Racconto di Luca Tescione
(Prima pubblicazione)
Il mondo lo lasci alle spalle. Ci fumi su, sperando che svanisca e non ti stia più addosso con i suoi insopportabili fardelli.
Guardi i giorni che hai davanti affinché quelli dietro restino solo un pensiero che, con il passare del tempo, speri di riuscire a dimenticare.
A ben vedere esistono molti mondi dietro di te: gli individui se ne costruiscono uno su misura, a volte se lo condividono; alcuni ne vengono coinvolti e travolti.
Dietro di te urlano, si picchiano, fanno esplodere bombe come fossero fuochi d’artificio, scoccano proiettili come fossero freccette da gioco, appiccano fiamme che sfidano in altezza i grattacieli da loro stessi costruiti con ingegno e fatica. Poi fingono di fare la pace usando convenevoli ormai noti, parole rielaborate e abusate, per poi riprendere ad accanirsi subito dopo, facendosi esclusivamente del male.
Piovono soldi nelle loro tasche e quando queste sono colme ne cercano altre da riempire, perché hanno stili di vita insostenibili per il resto dell’umanità, che li rendono schiavi nelle loro esistenze dell’unico modo in cui sanno vivere.
Poi ci sono i poveri che non salgono mai davvero la china, che restano da soli in mezzo alla folla con le loro malattie incurabili, sostenendosi con i loro cibi spazzatura, passando l’esistenza a raccogliere briciole, illudendosi di poter essere felici accontentandosi di piccoli, semplici attimi quotidiani.
Dietro di te ci sono molti mondi, folli ognuno, perversi verso chi soffre, che infangano chi prova a fare del bene, accanendosi contro chi si rende disponibile: sono queste persone ad avere sempre la peggio. Li conosci tutti questi mondi, li hai visti come hanno potuto vederli gli altri, ma ne hai parlato poco.
Invece ognuno ne sa qualcosa, ognuno sa qualcosa di tutto o persino tutto di ogni cosa. Saltano da un argomento a un altro con una facilità incredibile, come se avessero studiato ogni evento, analizzata ogni riflessione, traendone proficui spunti per dialogarne con cognizione di causa.
Mai nessun dubbio gli sovviene, proprio per questo riescono a giudicare e ferire a morte con le parole, per questo riescono con la stessa facilità a passare da un argomento all’altro: mentre ieri li vedevi piangere e indignarsi, oggi li senti scherzare e postare foto pieni di sorrisi e di colori, accompagnati da spumanti e piatti ripieni su tavole imbandite, mentre sorridono con i denti smaltati di bianco puro senza imperfezione, trastullandosi per ogni sorta di banalità. Un giorno si rattristano, quello dopo gioiscono. Vorticosamente i loro umori variano come lo scorrere frettoloso della nostra vita in questo mondo frenetico.
Alla fine ognuno parla per sé di sé, ognuno scrive di sé tramite post pubblicati su social, ma nessuno di loro si riunisce insieme per combattere il dolore, per condividere le pene altrui e provare a trovare una qualsiasi forma di soluzione.
Pregano, pregano quanto più possono, nelle loro lingue e con le loro religioni, come se una sola di queste recite servisse realmente a risolvere un problema, come se fosse mai stata una soluzione. Come se a qualcuno importasse delle fiaccolate, delle magliette indossate per impegno civico o degli spot illuminati con le frasi a effetto.
Alla fine tutto è spettacolo, tutto è reso effimero.
Così anche il dolore diventa un prodotto di consumo, che si mostra su un palco o in uno studio televisivo o seduti davanti a una webcam. Si espone il proprio dolore per cercare una vicinanza d’affetto, una comunione di intenti, che allontani la solitudine, quella nebbia che Hesse intuì bene essere la solitudine che ci avrebbe accompagnati, inesorabile, per tutta la vita. Ma quelli che si stringono attorno al dolore sono presenze effimere che durano quanto i fiammiferi che bruciano giusto il tempo della fiammella. A breve spariranno tutti e andranno a visitare altra cronaca con altra sofferenza, oppure a visitare altro gossip con altre amenità.
