Racconto di Anna Zucca
(Prima pubblicazione)
Tommaso prende il cartone e lo stende. Lo fa con cura come se stesse rifacendo un vero letto. Stasera dormirà davanti alla Rinascente, sotto i portici di Corso Vittorio Emanuele. Sono le dieci e mezza, la serata è tiepida e quando il centro di Milano si svuota di gente indaffarata e di turisti, ecco che si riempie di fantasmi. Persone che escono da non si sa dove e cominciano a cercare un posticino in cui trascorrere l’ennesima notte all’ aperto. Più o meno si conoscono tutti, si salutano, scambiano quattro chiacchiere: chi con in mano una bottiglia di vino, chi accendendo un mozzicone di sigaretta raccattato da terra poco prima. Un esercito di anime che, complice la crisi, si allarga ogni giorno di più.
- Ciao Tommy, buona notte-.
Non sopporta di essere chiamato Tommy. Il suo nome è Tommaso. Tutto intero. Non capisce perché devono tirarne via un pezzo. Chi li ha autorizzati? Eppure, la stragrande maggioranza delle persone che conosce, lo chiama con quello stupido diminutivo. Prima di addormentarsi Tommaso pensa a sua madre. A come lo chiamava lei:
“Tommaso, Tommaso sto parlando con te. Non piangere, tu non sei stupido sei solo un po’ più lento degli altri. Ti ci vuole un attimo in più ma poi le cose le capisci!”
E gli pare di poterla ancora udire la voce di sua madre: dolce, comprensiva, sempre pronta a proteggerlo. Da quando è morta, sei mesi fa, lui si è trovato solo e non ce l’ha fatta. Il padrone di casa continuava a bussare alla porta, erano arrivati anche dei poliziotti e lui aveva aperto. Gli avevano detto che doveva andarsene da quella casa, allora aveva estratto dall’ armadio lo zaino blu che usava quando andava in campeggio con l’oratorio, aveva infilato due paia di mutande e due paia di calze, un pantalone e una maglietta di ricambio e se ne era andato. Prima di uscire aveva aperto il cassettone in camera di sua madre e aveva preso quella scatoletta rosa che adesso stringeva tra le mani. Tutte le sere la estraeva dalla taschina laterale dello zaino. Dentro, affogata in uno strato di cotone idrofilo ormai un po’ ingiallito dal tempo, c’era la catenina d’oro della sua mamma. Era lunga e aveva una medaglia con la figura della Madonna che teneva in braccio il Bambino Gesù. Dietro c’era inciso Lucia 27/11/46. Il nome e la data di nascita di sua mamma. L’unico ricordo che gli rimaneva. La rigirava tra le mani per un po’, cercando di non farsi vedere da nessuno, poi la riponeva di nuovo nella scatola e la nascondeva. Nessuno sapeva di questo suo tesoro e nessuno doveva saperlo. Anche se aveva una disabilità intellettiva, conosceva i pericoli della notte e la cattiveria delle persone e aveva imparato in fretta a diffidare di tutti. Quel giorno aveva camminato tanto alla ricerca di un posto dove gli avevano detto che distribuivano gratuitamente vestiti in buone condizioni e, adesso, gli era piombata addosso tutto d’un colpo una stanchezza infinita. Aveva anche mangiato poco perché era arrivato tardi alla mensa dei poveri e si era dovuto accontentare di quello che era avanzato. Si raggomitola sul suo cartone, si copre con la giacca a vento che non abbandona mai e cade in un sonno profondo. Viene svegliato verso le tre e un quarto di notte da qualcuno che brontola a voce piuttosto alta. Scatta seduto e vede Valentina che corre e sente una voce che le urla dietro. È un attimo quando si accorge che la taschina laterale dello zaino è aperta e la scatolina rosa è sparita. Non ci crede, comincia a dondolare, avanti e indietro, avanti e indietro. Gli occhi fissi verso il punto nel quale Valentina è sparita dalla sua vista e dondola, dondola. Non riesce a fermare il suo corpo che trova una sorta di consolazione in questo dondolio. Si sta cullando da solo, cercando nello stesso tempo di capire cosa fare. L’alba lo trova ancora sbigottito e dondolante. Le creature notturne devono lasciare il posto al brulicare diurno della grande città. I camion della nettezza urbana cominciano il loro lavoro e gli spazzini devono ripulire le strade da ogni genere di rifiuti, anche umani. Arriva Paolo con il thermos del caffè in una mano e il bicchierino di carta nell’altra. Paolo ha la stessa età di Tommaso, 38 anni, fa il netturbino, è sposato con Giada e ha due bambini gemelli di 3 anni. Una mattina di qualche mese fa, ha offerto un po’ del suo caffè a Tommaso e, da allora, sono diventati amici. Stamattina però capisce subito che qualcosa non va. Trova Tommaso appoggiato al muro, con gli occhi rossi e lo sguardo perso e triste.
