Racconto di Ambrogio Bozzarelli

Illustrazione di Bdb

(Ottava pubblicazione)

 

Luigi adesso ne era convinto. Probabilmente i suoi genitori lo avevano preso in giro. Quando la mamma lo aveva messo a letto forse potevano essere le ventitré. Aveva sonno, è vero, ma ce la stava mettendo tutta per rimanere sveglio. Anche Antonio, il suo amico più intimo, suo coetaneo, glielo aveva confermato.
«Babbo Natale arriva verso mezzanotte e mette i regali sotto l’albero. »
«Tu l’ha visto ?» aveva chiesto quasi con ansia.
Antonio sembrò esitare, di certo avrebbe voluto rispondergli affermativamente, ma non riuscì:
« Beh, no, sai, non sono riuscito a stare sveglio, ma nel sonno mi pare di aver inteso come un rumore, una specie di fruscio e veniva dalla saletta ove c’era l’albero di Natale» si erano guardati negli occhi e Luigi aveva concluso:
« L’anno scorso eravamo troppo piccoli; mamma dice che a questi anni adesso – e poiché non ricordava bene la parola da dire per indicare gli anni, mise avanti al viso dell’amico la mano destra con quattro dita mentre con la sinistra nascondeva il pollice – siamo in grado di capire tutto!»
« Allora lo vediamo!» Antonio con un radioso sorriso.
Aveva combattuto: giocando, cercando di non farsi sopraffare dal sonno nonostante che i suoi genitori cercassero di metterlo a letto.
«No! Stasera voglio vedere Babbo Natale». Mamma e papà sorridevano amorevolmente.
Poi però la testa iniziò a ciondolare, faceva sempre più fatica a tenere gli occhi aperti: si addormentò sognando.
Pianse al mattino quando la mamma lo venne a svegliare. Anche quell’anno aveva perso il momento magico. I regali, i giochi lo fecero contento ma nel suo animo rimase sempre un po’ di delusione. Sino a quando sentì papà che stava parlando con la mamma: «Poi bisogna preparare le calze per la befana».
La Befana.
“La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte.”
Sorrise al ricordo di quella bella filastrocca che aveva subito imparato. E nella sua mente si affacciò un nuovo pensiero: quello in fondo era un vero atto di coraggio: riuscire a vedere la befana, quella donna brutta, vecchia e piuttosto spaventosa che portava caramelle e carbone… la befana.
“ La befana, ecco sì, voglio vederla”.
Trascorrevano i giorni e il suo pensiero si rafforzava sempre più. Fece anche qualche prova per cercare di svegliarsi durante la notte, prima della mezzanotte. Sì, poteva farcela!
Così la notte di quel 5 gennaio si era svegliato, un po’ d’improvviso, ma non senza difficoltà, in letto tutto ben coperto, rilassato ma ancora molto, molto addormentato. Sentì il suono del cucù della cucina, quell’orologio svizzero che aveva sempre amato, ma non riuscì a contare le volte che l’uccellino usciva dalla porticina lanciando il suo particolare squillo; sapeva contare bene solo fino a cinque e perse subito il conto. Ma voleva alzarsi, doveva farlo e poi correre al più presto di là, dall’albero di Natale. Ma doveva far piano: dalla camera accanto con la porta aperta sentiva il pesante russare di papà che sormontava il lieve respiro della mamma. Armeggiò tra le coperte con una certa difficoltà e solo dopo un tempo che gli parve lunghissimo riuscì a scivolare silenziosamente dal suo lettino. Con accortezza, nonostante il freddo del pavimento lo costringesse ad andare in punta di piedi, un po’ a tentoni raggiunse lo stipite della porta. Gli occhi azzurri sgranati nel tentativo di vedere qualcosa in quel lungo buio corridoio che si apriva al di là della sua cameretta; cercava di intravvedere quel riflesso delle lucine colorate che brillavano ad intermittenza sull’albero nella sala e che tanto lo affascinavano. Ma la casa adesso era tutta silenziosa, scura, cupa, buia, grande, ampia: con la mano appoggiata al battente della porta non si sentiva più tanto sicuro.
“ Devo, devo farcela!” .
Un passo lungo il corridoio, poi un altro, uno sguardo alla camera anch’essa completamente immersa nel buio da cui proveniva il regolare respiro dei genitori. Un po’ le gambe gli tremavano, pensò al coraggio del Paperinik che gli leggeva papà, si fece forza e continuò ad avanzare, lentamente, la mano destra protesa a toccare il muro, gli occhi sempre più aperti per cercare quella luce che oramai, pensava, doveva almeno balenare un poco dalla sala che non doveva esser più tanto distante. Ma quel corridoio non finiva mai e Luigi cominciava a sentirsi persino un po’ stanco, forse il sonno cercava nuovamente di vincerlo. “Sono un uomo” si trovò a pensare stringendo il piccolo pugno della mano sinistra mentre con la destra continuava a seguire il muro di quell’interminabile corridoio.
