Racconto di Angela Scatà

(Prima pubblicazione)

 

 

La piccola città degli abbracci aveva perso la sua identità. Un altoparlante dal suono cupo ed inquietante passava per le strade della cittadina ripetendo instancabilmente la stessa frase:

– È severamente vietato abbracciarsi, chiunque verrà visto avvicinarsi a più di un metro verrà severamente punito con una multa di 200 euro e messo in prigione per tre mesi.

Non era facile spiegare ai bambini che l’abbraccio caloroso della nonna era diventato un reato punibile dalla legge. Neanche per le mamme e i papà del paese degli abbracci era facile ma sapevano che prima o poi il mostro ruba abbracci sarebbe stato sconfitto. Bisognava trovare un modo per resistere e ogni giorno bisognava mettere in moto le proprie energie e la propria fantasia per poter dare lo stesso calore degli abbracci mantenendosi alla dovuta distanza.

Il mostro ruba abbraccia era spuntato all’improvviso. Un giorno mentre tutti festeggiavano allegramente l’arrivo del Nuovo Anno, il mostro dalla testa tonda e piena di grosse protuberanze era fuggito grotta dove era stato rinchiuso circa cento anni prima, dopo che aveva portato nel mondo tanta tristezza e tanto dolore. La pietra che lo teneva imprigionato si era completamente sgretolata a causa delle continue piogge e vedendo spuntare un raggio di sole decise di uscire fuori. Era più arrabbiato che mai perché il mondo aveva continuato a vivere senza di lui per più di cento anni. Fuori dalla grotta, c’erano degli splendidi alberi di ciliegio pieni di fiori rosa che solo a guardarli regalavano serenità e speranza a tutti, ma non al mostro.  I magnifici eroi che l’avevano imprigionato erano i suoi veri nemici. Li avrebbe cercati, inseguiti, avrebbe dato loro filo da torcere. Era arrabbiatissimo ed anche molto forte.

Prima di arrivare in città si era tuffato nel fiume dell’invisibilità, un fiume che scorreva nei meandri della grotta e che solo pochi conoscevano. Non voleva farsi vedere subito. Avrebbe agito indisturbato camminando nel paese degli abbracci. Provava tanta invidia nel vedere grandi e piccini abbracciarsi e sorridere anche perché ogni volta che le persone si abbracciavano spuntava attorno a loro un alone particolare dai tanti colori, simile ad un arcobaleno. Non poteva permetterlo! Per lui quei colori e quel calore erano motivo di grande sofferenza. Pieno di rabbia, ogni volta che vedeva un arcobaleno si precipitava verso i malcapitati e i colori sparivano, lasciando spazio ad un alone scuro e ad una sensazione di sporco. Ci si sentiva sporchi e maleodoranti. Da un giorno all’altro le persone smisero di abbracciarsi, senza riuscire bene a capire il perché. Ognuno faceva scorta di saponi e disinfettanti, perché togliersi di dosso quella sensazione di sporco era diventata una necessità primaria. Ci si lavava le mani anche cinquanta volte al giorno. Chi non aveva a portata di mano acqua e sapone usava i disinfettanti, con il risultato che in molti avevano le mani bruciate dall’alcol.

Il mostro gioiva di tanta tristezza e tanta paura. Gli arcobaleni sparivano e lui diventava più forte e resistente.

Un giorno, mentre era intento a portare avanti la sua missione distruttiva, intravide il suo acerrimo nemico vestito di bianco. Si avvicinò pensando di infettarlo con la sua bava schifosa ma si accorse che, all’improvviso, non era più invisibile. Il suo nemico indossava una tunica bianca, una veste di un bianco candido e rifrangente, l’unico colore su cui non aveva alcun potere. Era lui l’antico super eroe che era riuscito ad imprigionarlo e da cui era meglio scappare, se non voleva ancora una volta, essere sconfitto.

