Racconto di Iris Greotti

(Prima pubblicazione)

 

 

Improvvisamente sono diventato un figlio insostituibile, un dipendente esemplare, un partner invidiabile. Improvvisamente tutti si sono scoperti miei carissimi amici e hanno iniziato a riferirsi a me come a un santo. Improvvisamente tutti i miei difetti sono scomparsi, le mie imperfezioni si sono piallate, le mie brutture sono state coperte da strati di candore.

Improvvisamente sono diventato perfetto.

Non un brufolo né un taglio. Per me, solo denti bianchi e fossette.

Uno strano incantesimo ha colpito qualsiasi mio conoscente e ora tutti si ritrovano la bocca piena di melassa e il cuore gonfio di tenerezza ogni qual volta pronuncino il mio nome. La premura degli altri mi sommerge in ondate piene di zucchero.

Fluttuo nel limbo di chi non può più essere sporcato.

I miei genitori mi hanno cacciato di casa a diciotto anni per motivi che fingono di non ricordare e la stessa infanzia d’inferno che mi hanno perpetrato è ormai sfumata nella reminiscenza nostalgica di una fanciullezza spensierata. Scandita solo dai piccoli, innocui ostacoli che ogni bambino fronteggia e che aiutano a crescere. Per anni hanno finto che non esistessi e – anche dopo un’apparente riconciliazione – ci vedevamo comunque solo a Natale e solo per litigare. Eppure adesso incorniciano le mie foto e non vogliono far altro che abbracciarmi.

Quella che sarebbe dovuta essere la mia anima gemella mi ha tradito due volte senza avere nemmeno il coraggio di confessarmelo, ma ora – con le mani giunte sul cuore fedifrago – guarda il mio volto perfetto e afferma di non aver mai amato nessuno come ha amato me. Dice che amerà sempre e solo me, e nessuno ha motivo di dubitarne.

I vicini, gli stessi che non facevano che lamentarsi della musica alta e degli ombrelli bagnati, parlano di me con labbra tremolanti perché salta fuori che siamo stati sempre in ottimi rapporti. Io sono sempre stato così educato, un giovanotto tanto a modo non lo avevano mai visto.

I compagni di classe del liceo che fingevano non esistessi adesso sostengono che, all’epoca, ero un tassello imprescindibile dell’ecosistema di classe.

Ho lasciato un buco nella comunità. Ho lacerato un tessuto di relazioni che, a quanto pare, ero stato io stesso a intrecciare. Con la forza della mia insondabile bontà, con il coro di serafini che, solo ora, scopro aver accompagnato sempre ogni mia azione.

Improvvisamente nessuno si ricorda più come ero davvero e tutti mi tramutano in un’impeccabile statua di cera da riempire di comportamenti irreprensibili e sentimenti sublimi.

Improvvisamente non c’è persona che possa sostituirmi.

Baci e carezze, fiori e lacrime. Caramello la mia anima nell’infinita dolcezza dell’ipocrisia. Poesie e piogge di complimenti, foto sui giornali e minuti di addolorato silenzio.

Dovevo per forza morire in un incidente stradale perché cominciaste ad apprezzarmi?