Racconto di  Elisabetta Bordieri

(Quinta pubblicazione)

 

Solo ieri notte il silenzio della stanza custodiva intatti i tuoi pensieri fino a traghettarli poco dopo in sogni più o meno coscienti. Poi quella notifica di e-mail in arrivo che ti ha svegliato, e-mail che hai aperto e letto. Poi le successive. Che hai continuato a leggere. Le parole arrivavano potenti come gigantesche onde improvvise che ti annegavano. Il bisogno di aria disperdeva quei pochi equilibri che eri riuscita a fatica a mantenere stabili nella tua vita. Il sonno era ormai perduto. E mai avresti immaginato il resto.

Non acquisto mai un libro perché attratta dalla copertina, anzi, in genere rifuggo apposta quelle patinate e invitanti, evito anche i tomi di mille pagine le cui storie finiscono con il marcire sul comodino insieme ai personaggi e schivo anche le novità in bella vista sugli scaffali propinate per lettori dilettanti, per non parlare del genere thriller tanto di moda. Comunque sarà per il freddo paralizzante che perfora a trapano battente le ossa in questo tardo pomeriggio di fine gennaio, sarà per la necessità di poggiare le mille scartoffie e buste della spesa che tengo in bilico tra le mani, sarà per la voglia compulsiva di leggere sempre qualcosa, che mi ritrovo a entrare nella libreria che frequento di solito, raffinata e ben fornita, giusto per riscaldarmi e riposarmi un attimo. Mentre sbircio qua e là in cerca di una lettura di nicchia, un tipo schivo e impacciato spunta dal nulla, mi si para di fronte a capo chino e mi mette un libro verde in mano sussurrandomi un impercettibile “leggilo”. Faccio giusto in tempo a memorizzare una capigliatura riccia e bianca su un abbigliamento funereo che si gira e se ne va. Imbambolata e curiosa chiedo lumi a un commesso che, poco educato, si limita a fare spallucce e, telegrafico, mi ricorda l’orario di chiusura. Infastidita e alla svelta mi avvio alla cassa per pagare ma l’impiegata mi fa notare che quello non è un libro in vendita nel negozio, né in altri. Non dà altre delucidazioni o forse attende delle mie domande che non porgo e così, senza pensarci troppo, lo infilo nello zaino ed esco, lo avrei usato per allietare le mie notti prima di dormire.

E invece avresti dovuto essere meno presa dal fascino dei libri e dall’incanto delle librerie. Dare un’occhiata in più non ti sarebbe costato niente e ti avrebbe evitato lo strazio. Un libro va sentito a pelle. Lo sai che non basta un titolo e scorrere le poche righe di trama o di biografia per decidere se leggerlo o meno. Cosa sulla quale questa volta hai peraltro sorvolato. Serve piuttosto tenerlo e rigirarlo tra le mani, guardarlo in ogni sua prospettiva, sentire l’odore che emana, carpirne l’anima. Allora avresti avvertito quel tocco pungente, fiutato quell’aspetto sinistro, intuito quell’assenza di profumo e saresti scappata via dal veleno silente che si diffondeva tra le pagine.

Quasi le venti, ormai è tardi per pianificare la serata. Rincasare è la più sensata conclusione che possa progettare. Una volta al caldo, al secondo piano senza ascensore del mio monolocale e mezzo, scaravento tutto sul tavolo: cappotto, zaino, pacchetti e pacchettini vari e mi infilo subito sotto una doccia bollente e rigenerante pronta per stendermi sul letto senza nemmeno passare dalla cena. Mentre l’acqua dispensa emozioni e distende la stanchezza della giornata, percepisco un leggero disagio sconosciuto, talmente leggero che si dissolve prima di prendere una qualsiasi forma.

Come non hai potuto ascoltare i segnali che il tuo cervello ti stava lanciando? Un disagio l’hai definito, avrai pensato l’acqua troppo fredda o troppo calda, oppure la sete o la fame, o ancora la debolezza o lo stress. Possibile che quella minima distanza che ti separava dal libro maledetto non sia bastata ad allertare i tuoi sensi? Non era disagio. Non potevi saperlo ma era già paura.

