Racconto di Emanuela Navone

(Prima pubblicazione)

 

Il lungomare è vuoto, questa sera. Nessun gruppo di ragazzi che si diverte a fare le ore piccole, nessun uomo a spasso con il cane per una passeggiata tardiva, nessuna coppia di innamorati a scambiarsi effusioni alla luce di qualche lampione.

Infilo la Nazionale tra le labbra ma non l’accendo. Le mani in tasca, la divisa da cameriere è fredda contro la mia pelle.

Mi hanno promesso che sarei stato libero, dopo averla uccisa, che avrei vendicato finalmente la morte di mio fratello. A quel pensiero, una mano mi stringe i polmoni. Boccheggio.

Il cuore batte, batte forte, più forte del treno che mi sorpassa sferragliando e scompare nell’oscurità tagliata dalle luci dei lampioni.

Giungo sulla spiaggia. Il mare è una tavola nera, cupa, come il sentimento che mi accompagna. La sabbia sembra mormorare sotto i miei piedi, o forse sono i bisbigli che mi accompagnano ormai da giorni.

Lei è là. Pantaloni a zampa e maglia sgargiante.

Speravo non ci fosse, lo ammetto. Una parte di me l’ha agognato fino alla fine. Stringo i denti e schiaccio la Nazionale, il gusto acre del tabacco si scava una galleria nella mia gola. Sputo la sigaretta, che volteggia irridendomi prima di cadere a terra.

Lei è là, inconsapevole.

Mi avvicino. Estraggo la pistola dalla borsa e la punto contro di lei. Le dita tremano, l’arma pesante come il fardello sulla mia schiena.

Lei si volta.

Occhi negli occhi.

Cosa colgo nel suo sguardo? Sorpresa? Paura?

Rassegnazione?

Nel mio troverà solo rabbia.

«Sapevo saresti venuto, Ruggero» mi dice.

Quella voce, così dolce quando mi cullava per farmi addormentare, e ora così piatta. Definitiva.

«Mamma.» Un groppo quando pronuncio la parola, ma le dita vanno al grilletto. «Ho fatto la mia scelta.»

Lei sorride.

Perché sorride?

Porta una mano dietro la schiena. Ha una rivoltella.

Ingoio saliva. Una goccia di sudore cola sul mio viso e si deposita sulla barba lunga.

Mia madre alza la pistola e sorride.

E allora capisco: le hanno fatto la stessa promessa.

L’ultimo pensiero prima che lei prema il grilletto è: chi ha ucciso veramente mio fratello?

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