Racconto di Domenico Mancusi

(Seconda pubblicazione)

 

Le colonne sonore sono importanti, danno un senso di spicco alle giornate storte, le mettono in cornice. Una cosa era certa: il mio morale quel giorno era sotto i tacchi delle scarpe, per via di una improvvisa contrarietà lavorativa. Mi apprestavo a fare da interprete principale in una presumibile traversia il cui prologo era andato in scena all’interno dell’ufficio e la cui narrazione, nei giorni successivi, poteva prendere forme imprevedibili e minacciose.

Da solo, in auto, mi valevo sempre della musica, quali che fossero gli andazzi presi dalla giornata. Il vano portaoggetti della mia Citroën rigurgitava di musicassette da quarantasei, sessanta, novanta e pure centoventi minuti. Potevo prendermi la libertà di mettere la musica a seconda dell’umore. Il pezzo musicale da farmi accompagnare mentre rientravo a casa, potevo sceglierlo senza esser gravato dal dubbio.

Anno 1974. Inizi di maggio. Un gruppo pop scandinavo scala il vertice della classifica dei dischi più venduti in Inghilterra. Sono gli Abba. Il brano è Waterloo. Ma nella City, mentre le voci suadenti di Agnetha, Benny, Björne e Anni-Frid cantano una disfatta amorosa, per qualcuno il destino ha preparato una vera Waterloo. Pochi giorni dopo, l’8 maggio, alla stazione della metropolitana di Finsbury Park della Piccadilly Line di Londra, un uomo di trentasette anni, in circostanze mai del tutto chiarite, termina la propria corsa su questa terra sotto le ruote di un treno.

E forse un treno era nel suo destino, dal momento che uno dei suoi brani più famosi aveva titolo Traintime e venne portato al grande successo dai Cream, supergruppo quest’ultimo che si avvalse della stessa sezione ritmica del quartetto messo in piedi da questo dimenticato del Blues.  L’uomo infatti si chiamava Graham Bond, anche lui dunque era un musicista, la sua voce era rauca e rabbiosa, i suoi brani musicali erano dolenti, ma i suoi dischi non avevano mai fatto sfracelli in classifica, con molta probabilità aveva deciso di dare fine a una vita complicata. Graham Bond, insieme a John Mayall, era stato uno dei padri bianchi della corrente musicale nata in Inghilterra a metà degli anni Sessanta, nota come Rock-Blues.

L’ Original Soundtrack (OST) che mi accompagnò a casa lo feci scaturire dal Blues. La musica dei diavoli blu va bene solo a quelli che hanno i diavoli blu. La tenevo apposta una musicassetta del genere nel vano portaoggetti della Citroën, era come un ferro del mestiere da usare con parsimonia per non logorarlo troppo.

Avevo registrato la musicassetta dall’album The benning of Jazz-Rock della Graahm Bond Organitation. Era uno dei tanti LP ordinati ai magazzini Nannucci di Bologna alla fine degli anni Sessanta. Il pacco, a forma quadrata come un contenitore di pizze, arrivava alle Poste Centrali di Potenza dopo più di un mese dall’ordine. Pagavo il contrassegno, ritiravo il geometrico fagotto allo sportello e correvo a casa. Allora feci subito la registrazione su musicassetta per evitare di logorare i solchi con la punta del giradischi. Custodisco l’album come un oggetto sacro.

Feci scorrere il nastro a lenta velocità: non volevo rischiare di farlo aggrovigliare durante il riavvolgimento. Trovai il pezzo Blues, rivisitato in chiave Rock, che più Blues non si può, Stormy monday blues:

They call it Stormy Monday

but Tuesday’s just as bad
They call it Stormy Monday

but Tuesday’s just as bad
Wednesday’s worse,

Lord and Thursday’s all so sad

The eagle flies on Friday

E dunque una settimana da ricordare, la mia. Il lunedì era stato tempestoso. Il martedì era stato altrettanto brutto. Il mercoledì peggio ancora. Il giovedì tutto era stato così triste. L’aquila aveva volato il venerdì. E io ne avevo avuto due, di settimane dure.

Non ricordo quale fosse il giorno della settimana tempestoso, brutto, triste e ancora peggio in cui si era manifestata l’angosciosa contrarietà. Ma cosa importava sapere quale fosse il giorno? Mi aveva messo giù nel momento peggiore. Un knockout in piena regola, quando vincevo l’incontro ai punti dentro le ingannevoli mura del palazzo in corso di restauro, mentre ero convinto d’aver lasciato alle spalle la parte più faticosa e complicata del lavoro in corso. In metafora ciclistica: come quando ero sicuro d’aver scollinato dopo una lunghissima e difficoltosa salita e invece all’ultima curva si parava, dinnanzi a me, un invalicabile muro delle Fiandre. L’oltraggio del piede a terra si stava materializzando.

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https://www.ibs.it/racconti-di-vita-quasi-vissuta-ebook-domenico-mancusi/e/9788859150404