Racconto di Anna Tracq

(Prima pubblicazione – 22 dicembre 2018)

 

La signora Blu amava forme e parole tonde. Vestiva solo maglioni di morbida alpaca, il cui suono si dilatava a bolla contro il palato con quel ”pà” accentato splendidamente tondo. Per lo stesso motivo, le sarebbe piaciuto andare in bastimento, ma non in nave o meno che meno su una zattera.

Aveva scelto di vivere a Pandino , in campagna, e le era oggettivamente impossibile realizzare il marinaresco suo sogno, salvo rinunciare al paesello e trasferirsi, chessò , a Genova oppure a Trieste e lei non riusciva a pronunciare quei nomi privi di liscia mancanza di spigoli . Napoli sarebbe stata una buona soluzione, era piena di babà, ci erano stati gli angioini, ma il Vomero e il Vulcano Vesuvio erano troppo puntuti per i suoi gusti.

In un vicolo stretto e zozzo, vicino al pomposo possente slargo ove dimorava la signora Blu, viveva invece il signor Verde . Aveva eletto a proprio ospizio una baracca dai muri sbrecciati. Il signor Verde girava sempre a piedi piegato quasi in due, per evitare d’incontrare gli occhi della gente. Aveva così finito per assomigliare ad un’enorme V rovesciata. Vestiva ogni giorno, estate e inverno, un soprabito di gabardine sdrucito, chiuso fa una cintura a sezione quadra, come la fibbia di metallo e i rivetti che impedivano ai buchi sfilacciarsi, almeno nelle intenzioni. Il signor verde amava i Borsalino e non mancava mai di calcarsi il suo sulla testa prima di uscire.

La signora Blu amava la sofficità, le torte alla panna, i gigli , le nuvole bianche e gonfie nel cielo azzurro.

Manco a dirlo il signor Verde adorava l’asprezza, Il pane secco , i cardi e le nuvole grigie nel cielo grigio.

Un bel giovedì di giugno, o se vogliamo un esacerbante 17/06 torrido e accecante, i prosperosi e notevolissimi pettorali della signora Blu cozzarono, non si sa come, contro le scarne vertebre del signor Verde che, piegato in due come di consueto, osservava il buio al di sotto della griglia di un chiusino.

Egli si girò di scatto digrignando i denti, ringhiando come un carlino infuriato. A tutta prima non vide altro che una nuvolona di soffice lana bianca e fece un balzo all’indietro per il ribrezzo che la cosa gli ispirava. Da quella distanza scorse finalmente il viso della signora Blu, che avrebbe potuto benissimo chiamarsi ora Signora Porpora, tanto sulle sue guance era il manifesto imbarazzo. Il signor Verde voleva proprio spararle in faccia tutta la sua rabbia, ma poiché era piegato in due e la signora Blu era piuttosto alta, la cosa risultava alquanto difficile. Quindi si raddrizzò un poco e si accorse che le guance della signora Blu erano verdi, di un verde che neanche lui avrebbe saputo definire, ma gli piacque talmente che, non si sa come, si raddrizzò del tutto e perfino abbozzò un sorriso. La signora Blu tremava per la vergogna e per la paura; teneva gli occhi bassi attendendo che la tempesta la colpisse, ma non succedeva nulla e quindi lentamente li alzò, incontrò quelli del signor Verde e insieme a loro il suo sorriso incerto.

Sette settimane dopo salparono su un piccolo naviglio da Piombino, giunsero a Napoli e lì vissero felici e contenti. E la signora Blu in Verde non rivelò mai al marito che lui era daltonico.