Ancora in accappatoio il mio stomaco richiede la giusta attenzione. Occhei, occhei, mangerò qualcosa al volo, anche se questo comporterà rimandare il sonno. Tanto vale fare le cose per benino. Apparecchio mezza tavola, visto che l’altra metà è ancora invasa dalle cianfrusaglie, accendo il televisore distrattamente e metto su l’acqua per un piatto di pasta semplice, non ho proprio voglia e tempo di cucinare altro e poi è troppo tardi per una cena sostanziosa. Di nuovo quella sensazione strana appena sopita, senza nome, senza fattezze. Tuffo i miei quaranta grammi di fusilli nell’acqua che già bolle, poi giro lo sguardo e… lo vedo.

Tu e la tua voglia di leggere sempre e a ogni costo. Non hai mai saputo contestualizzare le situazioni. Come hai potuto pensare che un libro qualsiasi ti potesse servire da sonnifero? Ricevuto in quel modo criptico e misterioso poi! Come hai potuto dimenticare le tue dolci notti insonni tra calde e delicate letture? Come non hai potuto pensare che in questo modo avresti solo impiegato il tuo tempo inutilmente disperdendo l’eternità? 

Dalla finestra, attraverso le persiane socchiuse, riesco a scorgere un uomo fermo sul marciapiede poco distante da casa mia appoggiato a un cassonetto della spazzatura ben illuminato dal lampione. Cappotto, sciarpa e guanti scuri, solo il volto è scoperto e qualche ciocca rada e imbiancata dal tempo gli svolazza anarchica sulla fronte. Sguardo rivolto in su. Verso me. O almeno così mi pare. Tiene in mano qualcosa, forse un libro. Sono una talpa e non vedo un accidente senza occhiali ma non voglio cercarli in quella baraonda che è il mio appartamento. E soprattutto non voglio perdere di vista il tipo ma piuttosto capire che ci fa lì sotto. Sì, è decisamente un libro. Ora lo tiene bene in vista. Mi sembra di riconoscere lo sconosciuto della libreria e anche il libro verde… oddio! Schizzo sul tavolo e rovisto dentro lo zaino e sì, è proprio quello! Torno con gli occhi alla finestra e il tipo non c’è più, scomparso. Poi una specie di sibilo continuo. Maledizione, la pentola sul fuoco!

Eppure non sei una sprovveduta. Se ti fossi dimenticata della cena, avresti calcolato tutte le mosse di quell’uomo, i suoi respiri, i suoi sguardi, i suoi ghigni. Allora forse avresti capito.

Faccio un passo o due verso i fornelli e tento di salvare il salvabile. Scolo al volo la pasta che spero sia ancora commestibile, ci metto su un po’ di formaggio grattugiato, niente burro e via. Non è semplice, è minimalista e dopotutto è anche buona. Non rinuncio però a un gelato che il freezer mi scaraventa addosso ricordandomi che ha bisogno di essere sbrinato. Me lo gusto sulla poltrona davanti alla TV prima di andare a dormire. Salto da un canale all’altro soffermandomi su ognuno per due minuti. Insofferente decido che posso anche traslocare sul letto a leggere due righe… già! L’uomo alla finestra! Mi alzo e mi affaccio appena da dietro i vetri per cercare di scorgere il tizio, ma niente. Strada deserta. Nessun elemento antropico. Meglio così. Prendo il libro che avrebbe agito meglio di un Valium.

