Racconto di Filippo Rigli
(Terza pubblicazione – 10 giugno 2021)
Me ne stavo là al bar a pensare al suicidio. Sul serio. Bevevo la mia birra in bottiglia e pensavo che tanto non andavo da nessuna parte. Me ne vado a Praga e mi butto nel fiume, pensavo, ci sarà un fiume, a Praga. Perché poi avevo in mente proprio Praga non lo so. Se uno si deve ammazzare, meglio ammazzarsi in una bella città, mi dicevo, probabilmente. E insomma, pensavo tutto assorto ai cazzi miei e mi arrivano questi due ragazzini. Proprio piccoli, vestiti da rapper, guance lisce e senza barba.
«Sei tu quello che vende il Black Mamba?» mi chiedono. Io li guardo.
«Volete il fumo» gli domando, «questa roba che cercate non l’ho mai sentita nominare, ma se volete il fumo entrate al bar e chiedete del Dottore.»
I pischelli entrano ed escono quasi subito con la luce negli occhi. Poi esce il Dottore, e se la ghigna. Ha fatto un affarone, a occhio.
«Spiegami» gli dico, «spiegami che pacco hai rifilato a quei due bambini.»
Il Dottore continua a ghignare e mi spiega che gli affari languivano, anche se aveva una bella mandata di marocchino e allora ha avuto un’idea geniale. Ha mandato in giro suo fratello a dire ai ragazzi che c’era in giro questa bomba, questo Black Mamba, una roba stratosferica che piega le gambe ma che fa viaggiare con la testa, senza paranoia, senza contraccolpi, una cosa appena sbarcata dal Marocco, prodotta secondo tecniche scientifiche dalla locale comunità tedesca di discendenti dei nazisti in esilio. Tempo quarantotto ore e c’era la fila mi dice il Dottore, a comprare il solito marocchino. Che, oh, mi dice, non mica male. Che poi è vero, non è mica male. Ma da due giorni c’è la fila di ragazzini a cercare il Black Mamba e lo ha quasi finito. Ottimo, penso, altro che università e fare il giornalista, il futuro è tirare pacchi ai minorenni, la pubblicità è l’anima del commercio e via così. Arriva il fratellino del Dottore in motorino, un tipo che te lo raccomando, inchioda col motorino e scende saltando e lo lascia cadere a terra sulla carena come se fosse di un altro.
«Ne serve ancora», gli dice, «tutto il paese è alla caccia di sto cazzo di Black Mamba», e il Dottore gli fa bene, ci si vede stasera a cena. «Vieni con me» mi dice, «devo andare a fare rifornimento.» «Ma perché no», a buttarsi nel fiume a Praga c’è sempre tempo.
Il Dottore mi scruta con la sua faccia da Apache, e andiamo. Prendiamo il suo furgoncino, un coso blu di vent’anni senza tagliando senza assicurazione ma con dietro una balestra e un fucile ad aria compressa. Le armi servono per andare a caccia di caprioli. La notte, in montagna, capita che un capriolo ti attraversi la strada. Si tratta di investirlo e finirlo con la balestra. Poi lo si porta a un macellaio disonesto, che lo macella e ci facciamo le belle cene. Alcune parti le rivendiamo. Usciamo dal paese e proseguiamo per la campagna fino a che la strada perde l’asfalto e si fa di ghiaia. Il grossista di fumo sta in campagna, isolato, perché deve dei soldi a mezzo mondo e se lo trovano in giro gli fanno la pelle. Deve dei soldi anche al Dottore e allora lo rifornisce di fumo. Vende anche paste, acidi e funghi colti da lui. Coca no, è da fighetti dice. E neanche l’ero. Fa male. E se lo dice lui. Ha nemmeno cinquant’anni, i capelli bianchi e unti, una barba da patriarca e nemmeno un dente in bocca. Puzza come una latrina e casa sua è peggio di una fogna. Ci aspetta sulla soglia. Ci fermiamo nel cortile scendiamo e entriamo.
«Posso offrirvi qualcosa?» ci dice il pezzente.
«Vaffanculo letame» lo apostrofa il Dottore, «molla il fumo e ringrazia Iddio che ancora non t’ho ammazzato.»
Io non dico nulla, ha già detto tutto lui. Quello prende un bel pezzo incartato grosso come un mattone, mi domando come cazzo rimedia tutta sta roba questo povero pezzo di merda e come lo paga, con tutti i soldi che deve a giro, ma ci sono domande che è meglio non fare, che è meglio non pensare nemmeno e infatti la risposta arriva fuori: si sente un’automobile che frena, la porta si spalanca e entrano due albanesi coi ferri in mano.
“Porco cazzo mi piscio nei jeans, non ci arrivo a Praga, il servizio me lo fanno questi”, ma ora che ci penso rinuncio volentieri, non mi puzza mica così tanto vivere.
«Che cazzo è che hai messo in giro? sta roba, sto Black Mamba», chiede uno dei due, quello grosso col giubbotto di pelle e subito gli infila il cannone in quella boccaccia sdentata. Il compare intanto, uno magro come un tossico col muso incistato di cicatrici tiene sotto tiro noi. Noi ce la facciamo addosso e stiamo zitti. Il merdoso biascica qualcosa con la canna in bocca. L’albanese la leva e chiede che cazzo ha da dire.
Il merdoso si scilingua che lui ha messo in giro solo il suo, di fumo, ci mancherebbe e che questo Black Mamba non sa neanche che cazzo sia, ma l’albanese non ci crede mica e comincia a dargli la canna della pistola in testa e porco cazzo se non lo ammazza si sente un rumore che fa digrignare i denti e il sangue comincia a schizzare dappertutto. Il compare interviene:
«Fermo, che cazzo fai se lo ammazzi non ci paga» e fa per fermarlo, ma quello grosso si divincola e al compare parte un colpo e becca quello grosso in una gamba e allora cominciano a urlarsi in albanese e si sparano cazzo, io e il dottore ci guardiamo e usciamo di corsa. Si sentono le pistolettate e le urla mentre siamo fuori e siamo già sul furgone e via cazzo a tutto gas.
«Ma che cazzo, vai…» grido, e il Dottore anche lui a gridare e va. Tempo un quarto d’ora siamo di nuovo in paese. Ci mettiamo al bancone del bar e mi trema la mano. Prendiamo due grappe e le beviamo d’un colpo e ne prendiamo altre due e beviamo d’un colpo anche quelle e il barista ci guarda ma non dice nulla; la terza la beviamo con più calma. Tiriamo il fiato. Entra un ragazzino. «Sei tu il Dottore» gli chiede, «volevo un po’ di Black Mamba.»
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