Racconto di Francesca Coppola
(Sesta pubblicazione)
Michele se ne stava seduto in piazza. Si toccava, con orgoglio la piccola gobba cresciuta nella parte più in giù del collo, tendente alla spalla destra. Una deformazione innaturale dovuta alla faticosa alzata dei gigli. Settembre, era da sempre, il mese della preparazione che in realtà iniziava molto tempo prima con la costruzione vera e propria del giglio.
– E cos’è il giglio? – chiedeva Carmelo al suo papà, anche se lo conosceva perfettamente, solo che ogni anno faceva finta di non ricordare il suo triste destino.
– Torri di legno altissime che pesano quintali e vengono trasportati da circa 120 persone, una delle quali sono io! – rispose orgoglioso Michele, ribadendo, ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, quell’ infinita passione. La sua famiglia, infatti, da generazioni prestava la spalla, è proprio il caso di dirlo a questa festa che aveva avuto origine negli anni venti dell’ottocento. Era una vera e propria dimostrazione di appartenenza quella di deformare una parte del corpo, in maniera consapevole e poi farne vanto. Ecco Michele, come Tony (suo zio) e Paco (primo fratello), non vedevano l’ora che l’ultima domenica del mese giungesse in fretta. Ancora qualche giorno e finalmente musica, birra e grossi carichi di legno avrebbero reso indimenticabile un altro anno. In effetti, tutti gli accadimenti di questa festa sarebbero stati raccontati e ingigantiti nei messi successivi. Si sarebbe parlato dell’inchino dell’Insuperabile, di come la Formidabile non sarebbe riuscita a tenere il passo, o la Papera, troppo giovane scricchiolasse sotto i colpi della Mondiale. Si vociferava che tale festa nascesse a Nola, continuasse a Brusciano per poi morire a Barra. Ecco, diceva Michele a suo figlio, se deve perire qui, che sia in piena allegria ma Carmelo, dall’alto dei suoi otto anni non poteva capire il significato profondo di una tradizione quasi sacra, né il discorso del padre, sapeva solo che la gobba doveva farsela crescere pure lui e non voleva proprio saperne.
– Papà ma il nonno è morto per la gobba? –
– No Carmelo, perché dici questo? Ah! Se il nonno fosse ancora tra noi, lo alzerebbe eccome il giglio! ma ci sarà Mimmo, il figlio della signora di fronte casa nostra, il papà di Nando, il tuo compagno di scuola e tanti, tanti altri-.
Carmelo ricordava di aver affrontato il discorso sui gigli anche con Nando, il suo compagno di scuola non vedeva l’ora di avere pure lui la gobba, perché il suo bis nonno era stato uno dei fondatori dell’Insuperabile. Nando, infatti, passava ore intere col padre per cercare le canzoni buone da arrangiare, il ritmo giusto da imprimere a quella magiche giornate. La sorella di Carmelo, invece, era tenuta alla larga. Lei sì che conosceva a memoria tutti i mood delle feste barresi e sognava di far parte della ciurma sudaticcia di gente sotto il carro. Al massimo, però avrebbe potuto occupare il palco, cantare e ballare sul giglio, perché le donne non sono forti abbastanza e, comunque,“era una cosa fra maschi” nessuna donna poteva essere ingranaggio di questa antica tradizione.
In città si respirava aria di noccioline fuse con lo zucchero e alcune bancarelle erano già in fermento anche se all’ultima domenica di settembre mancava ancora una settimana. Oggi c’era un sole leggero che annunciava la fine dell’estate e i colombi si avventano sulle patatine rovesciate da un altro bimbo, poco distante: aveva capelli nerissimi con boccoli grandi e non più di tre anni. Batteva le mani perché non riusciva a contenere l’entusiasmo, apriva la bocca in una smorfia meravigliata.
I colombi iniziavano una danza conosciuta: beccavano e volavano e poi riatterravano e ripartivano ma sempre tornavano. Il padre di Carmelo notando quel bimbo vivace si lasciò andare a qualche commento di troppo: – assomiglia ad una donna con quei capelli lunghi e ricci!, vedi, che uno come quello lì, di sicuro non alzerà mai l’Insuperabile-.
Mario, fratello di Michele, conosceva bene le fasi della selezione, non bastava semplicemente volerlo. Mario era troppo esile, troppo effeminato dicevano. I muscoli erano fondamentali, i tatuaggi, i denti storti, il sudore acido pure. La gobba ti avrebbe imbruttito comunque, tanto valeva esserlo dalla nascita. Ti devi rasare i capelli, devi conoscere le hit che poi diventano comunque neomelodiche. E “o-o-o” quell’incedere sincrono spalla, anca, gamba, sì, deve scorrerti nel sangue. Lo zio Mario era stato una delusione per l’intera famiglia, non avrebbe potuto farsi crescere la gobba, non si sarebbe ammazzato di birre e dato a botte per difendere il migliore inchino fra i gigli. Non avrebbe mai potuto raccontare nessuna storia, una di quelle che tutt’oggi viene ricordata in paese. Si narra, infatti, che una volta a causa di una precedenza non data, la festa divenne arena di un massacro. L’anima di tutte le botte, in una sera sola. Niente paroloni o giri di parole: il rispetto è rispetto, quelli dell’Insuperabile sfilarono i bastoni di legno dalla base della struttura e le diedero di santa ragione agli irriverenti della Stella. Il padre di Carmelo era ancora piccolo, così con i cugini si arrampicò su per i condotti dell’acqua fino al tetto, rimasero lì fino alle 5 del mattino. Per mesi raccontarono le gesta di gente dal torso nudo e, decisamente, alticcia.
Carmelo sapeva di non poter sfuggire al suo destino. Una volta, per farsi coraggio aveva anche pensato che, se in futuro la gobba non la avesse voluta più, avrebbe potuto farsela togliere chirurgicamente. Purtroppo Nando gli aveva raccontato di Gennaro, il meccanico che aveva deciso di sottoporsi ad un intervento proprio per questo fine. Diceva, infatti, che gli faceva un male tremendo. “Dopo, però, non puoi più alzare il giglio”.
La notizia si è sparsa in fretta. Nessuno dei compaesani pare abbia richiesto più i suoi servizi in officina, Gennaro si è dovuto trasferire ad Avellino.
-°-
https://www.unilibro.it/libro/coppola-francesca/non-togliermi-il-vestito/9788893820608
Scrivi un commento