Racconto di Salvatore Enrico Anselmi
(Seconda pubblicazione)
Al numero civico 88 dell’Ottava strada, all’ottantesimo piano Steve si svegliava quasi alle otto del suo giorno più lungo. Il giorno più lungo durante il quale la luce sarebbe rimasta accesa come un fanale occhiuto sulla faccia del mondo per almeno ottanta ore consecutive, senza tramonto e notte dall’alba in poi.
Una maratona di sole e luce, di caldo bavoso che s’attacca alla pelle per aderirvi fino a diventare parte oleosa e madida della stessa pelle. Era quello il giorno durante il quale gli esseri umani potevano credere che una metamorfosi del loro stato dovesse forse condurli dalla fisicità solida del corpo alla liquescenza dello stesso in una forma astratta, ideale o gassosa.
Steve era alto quanto bastava per bilanciare spalle larghe e testa grande, un tempo adunca al naso, limato durante una dolorosa operazione chirurgica di rimozione. Il surplus gibboso era stato eliminato e la cartilagine assestata in una cubatura più affilata.
Steve avrebbe potuto percepire il mondo come una distesa azzurra attraverso le lenti colorate con le quali copriva la più comune tonalità castagna congenita delle sue iridi. Ma continuò a percepire il mondo del suo stesso, abituale color ocra spento.
Steve avrebbe potuto partecipare con più accorato o diligente interesse alle vicissitudini dei suoi amici se solo non si fosse sottoposto a ripetute infiltrazioni di tossine sulla fronte e sulle guance che ne inibivano il fisiologico invecchiamento ma anche la capacità espressiva e la possibilità di manifestare emozioni. Forse era meglio così perché sulla produzione e manifestazione dei sentimenti ci stava ancora lavorando, con un certo impegno, ma non gli riusciva ancora bene di essere davvero credibile. Non gli riusciva bene, né quando rideva, o simulava di farlo, né quando abbracciava l’amico addolorato per condividere con lui un sano pianto liberatorio.
All’ottavo incontro d’improvvisazione attoriale, ci era già arrivato. L’ottavo incontro cadeva in mezzo al corso di recitazione frequentato solo per provarci con l’insegnante, ed era propriamente dedicato al pianto. Ma Steve non aveva ancora svolto tutti gli esercizi per impostare la voce e controllare l’accartocciamento dei muscoli. Così era ancora costretto, secondo le circostanze, a coprirsi in parte con una sciarpa e dissimulare la piega estrema, falsata del viso con un fazzoletto o con la mano.
Finiva che qualche volta l’amico ci credeva e pensava tra sé e sé – Che ragazzo sensibile è Steve.
Qualche altra volta, il meno delle volte a dire il vero, perché era quello il periodo durante il quale sempre più difficile appariva la reale comprensione di sé stessi e degli altri, l’amico non cascava nella rete da bracconiere tesa da Steve.
Allora finiva che Steve le prendeva.
Le prendeva meritatamente salvo affermare, mentre riscuoteva la sua dose appropriata di percosse: «Come puoi battermi con tanta crudeltà? Come fai a leggere nel mio cuore e nei miei pensieri? Come pretendi di avere ragione? Sempre ragione…». E per il partito preso di non attribuire la ragione all’amico anche quando questi ce l’aveva, per non dover riconoscere quanto spesso sbagliava e quanto spesso per comodità continuava a sbagliare, Steve aveva deciso di opporsi all’altro pur di non dargli soddisfazione. Aveva quasi quarant’anni, ma, all’anagrafe comportamentale ne dimostrava al massimo dodici.
Dagli zigomi prominenti e ossuti, di cui la natura lo aveva provvisto, era passato a rotonde gote lucide come la pelle proveniente dal culetto di un bambino. Una gli era riuscita abbastanza bene, tondeggiante quanto bastava per far credere che il suo quarto decennio incipiente, come l’alopecia che cominciava a rarefare i capelli in testa, non avesse intaccato l’elasticità muscolare del suo viso. L’altra metà invece debordava da sotto l’occhio, appena bovino, fino a innestarsi, nascondendola, sulla ruga nasogeniena sinistra. Quando rideva ricordava un pupazzo di resina, uno di quelli che ammiccano da sopra l’ingresso dei luna park o dei circhi. Lo sguardo del resto, che oscillava tra l’inquieto e l’allucinato, era efficace segnacolo di un malessere, di uno stato oscillante tra il febbrile e il decaduto. Quando invece era serio sembrava imbronciato più del dovuto anche quando non era davvero così cupo. Tuttavia il merito del broncio era da attribuirsi alle labbra ridondanti che si muovevano ad arco concavo-convesso per delimitare il suono afono della sua voce. Pronunciava, infatti, le parole sempre con un misto di noia e trasandatezza, un po’ da snob con venature coatte e ricadenti a fine frase, da vecchio figlio di papà che s’è appena svegliato e arrotonda la voce in un mezzo sbadiglio rinculato.
Sarebbe stato quello il suo giorno più lungo ma non lo sapeva ancora.
Doveva presentarsi all’agenzia di collocamento per un colloquio e sperava di fare una buona impressione. Incollò alla cute un ciuffo ribelle, lucidò la sclera vitrea, massaggiò con cera idratante le guance affinché sembrasse in piena salute, quasi atletico e sufficientemente rubizzo per far capire come fino a quel momento la sua esistenza fosse stata buona e come avrebbe potuto svolgere con efficienza il suo incarico.
Anche se non sapeva ancora quale sarebbe stato. Avrebbe sostenuto, mentendo, che presentarsi per avere una nuova occupazione rappresentava per lui una sorta di avventurosa variante contro la noia delle sue giornate.
