Racconto di Marco Daniele
(Prima pubblicazione – 7 febbraio 2021)
Gli Osservatori erano la razza più progredita mai esistita, o almeno amavano pensarla così.
Frutto di un’evoluzione biologica protrattasi per sei miliardi e mezzo di cicli, erano arrivati al punto da ritirarsi a vivere in una singolarità spaziotemporale subdimensionale posta nell’interstizio tra due brane cosmiche, dove non si invecchiava e non si moriva e dove, pur avendo mantenuto la propria fisicità, non avevano bisogno di nutrirsi o di bere. Solo di tanto in tanto dovevano chiudere gli occhi per riposare, perché i loro corpi fisici non avevano energia infinita. Da lì potevano volgere il proprio sguardo onnisciente verso qualsiasi punto dell’universo d’origine, anche se la loro visione era limitata al presente e non poteva né scavare nel passato né avventurarsi nel futuro, e così avevano scoperto l’unico passatempo capace di combattere la noia di un’esistenza immortale e perfetta: osservare la nascita e lo sviluppo di innumerevoli creature inferiori, dallo stadio unicellulare fino alla civiltà interstellare.
Uno di questi Osservatori, X’rq’un’Tul’Mah’ah, aveva scoperto per caso un pianeta particolarmente promettente in un braccio della galassia n. 80005611203, il terzo orbitante intorno una piccola ma stabile stella gialla etichettata con la sigla S-2152400001. All’epoca della scoperta quel mondo aveva appena visto la comparsa dei primi amminoacidi carboniosi, ma nell’arco di miliardi di cicli (che per l’immortale Osservatore non erano nulla) i suoi oceani di acqua liquida furono popolati da esseri viventi sempre più grandi e complessi: alcuni capaci di nuotare liberamente, altri fissi sul fondale, altri ancora trasportati dolcemente dalle onde e dalle correnti.
A un certo punto, alcuni di quegli animali scoprirono la via per colonizzare la terraferma, sviluppando sistemi per respirare l’ossigeno direttamente dall’atmosfera e per mantenere l’umidità corporea lontano dagli specchi d’acqua, nonché organi locomotori per muoversi nel nuovo ambiente. I preferiti di X’rq erano i bestioni squamati e a volte anche piumati che per un certo periodo di tempo dominarono quasi ogni ambiente terrestre; ma proprio sul più bello un maledetto asteroide impattò col pianeta e innescò una serie di cataclismi fisici che portarono alla loro scomparsa. X’rq era sul punto di abbandonare la visione, quando si rese conto che anche i loro successori, creature altrettanto strane e adattive coperte di pelo, erano un degno spettacolo. E poi il suo sesto senso di Osservatore gli diceva che il meglio doveva ancora venire.
Qualche altro milione di cicli bastò perché sul pianeta comparisse finalmente una specie intelligente. L’Osservatore rimase stupito dal miracolo evolutivo che si consumava sotto i suoi occhi: creaturine piccole e imbelli, prive di artigli, di becchi, di zanne o di ali, coperte solo parzialmente di pelo e nemmeno troppo veloci o forti fisicamente, scoprirono come manipolare pietre e legno, come accendere fuochi, come coprirsi usando le pelli degli altri animali, come controllare la nascita e la crescita degli organismi vegetali. E bastò ancora meno tempo perché quei bipedi glabri erigessero costruzioni, sviluppassero un linguaggio complesso, mandassero oggetti in orbita intorno al loro pianeta e persino sui corpi celesti più vicini. Nell’arco di qualche altro millennio avrebbero potuto colonizzare anche altri sistemi stellari!
X’rq finì così per appassionarsi alla storia di G-80005611203-S-2152400001-P-3 al punto da trascurare persino il riposo. Le palpebre cominciavano a farsi pesanti, ma ogni volta che rischiavano di chiudersi si ripeteva: «Guarderò ancora un po’ e poi basta… solo un altro paio di secoli e poi mi fermo…» e si sforzava di rimanere sveglio e vigile, per non perdersi nessun dettaglio. Era così preso da quell’epopea biologica che non si era accorto del germe autodistruttivo che i suoi beniamini portavano con sé fin da quando avevano mosso i loro primi passi nelle savane dell’Africa. Non lo avevano insospettito l’aumento dell’inquinamento, la scoperta di nuove e più letali armi atomiche, l’ascesa dei fondamentalismi, l’aumento della disparità tra ricchi e poveri, la scomparsa graduale delle altre specie del pianeta. «Sicuramente progredendo troveranno una soluzione a tutti questi problemi» si era detto.
A un certo punto, il peso del sonno fu troppo e X’rq chiuse gli occhi. Dopo una manciata di secondi li riaprì, solo per constatare con delusione che il globo un tempo rigoglioso e pieno di vita si era trasformato in una landa desolata, con alti livelli radioattivi e un effetto serra ormai incontrollabile. Erano sopravvissuti a malapena i batteri e i virus, ma le condizioni in cui versava ora il pianeta difficilmente avrebbero reso possibile un altro miracolo evolutivo come quello appena mandato all’aria.
Deluso, X’rq’un’Tul’Mah’ah volse il suo sguardo altrove. Forse il prossimo pianeta gli avrebbe dato maggiori soddisfazioni. Del resto, non era difficile fare meglio della specie che si era appena estinta.
bella morale, e …