Racconto di Gabriella Romolini

(Seconda pubblicazione)

 

Cara nonna,

ogni tanto risento la tua voce che con l’età si era fatta ruvida e un po’ roca, quella notte eri a un passo da lasciarci soli, ma le tue ultime raccomandazioni sono state per me, e quella che più di ogni altra è risuonata nella mia mente nel corso degli anni è stata: Gabriello studia!

Mi dispiace di averti delusa, non ho raggiunto le vette che avevi immaginato per me; ho bivaccato prima sui banchi delle medie, poi in quelli delle superiori e solo, per il rotto della cuffia, ho conseguito l’agognato diploma presso l’Istituto Professionale per il Commercio Emilia Peruzzi di Firenze nell’anno scolastico 70/’71.

La scuola si trovava in un notabile palazzo di Via Lamarmora a un passo dal centro, con il Museo di San Marco, la Galleria dell’Accademia con il suo David, il Conservatorio di Musica “Cherubini”; cinque minuti a piedi e siamo al Duomo con la Cupola del Brunelleschi, il Campanile di Giotto e il Battistero. Ancora poche centinaia di metri per percorrere via dei Calzaioli e all’improvviso ecco piazza della Signoria con il Biancone, sullo sfondo Palazzo Vecchio con la Torre di Arnolfo, capolavoro dell’architettura trecentesca, che nelle belle giornate di sole, sembra incastonarsi con le sue pietre dal colore caldo, nell’azzurro terso del cielo.

Alla nostra destra la Loggia dei Lanzi, cinquanta metri ancora e siamo alla Galleria degli Uffizi, sali forse tre scalini ed ecco l’Arno che da sempre ci strega con il suo fascino.

Appena alzi lo sguardo, San Niccolò, le balconate del Piazzale Michelangelo, il Forte Belvedere, un mondo di bellezza che ogni volta ti fa esultare di gioia e di stupore.

Mentre ti scrivo ho compreso che la vicinanza a questi luoghi così seducenti, hanno mitigato una sorta di sofferenza che mi procurava frequentare la scuola, la strada che facevo per andare e tornare dall’istituto, infatti si allungava o si allargava quasi quotidianamente verso tutta quella magnificenza non narrabile a parole.

Devo anche confessare però che, i miei tragitti si arricchivano di percorsi gastronomici per raggiungere il forno di Via dei Cerchi, dove si poteva gustare della schiacciata all’olio buonissima, o il bar “Il Cucciolo” di Via del Corso, famoso per i suoi bomboloni caldi inzuppati in un letto di zucchero,  che cadono dall’alto dentro un cilindro di vetro, o  l’antico  vinaio di Via dei Neri dove puoi  gustare deliziosi  panini col salame affettato fresco, o i più famosi crostini neri.

Un’altra meta preferita era l’archetto di San Piero, con l’antica friggitoria che sfornava a raffica coccoli caldi a tutte le ore, come vedi amavo sì le bellezze artistiche, ma ex equo, anche tutto  il meglio della gastronomia di cui  la Firenze di quegli anni era protagonista.

Quando poi marinavo la scuola ed avevo un’intera giornata a disposizione per le mie scorribande, era davvero una vera goduria!

Nonna cara, mi ricordo che anche tu adoravi moltissimo Firenze anche se i tuoi natali, li amavi definire “di dietro il poggio”.

Mi hai parlato spesso con la luce negli occhi del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, che in gioventù avevi avuto l’onore di visitare, tu eri allora una giovane contadina che non aveva mai frequentato la scuola, eppure anche in là con gli anni, ricordavi a memoria qualche passo della Divina Commedia e declamavi in versi la storia di Pia dei Tolomei.

Ti piaceva immensamente cantare di tutto, ancor più le canzoni dei Maggiaioli, gruppi di giovani, che a piedi partivano la notte del 30 di aprile per raggiungere ogni casolare ed annunciare l’arrivo della Primavera!

Avevi un amore smisurato per l’arte, per la letteratura, per la musica, anche se a te era stata negata la possibilità di istruirti. Ai tuoi tempi infatti, salvo rarissimi casi, i contadini ed in special modo le donne non frequentavano la scuola. Questo è stato sempre il tuo cruccio segreto, anche se non te ne sei mai lamentata apertamente, tutti ti ricordano come una donna fiera, energica ed allegra, i tuoi motti ricorrenti erano: “cento pensieri non pagano un debito”, “gente allegra i’ Dio l’aiuta!”, “poveri e bischeri non fatevi mai!”.

E poi ci ripetevi spesso: “quando muoio non piangete, vestitevi di rosso, e mi raccomando tanti fiori e la banda musicale in testa!”

Nonna cara, quando tu mi hai lasciata avevo 16 anni, e non sono certa che dal cielo tu ci abbia potuto vedere, e anche nel caso ti sia stato possibile, magari qualcosa può esserti sfuggito ed io in questo momento ho urgenza di raccontartelo.

Mentre ti scrivo sto sfogliando un vecchio diario che alla data del 14 gennaio 1996 riporta testualmente: “Sono tornata al cimitero di Lubaco, dove riposano i miei nonni paterni e la zia Maria. Qui c’è una pace incredibile ed oggi c’è un sole splendido!”

