Racconto di Andrea Galli
(Prima pubblicazione)
Prima
Nonostante il dolore alla caviglia ed il cuore al galoppo, avanzava quanto più speditamente possibile, la visiera del cappellino a celare il viso rosso e sudato, desiderio d’invisibilità.
Era stato il medico a convincerlo ad uscire.
“Deve fare più movimento, signor Bucci. Va bene che è giovane, ma non può passare tutta la vita seduto. Adesso si tratta solo di una lieve cervicalgia, ma andrà a finire che diventerà gobbo”, aveva vaticinato la dottoressa Pittoni. “Una passeggiata di un’oretta al giorno e tutti i dolori di schiena spariranno” aveva salomonicamente concluso.
Nino, dopo settimane di riflessioni e ripensamenti, aveva pertanto deciso di iniziare a camminare e, magari, in futuro, di correre. Da ragazzino, ossia una decina di anni addietro, era stato addirittura un ragazzo sportivo e moderatamente socievole.
Una volta, quando la Terra era un pianeta ospitale e la gente, o buona parte di essa, era mentalmente stabile.
Così quel giorno, cestinata ogni residua remora, si era fatto forza. Optando per una soluzione di compromesso tra la necessità di fare movimento e la volontà di evitare incontri spiacevoli, si era recato al parco Crivelli, lungo i cui viali, alle quattordici di un sabato canicolare di fine luglio, contava di non incontrare nessuno. Si sbagliava.
Dopo
Varcò il cancello del parco e fu di nuovo in strada. Si arrestò qualche secondo per riflettere su quale direzione prendere.
“Nino, uhé, guarda che ti sanguina ulpè!” disse l’anziana. Ci voleva anche un incontro fortuito con la vicina impicciona.
Nino non rispose e si mise in moto, tentando invano di asciugarsi il sudore dalla fronte, operazione impossibile dal momento che non disponeva di un asciugamano, ma solo di un braccio a sua volta sudato. Prese a sinistra, a testa bassa, un toro alla carica che ruminava imprecazioni, direzione farmacia.
Siccome le sfortune arrivano sovente in coppia, quando fu giunto a destinazione trovò l’esercizio chiuso. Avrebbe riaperto solo mezz’ora più tardi, alle 15.
La caviglia pulsava, doleva e sanguinava sempre più insistentemente. Non disponendo di un fazzoletto per tamponare la ferita, strappò alcune foglie da una siepe, e, usandole a guisa di straccio, rimosse il sangue come meglio poté. Decise quindi di entrare nel bar di fronte. Se resto mezz’ora sotto ‘sto sole collasso.
Attraversò la strada e si infilò nel locale. Tavolini bianchi laccati, molto alti, rotondi, con altrettanto alti sgabelli, un bancone lungo e lucido dietro al quale stazionava un giovane bartender.
“Buongiorno, si accomodi pure” lo accolse con riverenza il ragazzo.
“Buongiorno” rispose Nino prendendo posto vicino all’ingresso, più lontano possibile dagli altri avventori. Ordinò una bottiglietta d’acqua naturale fresca e si mise a leggere il quotidiano sul cellulare. Aveva anche pensato di chiedere un cerotto, ma aveva rinunciato per non dover fornire spiegazioni.
Il cameriere tornò con bottiglia e bicchiere.
“A lei.”
“Grazie” rispose Nino. Abbassata la mascherina, sorbì un abbondante, fresco, corroborante sorso d’acqua.
Sarà stato per l’atmosfera tranquilla del locale, fresco e semivuoto, per il gradevole sottofondo di musica naturale, per lo scemare dello spavento o per l’effetto combinato di tutti questi fattori che due sensazioni presero forma nella sua mente. Innanzitutto, gli sembrava che il dolore alla caviglia andasse attenuandosi. Abbassò lo sguardo e notò che l’emorragia si era placata, anche se, forse, l’area ferita si stava gonfiando. Poteva andarmi peggio, pensò, inspirando profondamente prima di prendere un altro sorso d’acqua. Inoltre, avvertiva un certo languore. Ora che ci pensava, a pranzo aveva mangiato solo un’insalata: un toccasana per la linea, ma inconsistente dal punto di vista calorico.
Richiamò l’attenzione del cameriere e chiese se era possibile avere un toast al prosciutto.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi ed avvampò.
Nino, forse facendosi suggestionare da una delle notizie che aveva appena letto, ossia che un noto attore hollywoodiano era stato ritrovato privo di vita nella sua villa poche ore prima, vittima di un malore fatale, pensò che il ragazzo stesse per avere un infarto.
“Sta bene?” domandò.
Un sbuffo, o forse un rantolo.
“Tutto bene?’” ripeté Nino, scattando in piedi pronto ad afferrare il giovane nel caso in cui fosse crollato.
Questi si allontanò, esibendosi in un agile balzo all’indietro.
“Se c’è qualcuno che non sta bene qui dentro non sono io, signore. Sa leggere o no?”