Continueranno a camminare da soli, chini sui loro display a digitare e mostrare al resto dell’umanità il loro pensiero, il loro credo, la loro incorruttibile e unica certezza, il loro dolore o la loro felicità del momento, i loro momenti di vita quotidiana, i più intimi, mettendo in vendita il loro essere più profondo. Per cercare consensi che diano un senso e un peso, una visibilità alla propria vita.
“Se mi commentano, se mi mettono like allora esisto.”
Se scrivi, anche sul momento in cui sei uscita dal bagno di casa, allora conti qualcosa.
Per questo volgi le spalle a questo Sistema Consumista, che espone in vetrina qualsiasi tipo di sentimento, vende anche i morti e i propri figli, fa profitto anche sull’estemporaneità dell’umore, che ravviva costantemente desideri futili.
Ogni cosa dell’esistenza si riduce a un affare, il nostro corpo è un prodotto, il nostro amore e le nostre lacrime sono mercanzia.
Tutto è mercificato, tutto si vende e tutto si compra.
Ciò che non si acquista non ha valore, non esiste neanche, va buttato come spazzatura maleodorante, come scoria inquinante, difetto di cui liberarsi.
Questi sono i mondi a cui rivolgi le spalle, a cui fai spallucce se chiedono aiuto, perché sai che domani potrebbero volgere a te le spalle per primi, pronti ad abbandonarti.
Miseria o ricchezza non hanno più distinzione di etica, sono risvolti della stessa medaglia, la medaglia della bellezza e della bruttezza, della gioia e del dolore.
Duriamo il tempo di un post, poi scompariamo nel tritarifiuti mediatico. Siamo famosi se uccidiamo, se ammazziamo e andiamo in carcere, eroi se ne usciamo anni dopo. Diventiamo modelli da seguire, perfino da imitare. Ci si ricorda più dei carnefici, spesso sopravvissuti, che delle vittime, ormai scomparse per sempre.
Appariamo, quindi abbiamo un senso.
Ci fumi su questi mondi, queste esistenze che valgono quanto il caso che le ha create e messe al mondo.
Fumi anche per non ascoltare, perché rimani concentrata sulla forma del fumo che si spande nell’aria davanti ai tuoi occhi, nelle sfumature di grigio che ti mantengono concentrata sull’atto in sé. Non ascolti perché temi di confonderti, perché saresti sommersa da migliaia di informazioni, di azioni e reazioni, ogni minuto, ogni ora, in ogni momento della giornata. Alla confusione degli eventi segue la confusione dei discorsi, la mescolanza di parole che perdono senso, che nascondono verità e creano falsità. Non sai più su chi contare, a chi credere, rischi di perdere ogni punto di riferimento in questi mondi concitatamente. assurdi. Allora fumi spasmodicamente una sigaretta dopo l’altra, non vuoi più sapere del mondo e dei suoi orrori, non vuoi più trascorrere tempo a discutere di personaggi inverosimili che vivono vite parallele alla realtà quotidiana, fatta di fatica e sudore, di paura e incertezza, di morti e dolori, di pianti e di risate, di sconfitte e successi, di amarezze e perdoni, di delicatezze e cinicità, di persone che non ci saranno più. Fumi per non pensare ai mondi che stanno su piani paralleli che mai si incontreranno, popolate da persone che vivranno e moriranno senza salvarsi, senza aiutarsi per davvero, senza aver avuto nessuna colpa per essere esistite su questi piani sovrapposti.
Ecco perché mentre fumi, nervosa, rosicchi le unghie, ti mordi le labbra, quelle stesse labbra che vorrebbero rubarti uomini e donne, perché metterebbero in vendita anche queste. Ma tu non sei in vendita, hai paura di essere usata e gettata via in poco tempo, mentre cerchi di dare un minimo senso al tuo esistere su questo mondo fangoso.
Fumi per dimenticare la normalità del disastro personale e collettivo che si estende alle tue spalle.
