Racconto di Gianluigi Vanni Bettega
(Settima pubblicazione – 16 agosto 2019)
Ai tempi, le visite all’interno dello stabilimento della Moto Guzzi erano una cosa seria. Si accompagnavano i visitatori dalla portineria alla sala coppe, lì si faceva un discorsetto di presentazione, si donavano depliant e qualche gadget ai visitatori poi si scendeva fino alla galleria del vento. Qui, con un occhio attento che nessuno entrasse allo sperimentale, si spiegava il funzionamento dell’impianto e se ne illustravano le caratteristiche.
Si saliva quindi al museo, che allora occupava un solo piano, poi, una volta scesi, visita al montaggio motori (Piero dall’alto della sua cabina controllava che quelli col casco non lo usassero come borsa della spesa!)
Si spiegava il processo produttivo e per sommi capi il funzionamento, l’organizzazione delle linee di montaggio. Era poi la volta delle leghe leggere, si illustravano le caratteristiche delle macchine più significative, avevamo già alcuni centri di lavoro, le Olivetti CNZ e le Cincinnati. Poi si visitava la Meccanica generale, anche qui stazionamento ai Fisher e altri macchinari a controllo numerico poi salita al capannone “nuovo”, visita al reparto verniciatura e sosta al banco dei filettatori, dapprima c’era il Benassè, poi Nello. Infine visita alle linee di assemblaggio finale, dal posizionamento del motore e del telaio fino alla moto finita. Infine una occhiata al reparto riparatori e dulcis in fundo il giro di pista dei collaudatori. Discesa alla portineria e commiato.
Mi successe una volta di accompagnare la scolaresca del prof. Augusto Farneti, il quale mi confidò che stava allestendo una 8 cilindri, partendo da un carter trovato in Francia dove una signora lo usava come vaso per fiori! Mi chiese se conoscessi qualcuno competente in materia e fu lì che gli presentai il sig. Todero.
Da quella volta i due divennero amici, tanto che Farneti collaborò con la Guzzi dove fece diverse ricerche storiche.
Un’altra volta accompagnai un gruppo di giornalisti giapponesi. Alla fine del percorso, dove era previsto il girare in pista dei collaudatori, al momento non c’era nessuno. Chiesi allora a Cereda se potesse lui stesso farci una dimostrazione.
Cereda inanellò alcuni giri, forse si lasciò prendere un poco la mano, i giapponesi si esaltavano visibilmente e continuavano a scattare foto!
Passò un mesetto circa e Cereda, bocchino senza sigaretta in bocca, arriva in reparto con un rotocalco. È scritto in giapponese ma, sull’ultima pagina spicca una foto, dove c’è lui in una bellissima piega.
Sig. Cereda, gli dico, questa la deve far stampare da un bravo fotografo, troppo bella!
Dopo qualche giorno si ripresenta con 2 foto, una per me e l’altra per Nello.
Un’altra volta stavo salendo dall’ufficio al reparto, cartelletta sottobraccio e grembiule nero, lercio e svolazzante. Mi si accosta Cereda a bordo di una V35. “Bettega, vuole un passaggio?” “troppo gentile” rispondo e salgo mentre lui sta già accelerando e fatico a trovare i poggiapiedi. Fatta la curva ad angolo, accelera e prendiamo in pieno una buca, io quasi dal contraccolpo volo via, poi in cima alla salita non si ferma ma prosegue in pista! Facciamo 4 giri di pista ventre a terra: “sente, Bettega che sospensione del cavolo abbiamo?” mentre strisciavamo il silenziatore sull’asfalto. Altro che “troppo gentile”!!! Aveva bisogno di provare la moto a 2, quando ha visto i miei 90 kg si è ingolosito e mi ha fatto salire!
Comunque ho ringraziato del passaggio con falsa disinvoltura ma con lui non son mai più salito!
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