Avrebbe affermato di non poterne più di quei lavori a contratto durante i quali doveva stilare dichiarazioni mendaci per far apparire ancora in vita il nonnetto, trapassato, e far riscuoterne la pensione ai nipoti fraudolenti.
Avrebbe confessato che dedicarsi alla truffa assicurativa, vendendo polizze a soggetti sui quali nessun agente serio avrebbe puntato neanche un sick-coin, s’era rivelato ripetitivo.
Avrebbe riconosciuto di essersi tediato a sufficienza anche di cardare il pelo dei barboncini nella tolettatura per animali domestici dove aveva trascorso i suoi più tristi dodici giorni di addetto alla forbice e allo shampoo. Ma in realtà non aveva mai abbrancato un cane vero. Solo canidi replicanti con pelliccia sintetica. Del resto abbrancare non era una sua specialità dopo che l’innesto di deltoidi e avambracci posticci non aveva avuto l’esito sperato e ogni tanto si staccavano, dovevano essere riagganciati e non si era mai sicuri per quanto tempo sarebbero rimasti efficienti e a posto.
Ma all’agenzia di collocamento non gliene importava della tolettatura e dei deltoidi. Dopo averlo esaminato gli diedero un’incollata generale, con una resina a pronta presa e irreversibile, garantita per esposizioni alle intemperie, alle tempeste e alle nubi tossiche di lunga durata.
Gli fu proposto di rendersi garante, in qualità di tecnico specializzato nell’attraversamento, della perfetta ricezione di tutti i programmi video-radio satellitari. Avrebbe anche dovuto mantenere in efficienza la rete di campi elettromagnetici che consentivano connessioni e collegamenti ai cybernauti di quella regione. L’incarico gli sembrò interessante e accettò d’istinto, soprattutto dopo aver indossato la tuta iridescente da lavoro, protettiva al 25% rispetto alleradiazioni emanate dal sistema, che lo sfinava sulla pancia e gli conferiva un’aria quasi eroica senza aver fatto ancora niente.
Avrebbe sicuramente assunto aspetto temerario in seguito, guadagnato sul campo, a installazione avvenuta.
Steve, infatti, fu installato quel giorno stesso, agganciato a braccia e gambe aperte in posa vagamente leonardesca, a una stazione orbitante, dalla quale ci si poteva staccare solo dopo aver concluso il primo turno di ottantotto ore consecutive.
Appena varcato l’ingresso dell’agenzia di collocamento stellare, infatti, che Steve credeva si chiamasse così solo perché offriva ai neoassunti un incarico di prestigio e al di sopra della media, da non poter rifiutare, il corpo di Steve era stato analizzato da un sistema diagnostico automatico e non troppo invasivo.
Steve era stato analizzato da un sistema diagnostico automatico e invasivo solo nei punti in cui non poteva non esserlo affinché l’ispezione portata a termine fosse attendibile. Il suo cervello fu oggetto dell’analisi più lunga rispetto a tutte le altre parti del corpo e, da quell’esame, risultò che Steven era un produttore lento di pensieri banali per altro formulati in modo poco comprensibile e farraginoso. Per questo motivo si attestava in prima categoria candidandosi a un posto di rilievo. Dall’anamnesi era risultato anche che il suo corpo, costituito sia di materiale organico vivente originario, sia di materiale inerte che aveva la più variegata provenienza, era di fatto un’eccellente massa conduttrice per onde le elettromagnetiche e poteva quindi assicurare continuità di collegamento tra suolo e stazione orbitante. La massa conduttrice della sua anatomia composita infatti avrebbe garantito la perfetta ricezione di tutti i programmi video-radio satellitari in altissima definizione e fatto felici i cybernauti in navigazione attiva della suaprovincia.
Dall’alto della stazione satellitare Steve iniziò il suo giorno più lungo.
Ottantotto ore appeso a un sistema orbitante che gli avrebbe ricordato ogni mezz’ora quanto fosse umanitario lavorare per il benessere della comunità.
Steve cominciò a farsela sotto sin dall’ottavo minuto di servizio. Ma un sistema di stoccaggio pensato allo scopo, fece aprire una sacca sufficientemente capiente nella parte posteriore della sua tuta dove deiezioni di ogni forma e natura sarebbero state raccolte, e un pulitore automatico avrebbe provveduto a nettare igienicamente la parte.
Il giorno più lungo di Steve sarebbe durato ancora ottantasette ore e cinquantadue minuti.
Paga sindacale minima otto centesimi insick-coin versati, ora dopo ora, sul suo conto corrente digitale.
Mentre Steven consumava il suo giorno lavorativo più lungo, imprecando contro i progressi satellitari e tutte le sfere rotanti, fu annunciato da base suolo a stazione orbitante che i sick-coin non avevano più corso a partire da quella data, sostituiti dai crazy-coin, virtualmente immessi nel sistema digitale e da dover estrarre in quantità percentuale corrispondente a quanti tecnici, garanti della perfetta ricezione dei programmi video-radio satellitari, sarebbero diventati pazzi perché costretti a rimanere appesi quasi per sempre alle stazioni orbitanti.
Il primo giorno lavorativo fu per Steven molto più lungo delle ottantotto ore preventivate nel contratto, perché anche i contratti erano stati dichiarati nulli.
Steven in questo momento è ancora appeso lassù, garante in carne, ossa e inserzioni in materiale conduttivo, della stabilità delle connessioni, anche di questa che consente la lettura di questo testo.
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https://www.lineaedizioni.it/libri/passaggi-di-proprieta/
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Ringrazio la redazione di Racconticon per aver accolto e pubblicato il racconto “Il giorno più lungo”.