E ora la fine raccontala tu… 

Mi avvio con tre passi verso la parte di casa adibita a zona notte, mi tolgo l’accappatoio e mi metto il pigiama ma sono troppo stanca così archivio l’idea di leggere e chiudo gli occhi cadendo, come ogni volta che tocco branda, in un sonno quasi eterno. Poi, un suono di notifica interrompe i miei sogni. Strano, devo aver dimenticato acceso il cellulare che spengo sempre la notte d’abitudine e soprattutto non mi sveglia nemmeno il boato di un evento catastrofico, figuriamoci un bip. Mi tiro su e vado in cucina a cercare il telefono probabilmente ancora dentro lo zaino. Infatti è lì. Come avrò fatto a sentirlo? Le due di notte. È una e-mail, la apro e leggo. Un mittente sconosciuto mi esorta a leggere il libro. Ma chi è e come può sapere? Torno in camera lievemente impaurita, lascio il cellulare sul comodino e mi metto sotto le coperte seduta sul letto con i cuscini dietro la schiena. Prendo il libro e lo esamino con interesse. Mi accorgo solo ora che il verde della copertina è di uno smeraldo lucido quasi fosforescente dai contorni medievali, sembra rilegato con un collage di pergamena e stoffa. Le proporzioni mi sembrano disarmoniche, sfoglio l’interno e noto parti pigmentate con decorazioni inquietanti sulle stesse pagine. Non lo so ma è come se emettesse onde di energia negativa. Cerco le note biografiche dell’autore, una prefazione, un riassuntino ma nulla. Non vedo nemmeno l’etichetta con su scritto il prezzo o un codice ISBN. Smarrita inizio a leggere. Pagina uno. Due. Tre. Dopo nemmeno cinque minuti di lettura inizio a sudare e non è certo il tepore del piumino e nemmeno la temperatura troppo alta del calorifero. Ma non riesco a smettere di distogliere gli occhi dalle pagine. Una scrittura gotica e aliena mi tiene in ostaggio. Divoro le parole, poi torno indietro e rileggo con più attenzione, poi ancora apro il libro a metà e leggo a caso. Non è possibile. Mi manca l’aria. Sto soffocando. Mi ritrovo catapultata dentro quella trama. Perché quella trama… sono io.

Questo non è il finale. Questo è solo l’inizio. La fine, la tua fine deve ancora arrivare.

Dovevo tornare in quella libreria, rivedere quel commesso o quella cassiera e domandare se avessero mai visto l’uomo dai capelli bianchi. Intanto sgomenta, continuo a leggere. Poi di nuovo un bip. Caccio un urlo dallo spavento. Uno stalker. Non può essere altro. Cerco di riflettere. Come ha potuto intercettare tutti i miei movimenti? E soprattutto chi accidenti è? Non controllo la notifica e riprendo a leggere.

Povera illusa e disillusa. Equilibrista su una strada di vetro. Avere paura dei cambiamenti lenti ti ha portato a essere immobile. Sempre presa dalla fretta del vivere, del leggere. Troppo tardi ora per porti due semplici domande: perché e perché. Non avresti le risposte.

Non devo allarmarmi. È un libro che parla di me. Forse non è un maniaco ma solo uno scrittore innamorato. Non può essere? Avverto un leggero bruciore agli occhi.

No, non può essere. Ci sono solo due giorni in cui non puoi fare niente, dicono i saggi, uno è ieri e l’altro è domani. Non hai capito che quello che conta è solo qui e ora. E forse ti saresti potuta salvare.

Ormai le e-mail si susseguono e le alterno alla lettura ossessiva del libro. Sono tentata di leggere le ultime pagine, ci sarà pure un finale ma quale potrà mai essere? Decido di osare e vado all’ultima pagina.

Leccarsi il dito per girare le pagine di un libro è un gesto tipico di un lettore avido. Quale tu sei. Non potevi immaginare il pericolo proprio di quelle pagine. Contaminate, tossiche, mortali.

Inizio a vedere le parole un po’ sbiadite, ma riesco a leggere qualche parola sconnessa: ‘veleno… lavanda gastrica… strangolarti…’. Devo essere stanca. Direi che mi sento piuttosto stordita e ho la gola secca. Colpi di tosse iniziano a scuotermi il petto. Un po’ d’acqua mi gioverebbe. Vado per alzarmi ma non riesco a muovermi, sento gli arti intorpiditi. La vista diventa sempre più nebbiosa. Riesco solo a vedere la forma delle mie convulse sensazioni. Il libro mi cade dalle mani. Cerco di afferrare il telefono ma le mani tremano e finisce a terra. Il respiro diventa sempre più affannoso. La tosse non mi dà tregua. Apro la bocca come per chiedere inutilmente aiuto ma non emetto alcun suono.

