Racconto di Alessandra Macagno
(Terza pubblicazione)
“Edo, ti ricordo la festa di Halloween di domenica sera, presso Villa Tabor, alle ore 21:00. So che te l’avrò già scritto almeno un milione di volte, ma, come puoi immaginare, ci tengo alla tua presenza. Mi raccomando, non fare l’asociale come al solito! Ti abbraccio! Micky.”
Non appena lesse quel messaggio, Edoardo scosse il capo. “Ogni anno è la stessa storia. – Pensò, sollevando lo sguardo dal display del cellulare – Michela sa che non amo questo genere di eventi, eppure si ostina a invitarmi. Ma come posso dire di no alla mia migliore amica?”
Senza troppa convinzione, si sforzò di formulare una risposta che potesse compiacere la ragazza.
“Va bene, Micky, non mancherò, ma solo perché sei tu a chiedermelo. Sappi che non intendo travestirmi da vampiro o cose simili, mi sentirei ridicolo. A domenica, allora! Un bacio. Edo.”
Edoardo non era un fanatico di balli in maschera e feste in stile americano. Detestava tutte le ricorrenze meramente consumistiche; ai suoi occhi, altro non erano che un pretesto per rimpinguare le casse dei negozi di gadget e dolciumi. Avrebbe trascorso volentieri la vigilia di Ognissanti a casa propria, sfogliando un buon libro o godendosi un film. Tuttavia, per non deludere la sua amica, non aveva altra scelta, se non fare uno strappo alla regola. “Secondo Michela, la festa potrebbe essere l’occasione giusta, per me, per qualche incontro interessante. Non ne sono così convinto, comunque sia, vedremo…” Rifletté, sospirando. Mai e poi mai avrebbe immaginato che, partecipando a quell’evento, avrebbe vissuto qualcosa di veramente incredibile.
Quella sera un’argentea luna piena splendeva nell’immensità di un cielo completamente terso. Il vento frizzante di fine ottobre scuoteva i rami semispogli degli alberi. Giunto dinanzi a Villa Tabor, Edoardo parcheggiò la sua auto e si diresse verso il portone d’ingresso. Era un imponente edificio, in stile liberty, di inizio Novecento, dalle ampie finestre, di forma ovale, e dalle pareti tinta giallo tenue, che si ergeva, solitario, sulla sommità di una modesta collina. “Location ideale per una festa di Halloween. – Constatò, osservando l’antica casa – Elegante e inquietante al punto giusto.”
Varcata la soglia, fu accolto da Michela e dal suo fidanzato, Mirko, mascherati rispettivamente da Morticia e Gomez Addams. “Ciao, Edo! Grazie per essere venuto! – Esclamò la sua amica, abbracciandolo calorosamente – Se vuoi bere qualcosa, puoi rivolgerti ai ragazzi del servizio catering. L’angolo bar è al fondo del salone, accanto alla postazione del deejay.”
“Grazie, Micky! Magari, più tardi, ordinerò un drink.” Rispose Edoardo, ricambiando il saluto con un bacio sulla guancia.
La sala, addobbata con festoni a forma di zucca e pipistrello e sagome di cartone, raffiguranti scheletri e fantasmi, era gremita di invitati. Ciascuno di essi indossava un costume diverso e si muoveva al ritmo della musica, selezionata accuratamente dagli addetti all’animazione. Dopo aver scambiato quattro chiacchiere con alcuni dei commensali, Edoardo ordinò un Gin Lemon e si appartò su un divanetto. Mentre sorseggiava il suo cocktail, notò una ragazza, seduta dalla parte opposta della stanza, che lo fissava. Era di una bellezza disarmante. Indossava un abito lungo, elegante, color avorio e, tra i lunghi boccoli dorati, portava un cerchietto con una splendida rosa bianca. Dai suoi occhi cerulei traspariva un misto tra fascino e malinconia. Profondamente colpito, Edoardo decise di avvicinarsi alla giovane per conoscerla meglio. In fondo, cosa aveva da perdere?
“Ciao, tutto bene? Ti stai divertendo?” Le domandò, accennando un sorriso.
“Ciao! A dire il vero, sono un po’ spaesata. Non conosco nessuno e, con tutta questa confusione, faccio fatica ad ambientarmi.” Rispose la ragazza, mentre si tormentava una ciocca di capelli.
“Ti capisco. Non amo le feste come questa, quindi neanch’io mi sento particolarmente a mio agio. Ho un’idea: ti va di ballare? Potrebbe essere un buon modo per rompere il ghiaccio e vincere l’imbarazzo! A proposito, io sono Edoardo!”
“Oh, sì, molto volentieri! Io invece mi chiamo Azzurra.”
Le loro mani si incontrarono e si intrecciarono in una calorosa stretta.
“Che nome splendido! Meraviglioso come i tuoi occhi!” Esclamò Edoardo, guardandola intensamente.
Le gote di Azzura si tinsero di un lieve rossore.
“Grazie. Sei molto dolce!”
Edoardo le cinse le spalle con un braccio e la condusse nella zona della sala adibita a pista da ballo.
Tra piacevoli conversazioni, danze e risate, i due trascorsero una serata incantevole. Edoardo non aveva mai incontrato Azzurra prima di allora, eppure, ebbe la sensazione di conoscerla da sempre. L’alchimia tra loro era così forte che, d’un tratto, le loro labbra si avvicinarono, sino a fondersi in un bacio appassionato.
