Racconto di Maria Pia Rosati
(Undicesima Pubblicazione)
All’alba di quel 24 dicembre, il portiere aveva sentito un tonfo fuori dal portone. Il corpo di una donna giaceva a terra, a pancia in giù. Riconobbe la signorina del quarto piano, quella che non aveva mai dato confidenza a nessuno. Chiamati i soccorsi, il cadavere coperto da un lenzuolo era poi rimasto a terra fino al pomeriggio, mentre la polizia indagava sulla donna. Non era emerso nessun dettaglio rilevante: non aveva mai ricevuto visite di amici o parenti e negli ultimi tempi, nessuno dei condomini l’aveva più incontrata. Dall’ispezione dell’appartamento, apparentemente in ordine, non era stato trovato nessun particolare che aiutasse le indagini; nulla, tranne alcuni dettagli: il pc aperto sul tavolo della cucina e il cellulare sul comodino. Ma erano particolari trascurabili che non avrebbero aggiunto nulla a quello che si presentava, senza alcun dubbio, come l’ennesimo gesto disperato dettato dalla solitudine. Il dramma di chi vive da solo in una città troppo affollata e troppo distratta dall’euforia dei giorni di festa, conclusero gli inquirenti.
“Ma non poteva scegliere un altro giorno per buttarsi di sotto?” Questo commento era circolato fra i condomini dal pianterreno fino all’attico. Nel tardo pomeriggio il portiere aveva gettato dell’acqua bollente per rimuovere la chiazza rossa davanti all’ingresso ed era stato illuminato l’abete addobbato nel centro del cortile. Le famiglie del palazzo si erano riunite per festeggiare la Vigilia di Natale. Le tante stanze illuminate, ad ogni piano, si erano riempite di odori di cibi succulenti, di voci che si rincorrevano, di grida di bambini. Anche il portiere, dopo aver controllato che tutto fosse a posto, si era ritirato nel monolocale al pianterreno. Per tutta la sera non si parlò dell’accaduto. La morte della signora M. era solo un dettaglio da dimenticare per non guastarsi la festa.
Nessuno, fra gli agenti di polizia, pensò di controllare il pc e il cellulare per indagare sulle cause di quella morte. Era stata subito esclusa l’ipotesi dell’omicidio: la vita di M. sembrava essere stata vissuta in punta di piedi e nel suo passato non c’era nulla da scoprire. Dai suoi documenti risultava essere “libera”, ma in realtà si sentiva imprigionata in un’esistenza da zitella: superati i cinquant’anni era sfiorita nel corpo e nell’anima. Gli anni migliori erano fuggiti via, spesi inutilmente nell’attesa di qualcuno che arrivasse a dare un senso all’esistenza. Succedeva sempre nei romanzi che ogni sera le facevano compagnia. Ma non era arrivato il suo turno. Agli altri le cose accadevano, eccome. Nell’ufficio in cui M. aveva lavorato per quarant’anni c’erano stati festeggiamenti per matrimoni, battesimi, promozioni e anniversari. Un orologio placcato d’oro era stato l’unico regalo ricevuto per il suo pensionamento. Ma anche questo era stato solo un dettaglio. Da quel giorno nessuno dei suoi colleghi l’aveva più cercata, nessuno aveva avuto un motivo per ricordarla. La solitudine si era impossessata della sua esistenza e l’attesa aveva ingoiato ogni momento delle sue giornate. Viveva relegata nel suo appartamento diventato una tana dove covava il rancore per tutti quelli che rincorrevano e poi trovavano la felicità.