Ho cercato di avvisarti sai? Ti ho sempre difesa anche quando eri indifendibile. Ero sempre dalla tua parte. Ma tu hai sempre pensato che vivere nascosta e sola significasse vivere felice. E ora devo morire anche io per colpa della tua ostinazione e della tua negligenza. O forse esiste la reincarnazione per una coscienza innocente? Una coscienza i cui consigli sono rimasti inascoltati? Una coscienza che ha fatto inutilmente il suo lavoro? 

Il non senso di questa notte balorda mi sfugge. Sto morendo?

Suppongo di sì. Solo un po’ di vernice sul libro contenente un pigmento verde impastata con arsenico insipido e inodore. Nulla di più. Nemmeno poi troppo originale. Quel genere di libri che a te non piace è pieno di personaggi morti avvelenati così. Il colorante verde a base di arsenico era di gran moda nell’età vittoriana, ma non credo ti interessi ora una spiegazione storica dettagliata. E poi quel tocco di astuzia in più con quelle e-mail anonime. Bravo il tuo ammiratore. O dovrei dire il tuo assassino? 

Mi aggrappo alla sponda del letto e mi butto a terra. Posso solo strisciare cercando di recuperare il telefono finito chissà dove. Non lo trovo. Poi di nuovo un bip. Il segnale acustico mi permette di individuare il cellulare finito sotto il letto.

L’ultima e-mail… 

Per l’ennesima volta leggo. Apro e chiudo gli occhi per mettere a fuoco le lettere ma vedo solo nebbia. Alla fine leggo a tratti: ‘veleno… lavanda gastrica… strangolarti…’. Le stesse parole dell’ultima pagina. Non realizzo ancora cosa mi stia accadendo ma do retta solo alla prima parola presagendo la minaccia. Cerco di tirarmi su e mi infilo due dita in bocca fino a toccare le budella e mi vomito addosso pasta e sangue. Butto fuori tutto uno schifo di poltiglia e ripiombo a terra stremata. Ma la nausea e i dolori non si placano. Poi, il campanello della porta. A quest’ora di notte. Atterrita e sudicia, resto lì immobile. Poi sento la serratura aprirsi.

È finita. È davvero finita…? 

Quei ricci bianchi sono davanti a me. Belli però, devono essere vaporosi e morbidi al tatto, forse dovrei dirglielo. Un pensiero paradossale prima di morire per mano di uno squilibrato. Tiene in una mano il libro verde che scaraventa a terra e nell’altra un tubo trasparente, lungo e sottile collegato a una sacca vuota, un aggeggio medico. Sento la sua voce di cuoio. “Due sole uniche copie. Stampate da me. Ora lo sai.” E poi sento la mia di polvere. “Cosa… so cosa…?”. Una risposta bieca sussurrata. “…che ho scritto un libro per te ma che la fine la scriviamo insieme. Adesso. Sai, non mi hai mai considerato. Mi hai solo evitato. Ho provato ad avvicinarmi a te, ma nemmeno mi guardavi. Peccato, ti avrei raccontato la donna che io vedo e che non sei. E allora l’ho fatto nell’unico modo che so fare meglio: scrivere. Così ti ho seguita, pedinata e studiata. E ho scritto di te e per te. Manipolarti è stato un privilegio. Avvelenarti una necessità. Salvarti o ucciderti una follia”. Si china verso di me. Le sue labbra sfiorano le mie. Il suo alito putrido mi paralizza. Avvicina il laccio al mio viso. Sorride. Di nuovo quel sussurro strascicato. “Sdraiati. O una sonda nello stomaco per rinascere o una corda intorno al collo per morire. In ogni caso io sono il tuo antidoto”.

E poi finalmente le tue urla liberatorie a dirottare le sue mani, a sgretolare quell’assurda scelta, a saggiare quel che resta di una mente, la tua mente e i suoi deliri.