Quanto tempo era passato? Il cucù aveva suonato di nuovo? Camminava, sempre lentamente, passo dopo passo, aveva quasi perso la speranza quando sulla sinistra, laggiù in fondo al corridoio un lieve, tenue baluginio. Si fermò.
“Le luci, sono le luci!”
Si spostò dall’altra parte del muro e abbandonando ogni timore prese a correre per quel tanto che gli permettevano le sue gambette: giunse alla porta ed ecco lì, in fondo alla parete, quel bellissimo alto albero di Natale ricco di colori e palline: adesso luminosissimo di luci gialle, blu, rosse che parevano rincorrersi l’una dietro l’altra ora a sbalzi, lentamente, ora velocissime. Forse era il buio, forse l’emozione ma quell’albero gli pareva molto più grosso che di giorno; beh, sì era veramente alto, era “enorme”. Lassù in cima, quasi all’altezza dal soffitto, comunque per lui un punto del tutto irraggiungibile spiccavano le tre calze. Ricordò le frasi di papà che , in cima ad una piccola scala a quattro gradini stava finendo di addobbare l’albero nei punti più difficili:
« Ecco le tre calze che poi la notte del cinque la befana riempirà : una per la mamma, una per te – indicandolo mentre lui osservava con gli occhi spalancati quelle lunghe calze rosse che dondolavano lassù in alto, – una per papà.»
Ora era pronto. Diede una veloce occhiata tutt’intorno: la befana, ne era sicuro, sarebbe giunta da quell’ampia porta finestra. Per un attimo si chiese come poteva penetrare da lì, visto che tutto era ermeticamente chiuso, poi pensando alle prodezze del “ suo” Paperinik, si convinse che anche la befana poteva avere dei super poteri.
“L’importante è stare nascosti e non aver paura quando arriva, sono un uomo e niente mi deve più spaventare”. Ragionò un attimo per cercare il nascondiglio perfetto. Era proprio lì, sotto l’albero, dalla parte di dietro rispetto alla porta finestra da dove la befana in qualche modo soprannaturale e senza far rumore sarebbe entrata per riempire le calze di doni. Si accoccolò bene, mettendosi in una posizione da cui poteva sbirciare verso la finestra.
I primi raggi del sole di un’alba lucente filtrarono dalle persiane della camera andando a colpire il viso della donna che dormiva in posizione supina. La luce le fece aprire gli occhi, si stirò un pochino, sorrideva; sollevata la schiena fino ad assumere una posizione seduta scosse gentilmente l’uomo accanto a sé .
« Dai Giorgio, sveglia, presto, è l’ora di andare a prendere Luigi e portarlo dall’albero per dargli la sua calza!»
Non aspettò che il marito si fosse alzato, subito in piedi si diresse con passo veloce vero la cameretta del figlio.
“ «Luigi, Luigi su…» rimase un attimo sconcertata nel vedere il lettino vuoto con lenzuola e piumino gettati disordinatamente a terra.
«Luigi?. Luigi…?» muovendosi con una certa agitazione nella piccola camera.
«Luigi Luigi? dove sei Luigi?» Ora il tono della voce si era fatto più alto.
Un senso di forte preoccupazione, non ancora di vera paura, iniziò ad entrarle nella mente.
Un debole rumore proveniva dalla sala ove l’albero illuminato continuava a ripetere instancabilmente la litania dei suoi colori.
«Luigi? Luigi…?» . Percorse veloce il corridoio e si affacciò sulla porta.
Il suo sguardo subito colse un piccolo fagottino che pareva nascosto dietro l’albero.
«Luigiiiii, Luigi!» adesso gridava, mentre Giorgio preoccupato sopraggiungeva ansante.
Si era precipitata dietro l’albero e con impeto raccolse in braccio il piccolo: pareva ancora addormentato ma presentava un dolce sorriso sulle labbra.
Luigi ma cosa fai qui? Stai bene?»
«Ciao mamma, – gli occhi semichiusi, – sai ho visto la befana.»
L’adrenalina le scivolò dal corpo, non sapeva se ridere o piangere dall’emozione e dalla soddisfazione; chissà cosa mai aveva pensato, un po’ ancora ansimava mentre Giorgio, con le braccia aperte quasi a reggere gli stipiti della porta:
« Tutto bene Angela?»
«Oh sì!» sorrise apertamente respirando intensamente,
«Un po’ di paura per nulla … vero Luigino?». E così dicendo volse gli occhi verso il figlio accorgendosi che il piccolo teneva stretto tra le mani un pacchetto avvolto in una lucente carta rossa munito di un bellissimo fiocco giallo da cui pendeva in piccolo biglietto.
«Ma Luigi cos’è …? »
Nessun pacchetto così era stato messo nelle calze la sera prima, e lo sapeva bene visto che era stata lei a confezionarle.
Prese l’oggetto e, lesse il biglietto ove spiccava la scritta a pennino con una grafia di una bellezza superiore, mai veduta:

“Per Luigi”

E nuovamente i suoi occhi cercarono il volto del figlio.
Lui sorrideva:
« Il regalo, mamma, è il regalo della befana; te l’ho detto, questa notte è venuta e ho visto la befana».

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