Mister White aveva visto il mostro! Non c’era tempo da perdere doveva assolutamente comunicare a tutti che la città degli abbracci era in pericolo e forse anche tutte le alte città del pianeta. Cominciò a gridare a gran voce, cercando di attirare l’attenzione del capocity ma niente, tutto inutile. Tutti ridevano di lui, pensavano avesse perso il senno. Il mostro mangia colori, così era conosciuto il mostro della grotta, era ormai morto e sepolto. Al povero Mister White, fu chiesto di tacere e quando lui continuò a gridare a tutti che il mostro stava lavorando per distruggere le loro vite, fu messo in prigione. Povero mister White dicevano i suoi amici, è uscito di senno, il troppo studio gli ha dato alla testa. Speriamo ritorni in sé!

Intanto il mostro, tolto di mezzo il suo acerrimo nemico, poteva continuare ad agire indisturbato, portando tristezza e scompiglio fra gli abitanti della ormai triste cittadina.

Le strade erano quasi deserte. Se anche da lontano si vedeva qualcuno che percorreva la stessa strada, si preferiva cambiare direzione per evitare di incontrarlo. Cosa stava succedendo agli abitanti della città degli abbracci?

In un monastero poco lontano, tutto procedeva come sempre. Lunghi abbracci segnavano l’inizio e la fine delle giornate dei monaci urlanti. L’abbraccio del mattino augurava buona giornata per poter cominciare le proprie faccende con il cuore pieno d’amore. Ed era una vera carica per tutti. Era una splendida sensazione poter studiare, lavorare la terra, fare i conti, insegnare sentendo addosso il calore dell’abbraccio. Non sempre la giornata scorreva serenamente e senza intoppi, ma la sera un ultimo abbraccio, poteva far ritornare la serenità e la voglia di ricominciare. Tutto è più semplice quando qualcuno ti abbraccia e ti dice” Andrà tutto bene”.

Certo, da lontano il mostro mangia colori si rodeva dentro vedendo spuntare sempre nuovi arcobaleni ma non osava avvicinarsi. Quei monaci sdolcinati avevano scelto di dipingere di bianco la loro casa, indossavano camici bianchi e grazie ai loro abbracci potevano ancora assaporare i colori e i sapori della vita.

I monaci, in genere non avevano tanti contatti con gli abitanti del paese, ma si avvicinava l’Abbraccio Day che era l’unico giorno in cui tutti quanti si dirigevano in città, cantando e ballando e invitavano, grandi e piccini, a fare come loro ed unirsi in un caloroso abbraccio.

Tutti i monaci erano pronti. Iniziarono il loro cammino verso la città cantando e ballando. C’erano anche i suonatori. Felici, cominciarono a cantare e richiamare a gran voce gli abitanti ma nessuno usciva in strada. Erano tutti sotto la doccia per poter togliere quella sensazione di sporco che non andava mai via. I monaci ignari di tutto continuarono la loro festa sperando, prima o poi, che qualcuno accogliesse il loro invito. Qualche bimbo attirato dal suono e dalla festa si avvicinava ai vetri delle finestre ma subito una mano pronta lo tirava dentro.

L’Abbraccio Day fu veramente una grande delusione per i poveri monaci ma portò anche tanta tristezza agli abitanti che non riuscivano a spiegarsi come fosse potuto succedere! Perché erano cambiati così tanto? Cosa era successo al loro cuore e in così breve tempo.

Intanto i monaci cercavano di capire come mai, un popolo tanto amabile, fosse diventato tanto egoista e chiuso in se stesso.  I monaci anziani decisero che sarebbero andati a parlare con il capocity perché volevano vederci chiaro. Dopo il lungo abbraccio della mattina pieni di forza e di coraggio e di tutto il calore degli abbracci degli altri monaci si recarono al municipio dove risiedeva notte e giorno il responsabile delle decisioni importanti. Cosa molto strana il capocity non li fece entrare nel palazzo ma disse loro che li avrebbe ascoltati dal balcone. Ormai da un po’ aveva deciso di non ricevere ospiti nel suo studio. Comunicava solo per telefono o dal balcone. I monaci allora da sotto cominciarono a parlare, anzi ad urlare perché dovevano farsi sentire!

