Racconto di Donatella Di Bella
(Prima pubblicazione – 10 febbraio 2021)
Ci sono quelli che ci vanno per necessità, e può insorgere il dubbio che siano i meno, quelli che un sintomo è un alibi per passare un po’ di tempo in compagnia e quelli che ci vanno per mestiere.
Io ci vado per leggere tutto quello che altrimenti non potrei. Considerato che l’anticamera, come da una santona, va dalle due alle tre ore, io approfitto, prendo il biglietto, do un’occhiata al display che per esempio se ho il trentasette lui segna il cinque, mi accomodo su una sedia e apro il libro.
Se il libro è quasi alla fine ne prendo due.
Nell’atrio antistante la sala d’aspetto c’è il distributore dei biglietti come alla Coop quando ti metti in fila al banco gastronomia. Se l’ambulatorio apre alle due, inspiegabilmente il primo che arriva, all’una e un quarto, si trova in mano il numero dodici. Il primo paziente è già incazzato ancor prima che arrivi il medico e tutti gli altri, quegli undici che lo hanno battuto sul tempo e quelli che alle due e dieci ne hanno venti davanti.
Dalle due alle due e trenta Bellò “fa” le ricette.
Quelli delle ricette non devono prendere il numero. Oppure è meglio che lo prendano perché se alle due e mezzo qualcuno delle ricette è ancora lì, deve avere il numero per la visita altrimenti è fuori tempo, si arrangia, quest’altra volta viene prima.
Dalle due alle due e mezza nella sala d’aspetto gremita di gente ricorre la domanda: “Lei è per la ricetta o per la visita?“ . Se rispondi ricetta il commento sarà “non so mica se farà in tempo”, se rispondi visita seguirà un’altra domanda “che numero? “.
Così dopo qualche sondaggio partono le prime proiezioni, poche ricette, molti numeri assenti, se ogni ricetta impiega, come dovrebbe, un minuto o due, se qualcuno rinuncia e se viene che il suo numero è passato, ne prenderà un altro, se ci sono telefonate e i rappresentanti…
I rappresentanti.
Almeno uno di loro è già presente. Si nasconde come un infiltrato tra gli astanti e con fare discreto, ma non troppo, cerca di camuffare il vestito a giacca, tenendo davanti a sé con noncuranza il cappottone firmato Armani (se siamo in inverno perché se è estate lo scoprono subito), quasi lo spiegazza apposta. Si nasconde, ma non può farcela perché gli addetti ai lavori, i pazienti per mestiere, sanno già chi hanno davanti. Un look così da Bellò non ce l’ha nessuno né per mancanza di denaro né per mancanza di stile, da Bellò ci si va così come si è. Qualcuno prende il biglietto, va a casa a stirare, dà un’occhiata all’orologio, fa una botta di conti e torna quando approssimativamente uscirà il suo numero. Oppure va a fare la spesa o prende il bimbo da scuola. Insomma, chi metterebbe il vestito a giacca?
Ai pazienti per mestiere inoltre non passa inosservata la borsa dell’informatore medico che, nonostante l’abbia spinta il più possibile sotto la sedia del vicino, si vede che è la sua perché il vicino non saprebbe cosa farne di una borsa così. Dopo un minuto l’informatore è smascherato, ma non viene subito denunciato, lo si lascia nella convinzione di passare per paziente anonimo. Qualcuno dice “Madonna quanta gente!“ e qualcun altro “Ne avremo fino a stasera…”e qualche fetente “Speriamo che non vengano i rappresentanti…” E il finto paziente è stato scoperto.
L’informatore può far valere i suoi diritti quanto vuole, facendo segno al regolamento appeso al muro “… hanno diritto fra un paziente e l’altro…”, ma a conti fatti la sua presenza lì è già una figura di merda. Uno di loro una volta si è preso un ceffone da una paziente nervosa, ma non so se sia leggenda o realtà.
Comunque, se vogliamo fare una classifica, da Bellò le incazzature vengono convogliate in primo luogo verso gli informatori farmaceutici e subito dopo nei confronti di tutti quelli che vengono beccati a non rispettare le regole.
La regola, che le riassume tutte, è quella di non fare i furbi e cioè non star dentro più di due minuti per una ricetta che altrimenti prendevi il numero, non andare a prendere i numeri prima dell’una altrimenti facciamo portar via la macchinetta e la rimettiamo a posto alle due, non prendere il numero per un altro o scambiarselo perché se facciamo così è troppo comodo…
Insomma le regole, quelle fondamentali, ruotano attorno ai numeri, mentre quelle secondarie sono a discrezione del leader del giorno, il paziente di turno che va dal medico non tanto per sé quanto appunto per tenere sotto controllo la sala d’aspetto. Ci sono delle volte che se sul display c’è il venti e tu hai il nove devi per forza aspettare lì dentro se no è comodo andare in giro. Non puoi neanche andare a fumare, chi fuma, in cortile; devi stare lì se no perdi il posto.
Verrebbe da chiedersi ma allora il numero? Ma si sta zitti perché così è decretato. Dopo due ore in cui i più si sono aggregati in un gioco di controllo uno sull’altro, il tuo turno si avvicina. Il gruppo si è costituito, si è dato un’identità, “si è fatto sera”.
Mi sono messa in pari, ho un numero da qualche parte che si è sbiadito, mi guardo intorno e faccio un bilancio: un informatore, il dottore che è uscito due volte, ma cinque non sono venuti, ancora tre persone davanti, ma se sono fortunata qualcosa in meno, forse fra mezz’ora sono a casa. Elucubro. Una voce fuori campo fa:
“Quando entri digli di aggiustare il numero che è indietro!“
Il momento che passa fra quando ti alzi dalla sedia e varchi la soglia dell’ambulatorio è come tagliare il traguardo. Il momento di gloria in cui puoi mostrare il tuo numero. E se fra te e Bellò, per ragioni diverse, non sapete più perché siete lì, una cosa la sapete, c’è da aggiustare il display. La malattia è un problema secondario perché una volta che la porta ti ha inghiottito è meglio che ti dai una mossa, fuori la gente non ha mica tempo da perdere!
Molto carino e veritiero ❤️