Racconto di Angela Donna

(Prima pubblicazione)

 

 

“Milioni di vite gaie e dolci chiedevano ogni attimo di essere risparmiate e la risposta era quasi sempre un rifiuto”
(Anna Maria Ortese)

“Facciamo dire messa al prete!”
Così il giovane si fa avanti in mezzo ai campi e si trascina dietro una banda di ragazzi.
Lui è il più grande tra loro. Il capo. Dunque ciò che fa è venerabile. Giusto. Coraggioso.
E’ un primo pomeriggio d’estate. Un’estate in montagna come ce ne sono tante.
Gli spazi aperti nel pendio favoriscono una camminata veloce. Eppure il passo deve essere nello stesso tempo guardingo. Non bisogna fare troppo rumore né smuovere gli steli dei radi arbusti e alberelli affocati dalla calura…altrimenti…
Il prete viene sorpreso e immobilizzato senza difficoltà. Forse il sole a picco del dopo pranzo lo ha intorpidito. Forse non si aspettava un attacco e per di più così determinato e sapiente. Forse semplicemente nel suo mondo mite non esisteva nemmeno quella possibilità. Forse.
Tra le dita del giovane un piccolo corpo affusolato blu metallico cerchiato di anelli gialli. Batte e pulsa come un cuore aperto. In lontananza lo zillare ossessivo delle cavallette. Noi d’attorno.
Ora vorrei non esserci stata. Vorrei poter tornare indietro e cancellare la mia complice tortura. La mia partecipazione a un delitto. Invece ero lì. Con e come tutti gli altri irresponsabili del crimine contro natura che stavamo per compiere.
Un filo di paglia secca staccato lì attorno dai lunghi fili d’erba ingiallita dalla calura d’agosto.
Un gesto abile rapido e senza esitazioni del giovane. La pagliuzza penetra a fondo nel ventre del prete che impalato comincia a danzare. Sbatte le sue ali scure punteggiate di bianco con ritmo veloce. Spasima di sofferenza. Agita le nere antenne e noi ridiamo: “Ecco che il prete dice messa!” .
Messa sacrificio del sangue e del corpo di Cristo. Messa sacrificio del corpo e del sangue di tutto il Creato che urla di dolore. Ma noi non possiamo sentire.
Lo stridere delle cavallette è lì a occultare il grido. Grido d’innocenza profanata.

(Nota: Amata phegea. La fegea secondo la classificazione di Linneo del 1758 è un lepidottero appartenente alla famiglia Erebidae diffusa in Eurasia. Familiarmente, per la sua livrea e le sue antenne nere, che la fanno simile alla veste sacerdotale, è chiamata in alcune regioni “il prete”. Fu spesso obiettivo degli scherzi sadici dei bambini della mia generazione. Me compresa.)

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