“Sì…” rispose disorientato Nino. Gli sfuggiva qualcosa.
“Allora, se sa leggere, avrà letto all’ingresso che in questo locale non vendiamo animali morti. Gli animali ci piacciono vivi. Questo è un locale vegano, pet ed eco-friendly.”
Nino, con la bocca improvvisamente secca, si mise a masticare delle scuse, si scusò della richiesta, si scusò di mangiare carne affermando che anche lui rispettava e amava gli animali.
Il barista, senza proferir verbo, aprì la porta indicandogli con ampi gesti del braccio la via da prendere.
Nino posò una banconota da cinque euro sul tavolo e, quando fu sicuro delle proprie gambe, schizzò fuori dal locale.
“Sei un cretino, sei! Non devi più uscire di casa!” gridò appena fu in strada.
Quando fu entrato in farmacia, qualche minuto dopo le quindici, c’erano già quattro persone in fila prima di lui. Prese il numerino e si pose in attesa.
Allorché fu giunto il suo turno, spiegò alla farmacista di essersi procurato una ferita alla caviglia e che necessitava pertanto di un disinfettante, di garze e di un cerotto delle dimensioni opportune. La donna, molto gentilmente, lo invitò a passare nella saletta sul retro per valutare la ferita ed effettuare la prima medicazione.
“Ma scusi, ma questo è il morso di un cane” osservò la donna, maneggiando il piede ferito.
Nino annuì timidamente.
“Spero che abbia fatto l’antitetanica.”
Il ragazzo rispose affermativamente.
“Dovrebbe comunque andare al Pronto Soccorso per una terapia antibiotica”, aggiunse la farmacista.
“Scusi, posso chiederle se è stato il suo cane o un randagio?”
“No…cioè, nessuno dei due. Stavo camminando al parco Crivelli…stavo camminando ascoltando la musica quando è passato un cane e mi ha morso…”
“Sciolto?”
“No…sì, ma il padrone era poco distante. Mi ha detto che la musica lo deve aver fatto spaventare, che i cani sono sensibili alla musica e che è meglio passeggiare senza rompere i co…, mi scusi, insomma, senza disturbare…”
Non sapeva più cosa dire, sapeva solo che un cane, nemmeno troppo piccolo, gli aveva infilato i canini nella caviglia e che si era pure preso una ramanzina dal padrone.
“Guardi, non è niente di grave, il morso è abbastanza profondo, ma non ha reciso muscoli o vasi. Come vede non ha nemmeno bisogno di sutura. Comunque io, al suo posto, avrei chiamato la Polizia Locale”, disse la farmacista.
“Cosa ci vuole fare…oggi se dici qualcosa contro i cani…”
“Davvero, guardi! Che roba!”, esclamò la donna, accennando un sorriso.
“Ascolti, la ferita è disinfettata e le ho applicato un cerotto antisettico. Appena può però vada al Pronto Soccorso.”
“Magari domani…”
“Sarebbe meglio oggi. I cani possono trasmettere il tetano, la rabbia e altri agenti patogeni. Se proprio vuole andare domani, anche se glielo sconsiglio, stasera si disinfetti di nuovo e poi metta uno di questi cerotti che hanno la garzina antisettica. D’accordo?”
Nino annuì.
“I cerotti ce li ho blu o rosa perché quelli bianchi li ho esauriti. Come li preferisce?”
“Facciamo blu, voglio una medicazione da vero uomo!” scherzò Nino.
“Perché gli uomini hanno la medicazione blu e le donne rosa, giusto? E gli omosessuali metà e metà?”, domandò la donna.
“Forse fucsia…” buttò là il ragazzo.
“E i sessisti? Neri?” ribatté stizzita la farmacista.
“Oddio…non volevo essere “sessista”. Era una battuta signora.”
“Se la poteva risparmiare. Sono diciotto euro e settanta.”
Nino pagò, maledicendosi. Quante volte si era detto di tacere?
Sono fuori casa da un’ora e me ne sono successe di tutti i colori (se si può ancora dire), pensava Nino: il morso del cane, la sfuriata del cameriere vegano, il rimbrotto della farmacista. E aveva pure vinto una gita al Pronto Soccorso.
Senza aver fatto niente di male! Benedetto lo smart working, benedetta la spesa online, benedette le mie quattro mura, rimuginava, puntando verso casa.
Prima di tentare un’altra uscita ci avrebbe pensato sopra cento volte.
Svoltò in via Pirandello e, alzando lo sguardo, adocchiò il suo palazzo: la facciata grigia e anonima, le persiane verdi slavate, il giardino ampio, ma poco curato (nonostante le salatissime spese condominiali) ed il vociare dei ragazzini del condominio affianco gli trasmisero un’immediata, rassicurante sensazione di pace e protezione.