Sulla tua lapide leggo: Cherubina Ciani ved. Romolini – nata il 30 novembre 1879 – morta il 18 maggio 1970 – Dopo una vita interamente dedicata alla famiglia riposa in pace nel Signore”.

Nonna, scusa questa mia lettera, si sta facendo troppo convenzionale, il progetto iniziale era quello di raccontarti la mia vita dal giorno che mi hai lasciata; mi rendo conto tuttavia che, forse, il mio proposito era fin troppo ambizioso se non impossibile!

A questo punto voglio solo rivivere con te quello che mi è rimasto di  quella notte: mi rivedo piccola, forse di dieci anni, invece il calendario mi conferma  che di anni ne avevo già sedici! Noi, dormivamo sempre insieme, in un grande letto di noce massello dalle calde venature dorate.

Prima di addormentarci dicevamo le orazioni, che tu senza coercizione alcuna mi invitavi a fare. Più spesso la recita del rosario era per me una dolce ninna nanna che in sottofondo mi accompagnava fra le braccia di Morfeo.

Ancora prima delle preghiere però, parlavamo della giornata appena trascorsa, delle cose da fare che ci attendevano il giorno dopo; più spesso mi incantavo ad ascoltare affascinata, le storie della tua lunga e intensa vita, ma ogni volta le nostre conversazioni erano suggellate da queste parole: Gabriello studia!

Il tono della tua voce era sì pacato e rassicurante, ma quelle parole, recitate come un mantra, lasciavano trapelare tutto il rimpianto e il desiderio per me, di una vita diversa dalla tua.

Io ero così affascinata dall’affettuoso nomignolo, che il significato del verbo era sempre passato in second’ordine. Nonna ora che mi sovviene è per questo che forse non ti ho ascoltata a sufficienza, tu ti sei sempre rivolta a Gabriello, ma Gabriello ha sempre vissuto quasi completamente immersa in un mondo immaginifico ed immaginario, avresti dovuto parlare a Gabriella forse ti avrei ascoltata di più, chissà?!

Comunque, come forse saprai io ho due figlie; Giulia che a novembre compirà quaranta anni ed Alessandra che di anni ne ha ventinove, a loro il tuo messaggio è arrivato chiaro e forte: Giulia si è laureata in psicologia lavorando e studiando, Alessandra in biologia con 110 e lode! Come vedi sono perlomeno riuscita a passare il testimone!

Lo avrai saputo vero, che Giulia è nata il 30 novembre 1980? Lo stesso giorno e lo stesso mese della tua di nascita, per l’esattezza 101 anni dopo;  tuo figlio è letteralmente impazzito dalla gioia: me lo sono visto arrivare in Maternità, appena uscito dal lavoro con gli abiti ancora imbrattati di calce, ma sul viso il sorriso più smagliante che io gli abbia mai visto prima, e dentro agli occhi  una gioia incontenibile!

E poi,  Giulia è una ragazza particolarmente bella, sai ti assomiglia come una goccia d’acqua: capelli ricci, un ovale del viso quasi perfetto, sorriso accattivante, non ha forse il tuo portamento fiero, così evidente dalle foto che ti ritraggono da giovane, ma siete davvero tutte e due oltremodo belle!

Nonna scusami, mi sono nuovamente persa, allora quella notte in cui sei mancata, io come ricorderai ti dormivo accanto, mi hai appena accennato  al fatto che non ti sentivi troppo bene, mi  hai chiesto un gocciolino di brandy – lo Stock 84 –  il tuo preferito,  con l’aggiunta di un po’ di zucchero, come facevi abitualmente quando ti sentivi un po’ giù; subito dopo, con voce ferma  mi hai detto che  di  lì a poco te ne saresti andata, e le ultimissime  parole sono state: Gabriello studia.

Poi il resto della casa si è svegliato con questa inattesa e tristissima notizia fra la costernazione della mamma, del babbo e di mia sorella; qualcuno è andato a chiamare il medico condotto, lo stimatissimo Dott. Agostino Vallone.

Io sono stata incaricata di andargli incontro, all’epoca abitavamo in campagna, ed il medico ha preferito lasciare la macchina prima della strada sterrata che porta alla casa, per poi prendere un viottolo molto stretto, che si può fare solo a piedi.

Erano le prime luci dell’alba, io precedevo di poco il dottore, il viottolo era invaso da bocci di anemoni selvatici dai tenui colori rosati, pronti a schiudersi ai primi raggi del sole… in lontananza il suono della tua voce, allora come adesso… Gabriello studia!

Tua Gabriella!

P.s. – forse ti farà piacere sapere che il 30 novembre, proprio il giorno della tua nascita, si celebra ormai da diversi anni  “la Festa della Toscana”   per    ricordare il giorno in cui ricorre l’anniversario della riforma         penale promulgata, in quella data  del 1786, da Pietro Leopoldo di   Lorena, Granduca di Toscana, in cui per la prima volta al mondo si decretava l’abolizione della pena di morte, “conveniente solo ai popoli barbari” secondo Pietro Leopoldo ed anche secondo “noi” vero nonna?

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