– Cosa è successo a tutti voi? –  Urlò il primo monaco. – Chi vi ha rubato il sorriso? –

– Perché non ci sono più bambini che giocano felici? Diteci per favore cosa è successo! –

Il sindaco sempre gridando dal suo balcone:

-Niente, non è successo proprio niente, siamo solo consapevoli che mantenere le distanze ci fa stare in salute. Non ci sono microbi che circolano. –

– Ma cosa sta dicendo? – Gridò il monaco più anziano! -Ma che vita è senza baci e abbracci! Mi sembra che voi state veramente farneticando. Gli abbracci sono l’anima di questa città. –

– Lo era – rispose il capocity. – Ora preferiamo salutarci e parlarci da lontano o ancora meglio in video chiamata. –

I monaci urlanti abbassarono lo sguardo, non avevano più parole e con il cuore più triste di prima tornarono a casa. Quella sera, l’abbraccio con i fratelli significava abbandono, condivisione, impotenza ma come sempre nei loro abbracci non si sentivano soli.

Nel monastero i monaci urlanti continuavano con la vita di sempre, non riuscendo però a togliersi dalla testa quello che avevano visto nella vicina cittadina, che aveva ormai perso la sua identità.

Cominciavano la giornata con il loro consueto abbraccio, pregando gli uni per gli altri, affidandosi reciprocamente le loro vite, i loro pensieri, i loro sogni. Avevano però posto un nuovo obiettivo nella loro giornata: cercare, in ogni modo, una via per poter aiutare gli abitanti della città. Stabilirono che, durante il giorno, mentre ognuno era intento nel suo lavoro, avrebbe dovuto pensare a delle strategie d’azione e, qualora avesse qualche idea geniale, doveva urlarla in modo che, gli altri monaci, potessero sentire e riflettere sul da farsi.  Di tanto in tanto, si sentivano delle urla provenire ora dal giardino, ora dall’orto, ora dalla cucina o dalla biblioteca. Dopo il lungo abbraccio della sera condividevano i loro pensieri cercando nel frattempo di stabilire un piano d’azione. Non potevano far finta di niente!

Una mattina seduto dinanzi alla sua scrivania, il monaco anziano gridò a gran voce: – Questa antica città, un tempo si chiamava Turbinia, ma poi prese questo nome dopo l’uccisione di un mostro conosciuto come “il mostro mangia colori”.

Neanche a dirlo! il pensiero dei monaci, tutto il giorno aveva lavorato su questa frase e finalmente, dopo l’abbraccio della sera, avrebbero potuto condividere i propri pensieri e le proprie sensazioni.

L’idea del mostro era diventata un’ossessione ma ne sapevano ben poco. In città nessuno ne aveva più parlato da quando era scomparso, anzi era severamente proibito parlarne perché faceva venir in mente periodi particolarmente brutti in cui ognuno aveva smesso di sorridere e vivere. In quel periodo, non c’erano più innamorati, nessuno si sposava e non nascevano bambini. Tutti erano isolati, ognuno pensava solo a se stesso, vivendo come un automa. Ma per fortuna, anche quando tutto sembra finito e che non ci sia via d’uscita, una luce appare all’orizzonte. Era la luce dei camici bianchi tanto odiati dal mostro mangia colori. Il bianco era l’unico colore che lo rendeva vulnerabile.

Forse è questa la strada, disse il monaco bibliotecario. Da domani mi metterò a lavoro e qualunque cosa c’è da sapere, io la saprò. – Andrò di nuovo in città a parlare con il capocity – disse, con un tono deciso il monaco anziano. Dovrà pur darmi delle indicazioni, delle delucidazioni. Non può pensare di lavarsene solo le mani, in tutti i sensi. Certo, forse il fatto che noi siamo immuni da questo contagio è proprio per il colore che ci caratterizza o meglio per il nostro non colore.  Quella, fu una notte lunga ed insonne un po’ per tutti i monaci, che pieni di adrenalina per le nuove scoperte, non vedevano l’ora di mettersi a lavoro.

