccolta differenziata. E cominciò a piangere. Era così bella.
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