Aprì il cancelletto e si incamminò lungo il selciato che, delimitato da una siepe di bosso, tagliava in due l’area verde condominiale fino al portone. Ad un tratto udì un tonfo provenire dalla sua destra, ma tirò dritto pensando si trattasse del rimbombo di una pallonata . Stava per infilare la chiave nella toppa quando gli parve di avvertire un gemito giungere dalla stessa direzione del colpo di poco prima. Cercando di non farsi notare, non voleva certo procurarsi fama di impiccione, diresse lo sguardo al di là della siepe per capire che cosa stesse accadendo.
Ci mancava anche questa!
Seduto a terra, palesemente incapace di rialzarsi, giaceva Roberto Scherle del quarto piano, un mastodonte di cinquant’anni e due quintali.
“Roberto si è fatto male?” chiese Nino.
“Sono inciampato. Devo fare cinque giri del cortile per la circolazione…ma sono caduto giù” rispose piagnucolante l’uomo.
“Qualcosa di rotto?”
“Non credo, ho picchiato il sedere e la spalla ma niente di che. Solo che non riesco ad alzarmi perché ho le gambe stanche…”
Nino gli girò intorno, infilò le braccia sotto le ascelle dell’uomo e iniziò a contare.
“Dai: uno, due, tre!”
Tentativo fallito.
“Vada a chiamare mia moglie, per favore, che io ho lasciato il cellulare in casa.”
“Ok Cristina, ci siamo?”
Ognuno dei due aveva infilato il braccio forte sotto una delle ascella di Roberto e, accosciati, attendevano il momento buono per spingere.
“Posso aiutarvi?” irruppe una voce. Era Maria, una ragazza che abitava al primo piano col suo compagno.
“Non c’è bisogno, grazie” rispose Nino. Pesi venti chili, è un miracolo se stai in piedi…
“Ok.”
La giovane, in men che non si dica, sfilò il telefono dalla borsetta, si chinò leggermente in avanti e si predispose a eternare la scena con un click.
Roberto e Cristina, basiti, non ebbero inizialmente la prontezza di dire alcunché.
“Non mi sembra il caso” disse Nino dopo qualche istante, frapponendo il suo corpo tra Roberto e Maria.
Questa non fece una piega, rimise a posto il cellulare e rimase a guardare: presumibilmente credeva di essere la fortunata spettatrice di qualche divertentissima candid camera. Gli altri presenti decisero di ignorarla.
Nino riprese il comando delle operazioni: “Allora, lei Roberto spinge con le gambe. Cristina…uno, due e tre!”
In modo lento, faticoso, ma inesorabile le ginocchia di Roberto si distesero fino a riportarlo in posizione eretta.
“Ci siamo. Grazie, oh, grazie. Ti sei guadagnato una birra o un gelato o quello che vuoi”, disse il mastodonte, assestando una solida pacca di ringraziamento sulla schiena di Nino.
“Grazie, ma sono a posto così per oggi!”
“Come vuoi, non insisto, ma quando vuoi suona a casa che ti offro qualcosa…e, anzi, dammi il tuo numero così la prossima volta che mi spiaggio di faccio un colpo di telefono!” scherzò Roberto, suscitando un sorriso nel ragazzo e nella moglie.
“Certo, ma chiamami solo se scendi sotto il quintale, amico mio! Più che un gelato mi devi un’ernia!”
“Ma ti sembra una roba da dire? – intervenne la Maria, che aveva assistito a tutta la scena – Lo sai che certe cose offendono?”
“Non mi pare di aver detto nulla di offensivo. Si chiama ironia. E soprattutto non stavo parlando con te”, replicò Nino, scocciato fin da prima dalla presenza della ragazza ed esausto per tutta quella giornata. SI trattenne anche dal sottolineare che la correttezza della ragazza era tale che un minuto prima era pronta a filmare la scena come si trattasse di una rara eclissi di sole.
“Stai calmo, eh. Comunque le battute sul corpo delle persone non si fanno perché feriscono. Se ti informi è un reato che si chiama body shavin”, ribatté la giovane paladina del rispetto.
“Sì, depilazione completa…ti ripeto che non stavo parlando con te.”
“In effetti era un po’ fuori luogo” intervenne Cristina.
Nino, esterrefatto, cercò lo sguardo di Roberto.
“Io non ti ho mica chiesto niente. Se tu che si sei offerto…se poi mi devi rinfacciare e prendere in giro perché sono così…” disse questi.
“Ma andate tutti…”
Due ore più tardi, un medico del Pronto Soccorso sparava nel braccio di Nino una salutare dose di antirabbica. Mai medicamento fu più opportuno, pensò il ragazzo, ridacchiando tra sé.
Infine
Dopo settimane di infuocate riflessioni, dubbi, valutazioni intorno a sé stesso ed al mondo che lo circondava, Giovanni Bucci detto Nino, di anni trentuno, tecnico IT, disdetto il contratto d’affitto, dimessosi dal lavoro e venduta la macchina, in una piovosa mattina di ottobre suonò al portone del Monastero Benedettino di Norcia. Avrebbe preferito seguire i passi dello stilita Simeone, ma al giorno d’oggi per erigere una colonna ci vogliono troppi permessi.
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