Racconto di Gigi Pietrovecchio
(Seconda pubblicazione – 17 marzo 2019)
In fondo… è forse giusto ripercorrere le ultime storie, rivedere le ultime esperienze, rivivere gli ultimi incontri; non quelli dei novant’anni trascorsi sulla Terra, no no. Qui parliamo di quanto è accaduto prima, qui andiamo a riassumere tutti, o quasi tutti, i fatti che hanno determinato gli avvenimenti successivi…
Quando nella Grande Sala Turchese si riunì d’urgenza il Consiglio di Synthesis, supremo organo dell’Assemblea, la motivazione era che ormai troppe Anime si erano smarrite dietro i miraggi e le tentazioni della comodità e del privilegio, dentro alla tremenda ed esiziale propaganda che il credo della Paura e del Terrore, più o meno sinonimi dello stesso non-valore, cercava di inoculare in chiunque avesse ancora un briciolo di coscienza, o di autocoscienza.
Spiegazioni, dubbi, domande e risposte, e concitati dibattimenti si susseguirono durante un’intera giornata. Non era semplice giungere ad una conclusione accettabile, condivisa ed incontrovertibile… In ogni modo, in capo a questo lasso di tempo, si addivenne a formulare il quesito cruciale: chi si assumerebbe il compito ed il carico di pianificare e gestire un’operazione tanto complessa (…dal punto di vista logistico, tattico ed anche strategico…) per provare a raggiungere ed eventualmente a liberare i prigionieri trattenuti in un inferno di ghiaccio ai confini dell’Iperbole?
Gli Stati Maggiori presenti, a nome ed in rappresentanza dei propri equipaggi (e solo qualcuno a nome della propria aeronave…) si riservarono di esaminare attentamente (Uomini, persone e macchine semipensanti…) e di valutare a fondo l’impresa.
Il giorno dopo Ran Thuryan convocò i suoi uomini, le sue donne e… insomma, i suoi.
Espose loro la problematica completamente, senza tralasciare nessun particolare, enunciando ogni difficoltà, anticipando ogni ostacolo, chiarendo ogni ipotesi… per quanto fosse possibile.
Iperbole era chiamata normalmente la linea immaginaria che congiungeva una dozzina di pianeti posti a distanze molto variabili l’uno dall’altro e che nei suoi recessi più lontani non era ancora stata esplorata in profondità.
Già solo a sentirla nominare incuteva enorme timore. Ciò nonostante le parole del Comandante non incontrarono particolari reazioni; al di là di una razionale velata preoccupazione non notò niente di esplicitamente anomalo. Ognuno si stava preparando ad assolvere il proprio compito nel migliore dei modi e stava quindi vagliando ed elaborando le più proficue opzioni per far fronte a qualunque minaccia e stava escogitando tutti gli stratagemmi per dare soluzione ad ogni prevedibile necessità.
Telepaticamente lo raggiunse il messaggio di Eiréne.
L’astronave aveva messo autonomamente in azione la sua silenziosa capacità di comunicazione ed ora lo invitava a confrontarsi a bordo di se stessa.
Lasciò i compagni a discutere con il suo Vice, si fece trasportare alla piattaforma di parcheggio e salì la rampa di accesso fino al quadrato, luogo per lui estremamente abituale, si sedette al posto di comando e disse ad alta voce: “Eccomi! Dimmi tutto”
Il velivolo, la nave (ogni termine è, purtroppo, riduttivo) in minima parte in video su uno dei molteplici schermi plurifunzione, ma soprattutto in audio con la sua frequenza, piacevole e pervasiva, iniziò a dialogare con il Capo, come lo chiamava lei.
“Ciao, Capo. Spero che tu sia in ottima forma, perché ne avrai tanto bisogno. E spero anche che tu non ti sia dimenticato del Corridoio di Vombràno…”
In realtà il Maggiore Thuryan non aveva né ignorato né sottovalutato la questione; quello era il tratto più lungo, più impegnativo e più pericoloso.
Per qualche istante rimase a fissare la videata: non ebbe alcun riscontro… Poi si rivolse all’interlocutrice: “Ciao. Ti piace nominare gli spauracchi! No, ci ho pensato; sai bene che noi due abbiamo grandi responsabilità verso chi ha deciso di volare in nostra compagnia. Quando arriveremo al Corridoio dovremo necessariamente unire tutte le nostre forze, tutti, tutti insieme; solo così potremo vincere le astuzie ed opporci ai tradimenti che là incontreremo. Quello non è la parte di un viaggio, quello è un diabolico crogiuolo di situazioni intricate e di trappole nascoste!”
Si scambiarono tante altre opinioni, ulteriori sottili considerazioni e sfrontate deduzioni. Il quadro che ne emerse dava solo una pallida idea di quanto profonda fosse la connessione simbiotica esistente tra il Comandante, la sua astronave ed il loro variegato organico.
Dopo i reciproci saluti, prassi normale, Ran tornò alla riunione che prima aveva lasciato. C’era stata un’enorme evoluzione durante la sua assenza; innanzitutto era stato deciso all’unanimità di affrontare questa nuova ed, in parte, imprevedibile situazione; ma, soprattutto, ogni responsabile dei settori complementari di Eiréne aveva già predisposto implementazioni di propria competenza.