- Che succede? Stai male?- domanda preoccupato Paolo. Le uniche parole che escono dalla bocca di Tommaso sono:
- la scatoletta rosa, la scatoletta rosa…-
Paolo si siede per terra e, offrendo caffè si fa raccontare dall’amico l’accaduto. Non riesce a capacitarsi che, al mondo, ci siano persone così cattive e bastarde da fare del male a un essere innocente come Tommaso. Decide, quindi, di aiutare l’amico in difficoltà.
-Non preoccuparti, ci penso io. Tu non devi fare niente. Io la conosco Valentina, è una drogata, frequenta un mucchio di brutta gente. È meglio che vada io a cercarla e vedrai che recupero tutto quello che ti hanno rubato. Non piangere Tommaso!-
L’ha chiamato Tommaso. Basta questo per fargli tornare la speranza. Un timido sorriso rischiara per un attimo il suo volto.
Valentina sta dormendo. È tornata nella stanza che divide con Maurizio il suo uomo. Si trova in una vecchia fabbrica diroccata che l’amministrazione comunale non si decide a fare abbattere. Tutto è pericolante al suo interno: dai pavimenti alle pareti, dalle finestre alle scale. Di notte si sentono paurosi scricchiolii ma, nonostante questo, ogni stanza è abitata: drogati, extracomunitari e disperati di ogni genere hanno eletto a loro alloggio ufficiale questa schifezza e ci sono giorni nei quali si sentono persino fortunati nell’ avere un tetto, anche se pieno di buchi, sulla testa. La notte è stata agitata. Valentina e Maurizio si sono divisi i compiti: lei avrebbe rubato nella zona di piazza Duomo, lui sarebbe andato in stazione centrale. Verso le quattro, quando si sono ritrovati, Maurizio era al settimo cielo. Aveva rubato il portafoglio a un incauto turista che si era addormentato, in attesa del treno, su una panchina. Dormiva così profondamente che si sarebbe accorto del furto solo la mattina dopo. Maurizio sventolava davanti al naso di Valentina un pacchettino di banconote che odoravano già di droga. Infatti, di lì a poco, ecco le dosi, i lacci, le siringhe e lo sballo che durava sempre meno. Sono rimasti in pochi a farsi di eroina. Non si usa più. Adesso si va di cocaina, ecstasy, metanfetamine. Loro due sono i drogati della vecchia generazione. Superano i quaranta anni, anche se ne dimostrano almeno quindici in più, e continuano la loro ricerca quotidiana della morte credendosi i più furbi sulla faccia della terra. Valentina che, nella sua notte di razzia, ha rubato solo a barboni e disperati ha finto di non essere riuscita ad impossessarsi di niente. Ha estratto un paio di vecchi accendini e un coltellino a serramanico. Della scatoletta rosa nessuna traccia. Ha deciso di tenerla per sé, di non dividere con Maurizio questo bottino. Può venirle utile nei momenti bui, quando non avrà neanche un centesimo bucato e la crisi di astinenza comincerà a farsi sentire. Valentina ha la convinzione di avere un’intelligenza superiore alla media e anche adesso che normalmente, quando è in sé, riesce solo a biascicare frasi sconnesse e incomprensibili, pensando ai suoi genitori la prima cosa che le viene in mente è:
“due poveri deficienti. Hanno lavorato tutta la vita come muli e non hanno mai provato la vera felicità, la libertà di vivere all’aria aperta, di non aver niente di programmato. La loro è stata una inutile esistenza fatta solo di doveri e di ansie. Io no, a me non interessa nessuno, non amo, non ho mai amato e non amerò mai nessuno. L’unica persona che mi interessa sono io. E loro passano la vita a piangere, pensando alla loro bambina che ha perso la strada, non si rassegneranno mai. Ormai sono vecchi, moriranno presto e finalmente mi lasceranno qualche soldo… non vedo l’ora”.
