Racconto di Paolo Marco Durante
(seconda pubblicazione)
L’uvetta no! Tutto ma non l’uvetta.
A trovarlo però un panettone senza quella maledetta uva sultanina che è buona e fa bene. Antiossidante naturale. Antitumorale addirittura. In fondo anche il gusto, un po’ stucchevole, non è poi così malvagio.
È Natale. La festa dell’albero e del panetùn. E magari anche del presepe, se non fosse che il presepe fa tanto Napule, un po’ troppo. Comunque il panettone bisogna mangiarlo a Natale, qui da noi, a Milano. La Madunina e Sant’Ambreus, il Pirellone e La Scala, San Siro e il Milan, Don Lisander e Mediaset, elrissgiald e la cutulèta a la milanesa… e il Panettone! Questa è Milano!
Ah, el panetùn!
Ma senza l’uvetta.
Perché l’uvetta è pericolosa. Terribilmente pericolosa.
Ne è ghiotto il nachtigall (usignolo). Che, a differenza del suo nome così poetico, così romantico, è un mostro. Feroce, spietato.
Inutile cercarlo nella tassonomia del Brehm (1831). Non si tratta infatti del delicato, melodioso uccellino, la Lusciniamegarhynchos. Di cui usurpa il nome.
Efflatusperniciosus lo definisce il Rosenkranz ( https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Karl_Friedrich_Rosenkranz ) nel suo Tractatus de essentiismaleficarum (Dresda, 1638), unica testimonianza attendibile che siamo riusciti rintracciare. Weihnachtsnachtigall lo sistematizza. Ma lì si ferma. Cosa sia, come si presenti, quale l’aspetto, le abitudini, sono tutte cose che non vengono spiegate. Resta l’idea di qualcosa di indefinito, indistinto, che vaga nell’aria, che…
Appena un accenno ad esso, senza tuttavia alcun diretto riferimento attributivo né concettuale né tantomeno empirico, può essere sospettato quello contenuto in appena tre righe rinvenute a pagina ventiquattro del trattatello del Pierobon: “Della maniera di prevenire le contaminazioni respiratorie” (Venezia 1793), nient’altro che un manualetto di pratiche estemporanee, in verità.
Qualcosa comunque siamo arrivati a conoscerla. Ad esempio sappiamo che durante tutto l’anno scompare, specialmente d’estate, quando ci piace esporci al sole, sulle spiagge, in una promiscuità seducente e stimolante. Dorme, nascosto in fondo agli armadi, nelle soffitte, in qualche valigia dimenticata. Vegeta in una specie di buio letargo che lo apparenta ai lemuri, agli ectoplasmi, ai non-morti, a qualcosa che non è riuscito a varcare il confine. Continua anche in autunno quel suo diabolico non-esserci.
Il suo fiato è velenoso, malefico, diabolico appunto. Nei luoghi infestati, anche se non lo si percepisce, bisognerebbe mettersi almeno una mascherina, tipo quelle da chirurgo, per difendersi dai suoi micidiali miasmi.
Poi si avvicinano le feste. E un bel giorno comincia a spandersi per le strade un profumino gradevole, bambino, come di zucchero filato. Sono i dolci natalizi che riempiono i negozi, i supermercati, le pasticcerie, le case. Pandoro, ricciarelli, panforte, torrone, marzapane, pangiallo, parrozzo. E soprattutto panettone.
Qui da noi, a Milano, el panetùn la fa da padrone, ci mancherebbe altro! Nell’aria però si sente anche un filo, esilissimo, di odore d’uvetta.
È adesso che le sensibili nari del nachtigall cominciano a fremere e a vibrare come antenne. Hanno già percepito quel sentore che hanno atteso per un anno intero. Ecco, il nachtigall lo ha riconosciuto e ora inizia il suo lugubre canto. Già, perché il nachtigall canta mentre si trasforma in mostro. È il motivo del nome. Canta di notte, quando siamo in così pochi a poterlo ascoltare. La gente normale di notte dorme. È un canto in apparenza placido, melodioso, come una nenia natalizia. E invece è un canto di morte.