La  mattina seguente tutti erano svegli prima del solito. L’idea del mostro, che andava in giro indisturbato portando scompiglio ovunque, non era più accettabile. Ormai, erano quasi certi di essere sulla strada giusta ma dovevano provarlo. Dopo i consueti abbracci che davano inizio alle attività della giornata, il bibliotecario ed altri due monaci cominciarono a sfogliare vecchi libri per trovare degli indizi, delle informazioni. Il monaco anziano, insieme al più giovane, si diresse verso la città. Più si avvicina alla meta, più lievitava la sua rabbia verso quel capo che, invece di trovare una soluzione, si era chiuso nel suo palazzo dorato e che non si premurava di andare incontro alle esigenze dei suoi concittadini. Ora avrebbe dovuto ascoltarlo, gli avrebbe dovuto dare delle risposte o almeno avrebbero dovuto trovare, insieme, una strada da percorrere. Non era accettabile che la vita delle persone si svolgesse fra le quattro mura domestiche senza nessun calore e colore.

Appostati sotto i balconi del palazzo di città, i monaci urlanti cercavano di attirare l’attenzione del capo-city, e non solo.  Un monaco fornito di tamburo cominciò a battere a intervalli regolari con le sue bacchette: -Attenzione! Attenzione! Voi tutti rintanati siete stati convocati! Attenzione! Attenzione! tristi e angosciati siete tutti diventati ma dovete riscoprire la voglia di essere abbracciati.

Mentre il monaco col tamburello continuava a richiamare l’attenzione camminando per le vie della città, gli altri monaci con i loro strumenti musicali, cercavano di intonare le più belle melodie per arrivare al cuore di tutti. Bisognava far sciogliere i tanti animi irrigiditi ed impauriti. Per alcuni erano solo dei pazzi ma fra i tanti, c’era anche chi cominciava a sperare che qualcosa potesse cambiare. Qualcuno cominciò anche spolverare il suo vecchio strumento, qualcun altro cominciò a cantare. Nel giro di qualche ora i balconi si riempirono di persone felici che, fra canti e balli improvvisati, avevano riacceso la loro voglia di vivere. Dal balcone del palazzo di città, il capocity cercava con il suo megafono di prendere la parola ma i suoni melodiosi avevano invaso la piazza e nessuno prestava attenzione al suo dimenarsi. Il mostro mangia colori, invece, era rimasto ben nascosto dentro una vecchia casa, consapevole che niente avrebbe potuto contro quella schiera di camici bianchi.

Le musiche e le danze non avevano, per niente, toccato il cuore del capocity che aveva, come unico scopo della sua vita, mantenere l’ordine. Quella confusione l’aveva messo in agitazione, aveva paura che la troppa vicinanza delle persone, avrebbe nuovamente fatto sprofondare la città nell’angoscia e nel dolore. Quando, finalmente la musica lasciò spazio al silenzio, prese la parola e gridando contro i monaci disse: -Siete degli incoscienti! solo la distanza ci permette di stare bene e voi state distruggendo il lavoro di mesi. Finalmente, ognuno era felicemente isolato nella propria casa e voi ora volete istigarli ad uscire in cerca di abbracci. Ormai è finito il tempo degli abbracci!-

-No – disse il monaco anziano. – Gli abbracci sono vita, nell’abbraccio io posso sentire il calore dell’altro, posso unire la sua strada alla mia, posso sentire pulsare il suo cuore e sperare in un mondo migliore. Cercando fra vecchie carte, abbiamo scoperto che questa città un giorno si chiamava Turbinia, ma dopo la sconfitta del mostro mangia colori ha preso il nome di Città degli abbracci.

– Il Mostro? Ecco altri invasati che pronunciano parole sconnesse. Proprio come quel vecchio pazzo di mister White – disse capocity.

– Mister White ha parlato del mostro? – rispose il monaco anziano, fra l’adirato e lo stupito! – e voi cosa avete fatto? –

– Niente, non abbiamo fatto proprio niente. Anzi, abbiamo pensato bene che non sentire più le sue fandonie avrebbe alleggerito le nostre vite e, quindi, e stato rinchiuso nella torre. –

– Mister è un uomo di scienze e un abile medico, non è un invasato! Liberatelo per favore, abbiamo bisogno del suo aiuto. Ora siamo sempre più convinti che in qualche posto, qui, in città si trova un mostro che dobbiamo sconfiggere. Lo faremo tutti insieme. Ognuno di noi farà la sua parte e un giorno la città riscoprirà la gioia di stare insieme attorno al fuoco e cantare e ballare finché la stanchezza non si impadronirà dei nostri corpi.