Cerchi di convincerti che non ti riguarda, non hai nulla da festeggiare, tranne forse il desiderio di realizzare qualcosa di diverso. Ma cosa potresti fare se anche una parvenza di idea, per quanto nobile nell’intento, rischia di essere ridotta a un prodotto da vendere?
Forse non c’è scampo, forse è meglio non fare più niente, aspettando che solo la Natura si rivolti su questi parassiti, colpevoli o innocenti che siano non ha alcuna importanza. Conta solo liberarsene.
Ma la Natura ha tempi lunghi, mentre un’autodistruzione sarebbe immediata e meglio gradita. Ma non è così ovvia, perché gli uomini sanno bene chi salvare e chi lasciar morire.
Allora è preferibile attendere che la Natura cancelli questi mondi con qualche evento cataclismatico che non abbia riguardo alcuno per le misere esistenze umane.
Nella lunga attesa puoi fumarti tutte le sigarette che vuoi, in santa pace.
Non fa niente se ti dicono che non lotti, che non sai credere, che non hai valori, che sei cinica. Che sei pessimista e che sei disfattista. Che così te ne lavi le mani, che vivi di finzione più di quanta non ne vivano loro. Possono dirti di tutto ma le cose stanno in questo modo e né tu né loro potete farci nulla.
Che cosa altro potresti fare se volessi smettere di fumare? Davvero vale la pena lottare?
Forse… forse sì, in qualche modo che non conosci, con una qualche soluzione che non sia trasformabile in un prodotto da commerciare.
Forse sì, ma non sai quale sia questo modo.
Ci devi riflettere.
Ci devi pensare.
Dopo aver finito la tua sigaretta, forse guardando avanti, mentre il fumo si dirada, forse una strada che ti porti alla soluzione la riuscirai a scorgere.
Se non dovessi riuscirci non ti rimarrà da fare altro che accendere una nuova sigaretta e continuare a fumare, finché il mondo non finirà per sommergerti. Oppure deciderai di lottare contro l’astinenza da nicotina, pestando le maledette cicche che vogliono condurti verso qualche forma di chemio.
E cazzo, sì, girati indietro e guarda il disastro che si estende sconfinato alle tue spalle. Entraci dentro: cammina tra i morti e i feriti, tra le radiazioni e gli spettacoli televisivi, tra i trucchi vistosi delle modelle e i corpi delle donne piegati sotto i pantaloni degli uomini che le tengono per il collo, cammina tra gli alberi caduti e i pesci morti, ascolta i pianti dei bambini impolverati e affamati, odora il profumo dei calici di prosecco e del pesce fritto che ingozza le persone sedute in barca, o i tozzi di pane razionati per i numerosi commensali raccolti tra mura di argilla e mattoni di tufo.
Ascolta e non confonderti mentre i politici discutono animatamente per creare vento e far circolare il loro alito nauseabondo, sgradevoli personaggi che vivono di chiacchiere mentre il resto del mondo muore sotto missili balistici certi che loro si salveranno, come quelli che hanno soldi e pensano a cercare pianeti abitabili o cercano di colonizzare Marte per abbandonare a sé stesso un mondo in declino, ormai in fiamme.
Cammina tra queste macerie, stringi tra le dita il mozzicone di sigaretta che non hai ancora spento. Arriva al centro di questa follia senza scampo e getta la tua cicca ancora accesa, mentre guardi tutto questo scempio andare in fiamme, prendere fuoco, esplodere e bruciare tutto. Non pentirtene, non rammaricarti di non aver distinto vittime e carnefici. Non ha più importanza: colpevoli e innocenti spariranno per sempre.
Dopo, forse, qualcosa di nuovo potrà rinascere dalla cenere che hai lasciato.
In qualche modo imprevedibile, forse, qualcosa si salverà.
Il mondo, forse, esisterà ancora. E altri, che verranno dopo di noi, dopo di te, non sapranno mai che sei esistita.
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https://www.ibs.it/sguardo-oltre-orizzonte-libro-luca-tescione/e/9788833431956
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https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/36367/la-terra-dei-fuochi/
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