Racconto di Angela Potente
(Nona pubblicazione)
La radio trasmetteva una vecchia canzone di Billie Holiday.
Ti vedrò in tutti i vecchi posti familiari che il mio cuore abbracci si sentì cantare sorridendo all’ironia di quel momento. Girò lo sguardo per la stanza, il consunto divano su cui troppe notti e troppi giorni erano passati inermi e vuoti. La TV che prendeva i canali solo dopo avergli assestato un pugno, le pareti con la carta da parati scrostata e grigia. Il tavolino basso ricoperto da troppe bottiglie di birra e segnato da centinaia di bruciature di sigarette. Il vecchio portagiornali ormai sfondato e usato come ricovero di ogni bolletta accartocciata e non pagata. La tendina che pendeva storta dalla finestra con un cerchio di cartone al centro, per coprire il buco lasciato nel vetro da un posacenere lanciato e schivato all’ultimo istante.
Ogni pezzo di quella stanza le riportava un ricordo alla mente. Trascinò i piedi verso la cucina, il lavello era invaso di piatti sporchi e tazze sberciate. Tracce di cibo in decomposizione come macerie abbandonate vestivano il ripiano ovunque. Recuperò una tazza per bere, dal lavandino correva acqua sporca ma non lo notò neppure, puntò lo sguardo fuori dalla finestra. L’albero storto del giardino resisteva ancora, l’erba del prato invece era diventata una macchia senape, lo steccato somigliava a una bocca con tre denti. Il capanno degli attrezzi, un insieme di assi storte e consumate dalle stagioni, le fece pensare che c’era stato un momento in cui qualcosa ancora si poteva costruire, prima che ogni attrezzo venisse venduto per pochi centesimi. Prima che si risvegliasse con uno sconosciuto al fianco, prima che la rabbia sedesse a capotavola sera dopo sera. Prima delle bottiglie e delle urla.
Sì girò di nuovo e socchiuse gli occhi. Dalla porta ad arco si vedeva l’angolo in cui avevano sistemato la poltrona comoda. Dalla radio ora arrivava la voce dolce di Etta James. Con lentezza, come se temesse di rompersi da un momento all’altro, attraversò di nuovo la cucina e si avvicinò. La lampada a stelo rischiarava solo il bordo del bracciolo di velluto e la mano che sembrava tamburellasse ancora con dita nervose. Si abbassò per osservare meglio, risalì con lo sguardo lungo il braccio, fino alla spalla e al volto. La testa era piegata come se si fosse appena addormentato. Solo un sottile rivolo di sangue gli correva dalla tempia al mento per accucciarsi poi sul bordo della camicia bianca formando una piccola pozza rossa a forma di stella.
Inclinò il capo e la bocca le si aprì in un sorriso sghembo.
In fondo non era stato difficile.
Quando chiuse la porta dietro di sé la voce di Etta la seguì finalmente il mio amore è arrivato.
I miei giorni di solitudine sono finiti e la vita è come una canzone…
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