Tommaso ha un gran mal di testa. La notte trascorsa lo ha lasciato stremato ma deciso a riavere la sua scatoletta. Subito dopo aver bevuto il caffè di Paolo e avergli promesso di non ficcarsi nei guai, ha riposto il suo cartone nel pertugio, alla fine delle scale della metropolitana ed è partito alla ricerca di Valentina. Non sa come farà a trovarla e neanche cosa farà quando la vedrà. L’unica cosa che ha in mente è che non può vivere senza la catenina di sua madre. Si dirige verso la Stazione Centrale perché sa che nel piazzale c’è un bel giro di spaccio e quindi è un punto di ritrovo allettante per tutti i tossici in città. Cammina trascinando i piedi, gettando un’occhiata in ogni cestino della spazzatura che incontra. Quando gli capita di intravvedersi nelle vetrine, quasi, non si riconosce, si ferma un attimo, si passa le mani tra i capelli lunghi e sporchi e ricomincia a camminare, parlottando tra sé. Oggi c’è il sole e comincia a fare caldo. Sotto i portici di Via Vittor Pisani c’è un gran via vai di gente. L’ora della pausa pranzo è vicina e, dagli uffici cominciano ad uscire frotte di impiegati in doppio petto e segretarie profumate che chiacchierano tra loro e neanche si accorgono di lui. Ecco che comincia a vedere la grande stazione. Sta arrivando, il cuore comincia a battergli forte nel petto. Non è mai stato in grado di affrontare a muso duro le persone e men che meno gentaglia come Valentina ma la situazione è tale che non può proprio tirarsi indietro. Il piazzale della stazione è stato rifatto da poco: è stata cambiata la pavimentazione e l’area è stata un po’ riqualificata. Nonostante tutto rimane sempre un crocevia di varie miserie: extracomunitari stravaccati negli angoli, ragazzini rom che si accodano ai turisti questuando o cercando di rubare portafogli o cellulari. Nella piazzetta, di fianco alla stazione, si ritrovano badanti dell’est Europa che affidano pacchi di vestiti, regali e cibo ad autisti di pullmini che, dietro lauti compensi, recapitano ai parenti lontani frammenti di italico benessere. In mezzo a tutto questo, Tommaso cerca con lo sguardo nell’angolo, dove sa che si svolge il passaggio della droga. Stringe gli occhi, perché con il sole a picco, fatica a mettere a fuoco e, seduta su una panchina, ecco che vede Valentina. Sa di essere un po’ tonto, di non essere pronto nei ragionamenti e, quindi, senza fare nessun genere di piano, comincia a camminare verso di lei. Valentina ha lo sguardo perso e la faccia pallidissima. Un leggero tremore le percorre entrambe le mani che ha appoggiate sulle gambe. Non si accorge dell’uomo che si è seduto accanto a lei, continua a fissare davanti a sé. Tommaso la guarda e si accorge di odiarla.
- Perché ha voluto farmi del male? Cosa le ho fatto io?-
Sente una gran rabbia montargli dentro e, con una voce che neanche lui riconosce si sente dire:
-RIDAMMI SUBITO LA MIA SCATOLETTA!-
Lentamente Valentina si gira verso di lui. La risposta non si fa attendere:
-Che cazzo vuoi? Chi sei? Lasciami perdere se non vuoi passare dei guai!-
Un coraggio impensato infiamma il volto di Tommaso e: – Senti brutta carogna, dammi immediatamente indietro la mia scatoletta, quella che mi hai rubato stanotte, altrimenti i guai saranno tuoi!-. Senza far passare neanche un attimo le tira uno schiaffone che le fa girare violentemente la testa. Per un attimo, come in un film, tutto attorno a loro si ferma, non sentono più il rumore del traffico, lo sferragliare dei tram, il brusio delle voci. Si guardano, ognuno con il proprio odio e la propria tristezza negli occhi. Il dolore del mondo è tutto lì, fermo, immobile. Valentina infila la mano nella tasca dei jeans, estrae la scatoletta rosa, la guarda un attimo e la mette in mano a Tommaso.
- ma vaffanculo va!- gli dice e si alza massaggiandosi la mascella arrossata. Poi se ne va piangendo.
- Ho vinto, ho vinto!- Tommaso ride come un matto. Apre la scatola, sposta il cotone ed eccola: la Madonnina lo sta guardando benevola.
Davanti all’asilo, Paolo aspetta che si apra il portone e che i piccoli gemelli gli corrano incontro ridendo. A lui piace venire a prenderli, molto più che accompagnarli. Quando li lascia a scuola, gli rimane dentro, ogni volta, un leggero senso di colpa. Dall’altra parte della strada vede Tommaso che si sbraccia in cerca della sua attenzione. Gli fa cenno di avvicinarsi e, solo in quel momento, vede una scatoletta rosa comparire nelle mani dell’amico. Non gli domanda niente, non vuol sapere come abbia fatto a recuperarla: quello è solo il momento della gioia. Tra gli sguardi inorriditi di mamme e nonne l’abbraccio fraterno tra i due uomini è l’istantanea di un attimo di felicità.
Brava Annina, i tuoi scritti sono sempre belli e tutti hanno
un senso, continua a scrivere ciao Damiana
Brava Anna,ho letto il tuo racconto tutto d’un fiato.Prova a scrivere un romanzo.
Congratulazioni e forza.
Tarricone Giovanni .
Anna, i tuoi racconti, anche solo i post su Facebook, sono meravigliosi, a volte divertenti, a volte commoventi, tutti ben scritti. Hai la grande capacità di trasmettere emozioni. Continua così! Aspettiamo il prossimo!
Bellissimo e tu sei proprio brava. Descrivi con minuzia luoghi cose e persone, pare di essere lì e cogliere i rumori, suoni, odori.
Ti esorto a scriverne altri.
Oliviatrebb
Lo sai Annina…sei la mia scrittrice preferita.
Le tue storie….sempre tutte d’un fiato! Non riesco proprio a smettere di leggere.
Non ti nascondere più, ti prego. Riesci a far avvicinare alla lettura anche quelli più pigri!
Aspetto la prossima storia o….il primo libro 😉
Mary