Il Tenente di Secondo Cerchio Narràl Unàr aveva rivisto i caricamenti delle armi di bordo, la durata delle riserve di colpi e le traiettorie balistiche…
Il Capitano Thòran Kray aveva già considerato tutte le varianti immaginabili per affrontare la rotta del Corridoio di Vombràno e come prevenire ed evitare qualunque ipotetico malfunzionamento del complesso propulsivo per mantenere al livello ottimale l’efficienza e la reattività dei motori.
La Capitana D’doràn Ontar aveva ripassato ed aggiornato le check-list di tutti i sistemi informativi, informatici, biotronici, elettromagnetici e simpatetici di astronave Eiréne.
In piccola parte questi ruoli erano intercambiabili, ma in massima parte no! L’esperienza e lo studio sistemico di questi tre ufficiali non era per niente sostituibile e, sebbene tra loro fosse normale la messa in comune di ogni novità e di ogni approfondimento, ognuno di essi rappresentava lo scibile massimo del proprio peculiare campo di indagine.
L’indomani di buon mattino tutti avevano già salutato chi di dovere e si stavano imbarcando sulla, per l’occasione, rutilante aeronave. Eiréne poteva cambiare colore ed aspetto come lei, od i suoi abitanti, volesse e volessero; in base allo sfondo, alla missione, alle frequenze, alle apparenze, alle radiazioni. Solo la forma originale poteva, comunque, essere smaterializzata e rimaterializzata, ma, in quanto a quello che sembrava… beh, lì il ventaglio era molto molto ampio e, ad ogni buon conto, oggi stava lampeggiando come un diamante.
Lei apparteneva ad una ristretta categoria di spazionavi, molto particolari, dalle caratteristiche difficilmente interfacciabili sia con le persone catalogabili come umane sia con tutte le altre tipologie di esseri animati. Era molto esigente ed andava d’accordo unicamente con entità altrettanto esigenti; si trattava, in fondo, di un sottile ed esclusivo rapporto di complicità e compenetrante scambio estremamente difficile da spiegare e, soprattutto, da capire; anche in questo, o particolarmente in questo, eccelleva l’abilità di comando di Ran Thuryan.
Malgrado tutto,però, anche il Maggiore era soggetto a qualche vuoto di programmazione.
Ora, per esempio, stava trascurando di avvisare il Comando Centrale sia della loro decisione sia della loro azione ormai incipiente.
Si mise in contatto con la stazione; ma solo per scoprire che qualcuno aveva già provveduto ad avvisare, informare e rassicurare. Ecco, questo è il vero, genuino ed autentico significato di aver a che fare con un’astronave biotronica.
Ed all’ultimo istante, con una leggera corsa felpata, salì a bordo Mìneren Kar.
Se qualcuno avesse pensato di chiudere l’accesso prima o al momento del suo arrivo, avrebbe cozzato contro una volontà superiore alla sua. Mìneren Kar era l’unica immaginabile compagna di Ran; era sì una donna, era sì molto carina e con una sensualità evidente e sincera, senza malizia ma, cosa che sfuggiva ai più, era anche una transanimale felina.
Quando lei o il suo partner lo avessero ritenuto necessario, la stupenda ragazza si sarebbe improvvisamente trasformata in un’enorme gatta a strisce arancio e nere, dotata di incredibile potenza e disposta ad annientare qualunque sorta di ostacolo.
(E quando si dice enorme significa grande e grossa come un paio di Capitani Kray messi insieme).
I due avevano in comune una miriade di cose, né visibili né sensibili; tutti notavano unicamente la loro predilezione per la strana bevanda conosciuta come il succo della miràba, ma ben altro li accomunava: erano l’un l’altro compatibili, però non avrebbero mai potuto avere una discendenza; erano autonomi e complementari, liberi e reciprocamente legati e chiaramente sincronici e letali!
Per inciso, la bevanda prima nominata era il triplo distillato di una liana gigante del pianeta Kòros 2; Kòros 2 era la patria del Comandante e dei Kodd, gli imponenti similorsi, un pianeta sul quale due popoli diversi, assolutamente differenti gli uni dagli altri, vivevano in pace e in armonia, senza nessun attrito o controversia.
Ma il succo della miràba era detestato nella maggior parte dei mondi. Troppo forte, troppo aromatico, troppo colorato: nel lungo bicchiere si divideva in sinuose fasce azzurre e verdi dal basso verso l’alto e questo già impensieriva i più… assaggiarlo poi!
Ognuno raggiunse la propria posizione e vi si installò.
Il Comandante passò la mano destra su una parte dello schermo che aveva davanti e la sinistra sulla parte opposta, poi disse: ”Ok ragazzi, ora si va a caccia di Anime”.
Con un leggero sibilo Eiréne si sollevò lentamente dalla piattaforma, ruotò di 98 gradi a destra e partì come una folgore verso il comune obiettivo.
Ma, alla fine, dove porta il Corridoio di Vombràno?
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