Racconto di Silvio Esposito

(Settima pubblicazione)

 

Il   telefono   squilla   nel   cuore   della   notte   svegliandolo   di   soprassalto.  L’importunato   sbuffa spazientito e, allungata una mano, presa la cornetta vi urla dentro: «Ma chi diavolo è a quest’ora, giuro che se non è importante mi alzo, mi vesto, vengo lì e te ne faccio pentire… Chiunque tu sia, rompiballe!»

Dall’altro capo del telefono c’è la centralinista che lavora al museo che l’importunato presiede. Ma lei non bada alle minacce paventate del suo datore di lavoro, anzi, controbatte con un tono quasi

sprezzante: «Scusi se la disturbo a quest’ora tarda, signore, ma sono stata svegliata anch’io nel cuore della notte dall’allarme e quindi siamo pari. C’è stato un furto al museo e…»

«Un furto? E cosa è stato portato via, signorina?»

«Beh, per usare una figura retorica, signore, in questo caso ‘apocope… che “calza” a pennello tenuto conto l’oggetto che hanno rubato al pezzo forte della collezione, parlo della mummia proveniente dall’Egitto alla quale il malvivente ha troncato di netto il piede destro portandolo via. Ora, come lei ben comprende, non possiamo di certo aprire le porte del museo al pubblico domattina, sarebbe controproducente per le nostre casse dovendo, per ovvie ragioni, rimborsare il biglietto. E, siccome mancano sei ore all’inaugurazione, direi che in questo lasso di tempo dobbiamo trovare il colpevole e farci restituire il maltolto, o quantomeno una soluzione per sopperire la mancanza… O mi duole dirle che i fondi da lei sperati da parte del Ministero evaporeranno come neve sciolta al sole.»

«Ce l’ho!»

«Cosa, signore?»

«Non si preoccupi di questo, ma di quello che dovrà fare lei piuttosto, cioè far sì che nessuno ne venga a conoscenza prima dell’apertura programmata.»

Indossata una tuta pesante, l’aria fuori è gelida, tanto che al pensiero il direttore batte i denti prima ancora di uscire. Aperto l’armadio, prende la maschera usata alla festa di Halloween l’anno prima, con   la   quale   avrebbe   coperto   il   volto   e   se   l’avessero   scorto   non   l’avrebbero   riconosciuto   e   poi, recuperato un seghetto e una torcia, che mette nello zaino, esce di casa furtivo.

Parcheggiata   l’auto   dietro   il   cimitero,   prima   di   scendere   il   direttore   mette   la   maschera   e,   dopo essersi   assicurato   che   nessuno   lo   veda,   s’arrampica   sul   muro   di   cinta   per   poi   lasciarsi   cadere dall’altra parte.

Raggiunta la porta, che dà alle  catacombe, l’apre  facendo  molta  attenzione  a che  non si lamenti. Fatto, accende la torcia e quello che vede lo rinfranca della fatica fatta. Avevano lasciato una bara aperta con dentro uno scheletro che faceva al caso suo e lui, preso il seghetto dallo zaino, taglia di netto uno dei piedi che pone nello zaino per poi tornare sui suoi passi.

Ma il direttore non fa ritorno a casa, va dritto al museo, manca un’ora all’apertura e deve fare presto se vuole sistemare le cose e dare le direttive alla segretaria.

«Eccomi di ritorno, signorina!. Come le avevo accennato per telefono, ho risolto. Ora basta un po’ di colla e qualche vite e il gioco è fatto… Non se ne accorgerà nessuno. Ci pensi lei, io intanto vado

a rendermi presentabile.» Il direttore porge il piede alla segretaria e fa per voltarsi e andare via, che la segretaria lo ferma e con aria interrogativa gli dice:.«Ecco, signore, magari se avesse preso il

piede  destro  sarebbe   pure  servito   il  rattoppo…  Mi  spiace,   ma   quello  che   mi   ha  dato  è   un  piede sinistro.»