Come è fatto un nachtigall, quale sia il suo aspetto nessuno lo sa e il Rosenkranz – lo abbiamo detto – in questo non aiuta, lasciandoci in una nebbia indistinta: d’altra parte sarebbe illusorio pensare di scorgerne uno, e riconoscerlo. Perché il nachtigall, questo lo sappiamo, può prendere la forma che vuole – forse anche lui è composto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, come ci suggerisce il bardo immortale – e spesso assume quella dei nostri desideri: fare una passeggiata, abbracciare un amico, andare a teatro, amare la prima donna che incontriamo, portarla al ristorante, a ballare.
Adesso però è il suo tempo: si aggira, invisibile, ostile, maligno, per le strade, nei centri commerciali, nei ristoranti, nelle pasticcerie, nelle case addobbate per le feste, dovunque si trovi la fatale uvetta.
E noi, incoscienti, in attesa della notte di Natale, continuiamo a scartare el panetùn, a tagliarlo, ad assaporarlo a tutte le ore del giorno, dalla mattina a colazione, immergendone una fetta nella tazza del caffellatte bollente, fino a notte, solo un pezzettino ancora, prima di andarcene a letto…
E intanto il nachtigall si rimpinza di uvette. E cresce. Si moltiplica. Canta.
Di giorno si confonde con la radio del vicino, con i televisori perennemente accesi. Ma la notte invece, quelle note suadenti, carezzevoli, terrificanti – le pive della morte – ci fanno intendere che il tempo è venuto.
Ci infetta.
All’inizio tutto sembra normale, anche se ci sentiamo un po’ strani, non tonici e pimpanti come al solito, quando è festa. Un po’ strani e basta, però.
Poi comincia a farsi strada un leggero disagio: un lieve mal di testa, un senso di spossatezza, le gambe pesanti, ci si sente un po’ “acciaccati” insomma.
È furbo il natchigall: fa finta di niente, come se non ci fosse. E intanto l’uvetta continua a farlo prosperare. È proprio l’uvetta a fargli fare il salto di qualità, la trasformazione in quel mostro cui non basta più il laido banchetto di uva sultanina rinsecchita. Adesso il mostro ha premura di alimentarsi col secondo elemento indispensabile alla sua diabolica dieta: noi.
Ho comprato tre panettoni. Il primo l’ho già finito, sono goloso, lo so, e poi mi son de Milàn! Sto partendo con il secondo. Il terzo lo aprirò a Natale, non manca molto. Poi, ai primi di gennaio andrò al supermarket per acquistarne altri due, in quel periodo sono già scontati quelli avanzati, in offerta speciale: uno da aprire all’Epifania, l’altro per mangiarlo a San Biagio come si fa da noi, qui al nord, non lo sapevate, eh? Ma ti te set minga de Milàn!
Da alcuni giorni però mi rendo conto di non star bene per niente. Stanchezza, una fastidiosa febbriciattola, qualche colpo di tosse, un raschietto alla gola, un po’ d’affanno. E un’ansia appena accennata.
Da quando il nachtigall ha iniziato a risvegliarsi mi sono messo quella mascherina di cui parlavo, anche a costo di sembrare matto, ma non lo sopporto quell’alito micidiale.
Un giorno esco per delle compere e con stupore mi accorgo che anche gli altri hanno un aspetto poco sano, un po’ acciaccato, come dicevamo prima. È evidente, anche loro sono stati assaliti, penso, ma non sanno come difendersi, non hanno ancora capito che il problema sta nei panettoni di cui hanno riempito le case. Non hanno ancora scoperto che il problema è l’uvetta. Che io invece tolgo non appena lo apro, el panetùn: piano piano, con una pazienza da certosino ne estraggo tutti gli acini vizzi, mollicci e rugosi e li getto nel water, a rischio di otturarlo.
Quel giorno ero andato anche in farmacia: il dottore aveva osservato il mio viso congestionato, gli occhi arrossati e lacrimosi, chiedendo se mi sentissi male. Non gli avevo risposto. Però avevo comprato una confezione di mascherine, FFP3, massima protezione.
A casa ero stato assalito dal fetido lezzo del nachtigall.
Adesso è passata un’altra settimana. La febbre è molto alta, la tosse non mi dà tregua, non riesco a respirare, ho un peso insopportabile sul petto. Il mio nachtigall non ha pietà, mi assale, mi alita, mi soffoca, mi uccide.
Tra una settimana è Natale. Dappertutto si sentono canti, come di bimbi.
In cucina è rimasto un solo panettone. Ormai è inutile togliergli le uvette.
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