Poi, un giorno, la vita si era ricordata di lei. Il profilo aperto sui social, in cui si era data un’altra età e un altro volto, le aveva concesso quello che meritava: l’incontro con l’uomo della sua vita. Gli ultimi tre anni li aveva trascorsi china sul pc fino a tarda notte e con l’orecchio teso al bip per leggere i messaggi in arrivo. Quell’uomo, con il nickname “Solo” sulla chat per cuori solitari, aveva bisogno di sentirla in ogni momento del giorno e della notte e di chiederle quante volte al giorno pensasse a lui. Finalmente anche le sue giornate si erano riempite di trepidanti attese e di piccole gioie quotidiane: messaggi vocali in cui una voce virile e sensuale con parole gentili e dolci le annunciavano il buongiorno, video di tramonti per augurarle la buonanotte, per non parlare delle tante canzoni d’amore che lui le dedicava e delle tante poesie che sembravano scritte proprio per celebrare il loro amore. A lui, e solo a lui, M. aveva avuto il coraggio di raccontare la sua vita e la lunga attesa dell’amore. Il desiderio di poter abbracciare quel corpo così tanto amato e desiderato era stato ossigeno per respirare a pieni polmoni il senso vero della vita. E aveva dovuto attendere quel momento per tre lunghi anni.
Ma ora l’attesa era finita: lui sarebbe venuto a casa sua per trascorrere insieme il Natale. Per l’occasione, a sessant’anni, aveva comprato una crema per le rughe e aveva tinto i capelli grigi di un luminoso castano scuro. Era entrata in una boutique e aveva investito la tredicesima nell’acquisto di un vestito di seta nero con le rose rosse e perfino un paio di décolleté con il tacco a spillo. Non aveva dimenticato di curare l’intimo: una sottoveste di seta e delle calze velate che aveva ammirato da una vetrina erano ora riposte in un cassetto dell’armadio. Aveva fatto le prove davanti allo specchio, come quando era adolescente. Si era vista bella, finalmente. Era tutto pronto per quell’incontro, tutto curato nei dettagli, com’ era nel suo carattere.
Poi c’era stata quella richiesta, qualche giorno prima: gli aveva mandato un bonifico perché lui aveva perso il lavoro e non poteva comprare il biglietto per il treno. Ma questo per M. era solo un dettaglio trascurabile rispetto alla gioia che sarebbe entrata dalla porta di casa, rimasta chiusa per troppo tempo. Ed erano stati dettagli anche le richieste in denaro nei mesi precedenti. A che servivano i risparmi di una vita se non a procurarsi uno scampolo d’amore? Qualche dubbio si era affacciato nella sua mente, ma la presenza continua di lui con messaggi e lettere piene di sentimento avevano fugato ogni sospetto.
All’alba di quel 24 dicembre, M. aveva ricevuto una mail dalla sua banca: il suo conto corrente era stato prosciugato. Ancora incredula, con le dita che tremavano e non riuscivano a digitare il numero, aveva chiamato “Solo” ma inutilmente: il numero risultava inesistente e il suo profilo in chat era stato cancellato. M. aveva sentito uno squarcio nel cuore e poi il senso di colpa per la sua stupidità. Il dolore per la fine di ogni illusione le svuotò la mente. Aprì l’armadio e gettò in un sacco nero dell’immondizia il vestito e le scarpe; andò nel bagno e, urlando tutta la sua rabbia, gettò in terra i barattoli di crema. Prese una sola decisione: non avrebbe passato un altro Natale da sola. Con questa certezza si era avvicinata alla ringhiera del balcone e aveva trovato il coraggio di scavalcare la balaustra. Un’ultima consolazione prima di buttarsi giù: non avrebbe dovuto più aspettare. Era solo un dettaglio, ma le procurò qualche secondo di sollievo. Un irrefrenabile desiderio di liberarsi di tutto il dolore che le bruciava dentro le impedì ogni altro pensiero. Poi spinse forte sui talloni e respirò a fondo l’aria fredda del mattino. Resistere solo per qualche secondo, solo questo disse a sé stessa. Con le braccia che nuotavano nella nebbia lattiginosa dell’alba, corse incontro alla fine di ogni dolore.
La notizia apparve sul quotidiano locale soltanto due giorni dopo, ma furono in pochi a leggere il trafiletto: un suicidio alla vigilia di Natale non era in fondo che un dettaglio, l’ennesima tragedia dettata dalla solitudine.
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https://www.mondadoristore.it/E-io-mi-fumo-la-vita-Maria-Pua-Rosati/eai978886770720/
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