“Si è fatto tardi, devo proprio scappare! – Esclamò Azzurra, allo scoccare della mezzanotte, mentre osservava l’orologio a pendolo, posto sulla parete di fondo – Grazie di tutto, Edoardo, sei una persona stupenda!” Gli accarezzò la guancia e, con passo lesto, si diresse verso l’uscio.
Il giovane era in procinto di seguirla quando, volgendo lo sguardo verso il pavimento, si accorse che alla ragazza era caduto inavvertitamente il borsellino. “Domani andrò a casa sua a restituirglielo. – Pensò, raccogliendolo – Sarà un buon pretesto per rivederla.”
Il mattino seguente, Edoardo si svegliò presto, salì sulla sua auto e si diresse verso l’indirizzo indicato sui documenti di Azzurra. Era emozionato e desideroso di ritrovarla, quella dolce fanciulla lo aveva letteralmente stregato. Giunto sul luogo, notò che la casa della ragazza aveva tutta l’aria di essere una vecchia dimora di campagna abbandonata. I battenti, in legno, delle finestre, erano chiusi e l’intonaco delle pareti esterne era sbiadito. Non c’era anima viva in tutto il circondario, se non un anziano signore, intento a spazzare le foglie secche dal vialetto d’ingresso della villa adiacente. Temendo di aver sbagliato strada, Edoardo decise di avvicinarsi a quell’uomo per chiedere informazioni.
“Buongiorno, scusi se la disturbo. La famiglia Tosetto abita in quella casa?” Domandò, indicando l’edificio.
Il vecchio interruppe il suo lavoro e assunse un’aria inquisitoria. “Quella casa, ragazzo, è disabitata ormai da tempo. I Tosetto hanno traslocato da quasi otto mesi. Posso sapere perché li stai cercando?”
“Dovrei restituire questo ad Azzurra.” Asserì Edoardo, mostrando al suo interlocutore il borsellino della giovane.
L’uomo sgranò gli occhi. “Santo cielo, ragazzo! – Trasalì – E tu come fai ad avere il portafoglio di Azzurra Tosetto?”
“Ci siamo conosciuti ieri sera, a Villa Tabor, in occasione di una festa. Deve esserle scivolato dalla tasca del vestito mentre usciva. Volevo semplicemente restituirglielo.” Ribatté Edoardo, accarezzandosi i suoi folti capelli biondi.
“Non è possibile, ti starai confondendo con qualche altra ragazza. – Replicò l’anziano signore, ostentando una certa risolutezza – Azzurra, purtroppo, è deceduta la sera del 31 ottobre, esattamente un anno fa. È rimasta coinvolta in un incidente d’auto. Dopo la sua morte, i suoi genitori hanno deciso di abbandonare la casa di famiglia per trasferirsi in centro città. Ecco, guarda!”
L’uomo estrasse, dalla tasca del suo giaccone, il cellulare e mostrò a Edoardo l’articolo, di un quotidiano online, inerente a quella terribile tragedia. Al centro della pagina, risaltava un bellissimo primo piano di Azzurra. Il ragazzo rabbrividì. Non poteva credere a quanto aveva appena udito e letto. La giovane, con cui aveva trascorso la serata, aveva detto di chiamarsi Azzurra ed era identica a quella raffigurata in foto. Avvertì un forte senso di turbamento. “Con chi ho avuto a che fare, realmente? – Mormorò, tra sé e sé, ripensando a quanto accaduto alla festa – Mi sembra tutto così assurdo e surreale!”
Sconvolto da quanto aveva appena appreso, Edoardo congedò l’anziano signore e, recuperata la sua auto, si diresse verso casa propria.
Non appena rincasato, scorse, accanto alla porta d’ingresso, una scatola rossa con un biglietto bianco che riportava la scritta “Per Edoardo”. Sempre più confuso, il ragazzo aprì la confezione e, con enorme incredulità, vide che questa conteneva un cerchietto con una rosa bianca e una lettera a lui destinata. Senza esitare, cominciò a leggerla.
Caro Edoardo,
quello che sto per raccontare ti sembrerà un’assurdità, ma sono sicura che saprai credere ad ogni singola parola. Sono morta esattamente un anno fa, la vigilia di Ognissanti, mentre mi recavo ad una festa. Sono stata vittima di un incidente stradale, a soli ventidue anni, a causa della scelleratezza di un uomo ubriaco. Ero così piena di vita e di aspettative, che non sono stata in grado di accettare il mio trapasso. Infelice, ho seguitato a vagare su questa terra, in attesa di poter provare, almeno una volta, quell’emozione così pura e autentica che solo il vero amore può regalare. Grazie a te, ieri sera, ho provato quel sentimento unico e incondizionato che tanto desideravo e, finalmente, sono libera di riposare in pace. Ti dono il mio cerchietto, affinché, contemplando la rosa bianca, tu possa ricordarti di me e del nostro meraviglioso incontro.
Non ti dimenticherò mai.
Tua per sempre. Azzurra.
Dai grandi occhi, color nocciola, di Edoardo sgorgarono lacrime di commozione. Prese in mano il cerchietto della ragazza e se lo strinse forte al petto. Di sicuro, non avrebbe mai scordato quel primo, vero amore ultraterreno.
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