Il capocity era piuttosto perplesso. Avrebbe voluto lavarsene le mani ancora una volta ma non vedeva via d’uscita. Chiese alle guardie di condurre i monaci fino alla torre e liberare mister White.

Mister White aveva vissuto per ben due mesi nella torre, cercando in tutti i modi di rendere piena la sua giornata, nonostante i limiti imposti dalla situazione. Se non fosse stato obbligato a rimanere sempre rinchiuso, l’edificio che l’ospitava non era per niente male. Un’intera parete era occupata da libri molto interessanti, c’era un organizzato angolo cottura e degli attrezzi per lavorare il legno. Senza perdersi  d’animo aveva cominciato a guardarsi dentro, a riscoprire un tempo che negli ultimi anni non gli bastava mai. Trascorreva la maggior parte del tempo in una terrazza. Era lì che era riuscito a fare delle bellissime sculture in legno. Animali di legno che pensava di poter regalare un giorno ai bambini del paese. Era fiducioso e pensava che, prima o poi, si sarebbero resi conto che stavano sbagliando e sarebbe stato liberato.  Avrebbero capito che, il vero nemico non era lui, ma qualche sconosciuto che era piombato all’improvviso costringendo tutti a rivedere le loro vite, a porsi nuove domande, a riscoprire la propria individualità

Il giorno tanto atteso finalmente era arrivato. Le guardie con alcuni monaci cominciarono a chiamarlo da lontano.

-Mister White! mister White stiamo arrivando! Abbiamo bisogno del suo aiuto! Siamo venuti per liberarla!  Erano tutti felicissimi- Mister White era una brava persona sempre pronto ad aiutare tutti, non era un invasato come aveva voluto far credere il capocity che aveva preferito ridurlo al silenzio invece di prendere delle iniziative che, forse, avrebbero evitato tanto dolore.

Mister White percorreva la strada principale della cittadina, lentamente e timidamente si aprivano alcune finestre, e spuntavano accennati sorrisi. C’era speranza! I monaci in piazza cominciarono ad intonare i loro canti e a mettere mano agli strumenti e, come per magia, anche le corde umane cominciarono a pulsare. Ognuno, stanco del proprio isolamento e, guidato da una forte voglia di allegria, unì il suono della propria voce a quella dei monaci urlanti. In men che non si dica i balconi si riempirono di suonatori, cantanti, giocolieri, pittori e poeti. Ognuno con la sua arte contribuì a far spuntare un magnifico arcobaleno. Erano abbracci virtuali ma pur sempre abbracci che riscaldano il cuore.

Mister White, con alcuni monaci, lavorava a pieno ritmo nel suo laboratorio per annientare, una volta per tutte, il mostro mangia colori. La città aveva ricominciato a vivere ma tutti memori delle loro brutte sensazioni avevano paura di abbracciarsi, avevano paura di sentire la viscida e sgradevole sensazione che il mostro lasciava sui loro corpi. Ma nonostante tutto, nonostante le loro paure riuscivano a creare arcobaleni ovunque poiché avevano uno sguardo nuovo e pulito verso chi incontravano sulla propria strada.

Bisognava essere molto cauti! Ormai tutti erano a conoscenza dell’esistenza del mostro mangia colori e il ricordo delle sensazioni provate erano troppo recenti perché potessero lasciarsi andare. Mister White nel suo laboratorio continuava a studiare e fare ricerche aiutato dai monaci urlanti. Arrivarono alla conclusione che il mostro poteva essere tenuto lontano, indebolito ma non erano sicuri di poterlo annientare. L’unica cosa di cui erano certi è che, fin quando i loro abbracci avrebbero formato arcobaleni, lui si sarebbe tenuto lontano.  Da quel giorno, tutti gli abitanti del paese ricominciarono ad abbracciarsi e nei lunghi abbracci, quando si sentiva palpitare il cuore dell’altro, spuntavano splendidi arcobaleni.

_